Il csm mette sotto processo il pm per “ignoranza e negligenza».
Niente da fare: per la procura di Varese, Giuseppe Uva non è morto per le botte prese in caserma nella notte tra il 14 e il 15 giugno del 2008. Il nuovo segmento di indagine – nato soltanto perché ordinato dal gip Giuseppe Battarino, l’8 ottobre – si conclude con i pm Agostino Abate e Sara Arduini che chiedono l’archiviazione per i due poliziotti e sei carabinieri indagati per lesioni personali. Dopo cinque anni, gli investigatori hanno anche deciso di ascoltare, clamorosamente per la prima volta, l’unico testimone, Alberto Biggiogero, anche lui fermato e portato nella caserma di via Saffi insieme a Uva, quella notte d’estate. Tra l’altro, il senatore Luigi Manconi ha già presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia per il tenore di questa audizione: «L’interrogatorio del teste si è protratto per circa quattro ore – scrive il parlamentare del Pd –, il testimone sarebbe stato ripetutamente fatto oggetto di mortificazione con offensivi riferimenti al suo stato di salute risalente a numerosi anni precedenti la morte di Giuseppe Uva; sarebbe stato privato della libertà di riferire sulle circostanze sulle quali era chiamato a deporre attraverso atteggiamenti intimidatori, verbalmente aggressivi, financo offensivi la dignità stessa della sua persona».
A proposito, il Csm metterà sotto processo proprio Abate, accusato di «ignoranza e negligenza» per non aver ascoltato le denunce della sorella di Giuseppe Uva, Lucia, arrivando addirittura a iscriverla nel registro degli indagati per diffamazione aggravata. Nell’aprile del 2012, poi, arrivò a sentenza il processo istituito dal pm varesotto per il caso Uva: contro il dottor Carlo Fraticelli dell’ospedale di Varese. Era il teorema della morte per malasanità, peccato che il medico venne assolto perché il fatto non sussiste. Anche in quell’occasione il giudice Orazio Muscato chiese di approfondire cosa accadde nelle due ore e mezza che Uva passò in caserma. Mesi dopo il gip arrivò addirittura a scrivere che il fermo di Giuseppe è da considerarsi illegale perché «Non c’era alcun motivo per farlo. E nessuno può essere privato della libertà personale, se non in forza di una legittima detenzione». E ancora, perché in fondo un giudice a Varese ci sarebbe pure: «La morte di Giuseppe Uva non è riconducibile ad errata somministrazione di farmaci, sul corpo vi erano tracce di lesioni, ci fu un’importante effusione di sangue proveniente dalla zona anale, la morte è conseguita ad un’aritmia derivante dal contenimento e dallo stresso fisico e i traumi subiti sono concause del decesso». Così fu respinta la prima richiesta di archiviazione per gli uomini in divisa. Abate, però, continua a ignorare tutto questo: per lui gli agenti sono completamente innocenti e non c’è nulla di penalmente rilevante nella loro condotta.
Era una delle prime notti calde dell’estate, a Varese, quella tra il 14 e il 15 giugno del 2008. Beppe Uva, insieme all’amico Alberto, era uscito a bere. I due, un po’ brilli, transennarono una strada e deviarono il traffico verso il centro della città. Una bravata che gli costò il fermo nella caserma dei Carabinieri. Quello che accadde in due ore e mezzo rimane un mistero. Le botte e le urla sentite da Biggiogero, evidentemente, non significano niente per la procura: «Un carabinieri, in particolar modo, l’ha massacrato di botte in caserma insieme ai suoi colleghi, e mi dicevano: ‘dopo arriva anche il tuo turno’. A quel punto, quando finalmente ho chiamato il 118 implorandolo di venire in soccorso mi hanno detto che in caserma non potevano intervenire, è arrivato un soggetto con dei tratti asiatici con una borse forse da medico, e da lì il mio amico ha smesso di gridare: questo mi aveva fatto sentire veramente sollevato, perché ho pensato che avessero smesso di pestarlo». Poche ore dopo questi fatti, Giuseppe Uva sarebbe morto in ospedale. La procura di Varese ancora non sa come sia accaduto.
Da Il Manifesto
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