Patrizia Moretti, Lucia Uva… e adesso Ilaria Cucchi. Mettersi contro la ‘malapolizia’ costa caro, molto caro. Perché se si osano mettere in dubbio l’onore e l’onestà degli uomini in divisa, se si chiede alla classe politica, ai media e ai responsabili delle forze dell’ordine di indagare e di fare luce e giustizia sui sempre più numerosi casi di persone morte mentre erano nelle mani dello Stato, allora si rischia – si ha quasi la certezza – di diventare obiettivo di ritorsioni, minacce, denunce, querele.
Ritorsioni degli amici e dei colleghi dei poliziotti e dei carabinieri indagati, oggetto di campagne volte a screditare l’immagine della vittima – che, scava scava è sempre un facinoroso o uno fuori di testa o peggio ancora un drogato – e a descrivere i suoi assassini come onesti padri e madri di famiglia ingiustamente perseguiti. E così i parenti delle vittime, le madri, le sorelle in particolare diventano vittime a loro volta. Soprattutto da quando negli ambienti in divisa alcune piccole sigle sindacali hanno scoperto che prendersela con chi ha subito un pestaggio o un abuso, o con chi ha perso un figlio o un fratello in qualche caserma, è assai redditizio. Perché cercare di convincere i propri colleghi ad iscriversi al proprio sindacato? Basta impegnarsi in periodiche e redditizie campagne di criminalizzazione di chiunque chieda conto allo stato del comportamento criminale dei militari o dei poliziotti che si macchiano di gravi reati nell’esercizio delle proprie funzioni per stare sulle prime pagine, per ricevere la solidarietà di solerti e interessati esponenti politici, per mobilitare i settori più reazionari dell’opinione pubblica, quelli che si commuovono ai giuramenti o al passaggio delle Frecce Tricolori.
A primeggiare in questa strategia della guerra contro le vittime di malapolizia è sicuramente il Coisp. Anche questa volta siamo costretti a parlare della piccola sigla di estrema destra guidata da Franco Maccari, che nel giugno scorso annunciò di aver depositato presso la Procura della Repubblica di Roma una denuncia nei confronti di Ilaria Cucchi. Colpevole, accusa Maccari, di aver offeso la dignità dei lavoratori della polizia.
Alla sorella del ragioniere romano morto al Pertini dopo l’arresto non andò giù la sentenza con cui il tribunale di Roma di fatto chiuse la faccenda senza individuare e punire alcun colpevole tra gli agenti della polizia peninziaria. E lo disse chiaro e tondo, “La sentenza di ieri sulla morte di Stefano Cucchi è stato il risultato di un processo che è stato rivolto contro Stefano: un processo a lui, al suo carattere, alla sua magrezza…” Dichiarazioni che hanno fatto imbestialire il sindacato nato da una scissione di destra di un sindacato già di destra, il Sap. Maccari depositò la sua denuncia, nel giugno scorso, ed ora la donna risulta indagata per diffamazione dalla Procura di Roma.
“Lo considero un vero e proprio atto intimidatorio – commenta Ilaria Cucchi al Fatto Quotidiano – D’altronde da coloro che hanno offeso Patrizia non mi aspetto altro. Se pensano che questo possa in qualche modo fermarmi nella mia battaglia di verità e per il rispetto dei diritti civili si sbagliano di grosso. Spero che la giustizia faccia il suo corso, ma che lo faccia in fretta. Credo di avere il diritto di chiederlo come cittadina e come tutti i cittadini”.
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