Il processo di primo grado sulla morte di Stefano Cucchi si concluse con un’immagine emblematica: il dito medio di uno dei tre secondini imputati per lesioni aggravate, rivolto a chi contestava la sentenza di assoluzione a favore dei poliziotti della penitenziaria.
Quel dito medio era un sonoro vaffanculo dedicato al pubblico che protestava, agli avvocati di parte civile, e soprattutto alla famiglia di Stefano Cucchi. Quel dito medio indicava chiaramente la statura morale del poliziotto autore del gesto, oltre che le qualità intellettive e umane medie per essere arruolati nella polizia penitenziaria.
Oggi, presso la prima sezione della corte d’Assise d’appello di Roma si è aperto il processo di secondo grado per stabilire come e per colpa di chi sia morto Stefano Cucchi. E viste le premesse, quel vaffanculo di un poliziotto pieno di tracotanza e sbruffonaggine rischia di essere rispedito al mittente. L’udienza si apre con la revoca delle costituzioni di parte civile contro medici e infermieri, il che vuol dire che la battaglia legale della famiglia Cucchi si concentrerà esclusivamente contro le guardie penitenziarie di Regina Coeli, trasformando il dibattimento in un vero e proprio processo di malapolizia.
A seguire, la relazione del giudice a latere Tiziana Gualtieri, che riassume in estrema sintesi le fasi salienti del processo di primo grado e il relativo esito: Aldo Fierro condannato a due anni per omicidio colposo; per lo stesso reato un anno e quattro mesi a Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo, otto mesi invece per Rosita Caponetti, condannata anche per falso ideologico. La parola passa al procuratore generale Mario Remus che si lancia in una lunga e circostanziata requisitoria, articolata in sei punti, sei quesiti ai quali bisognerà dare una risposta.
Le lesioni personali sono state causate da un fatto accidentale o da una o più aggressioni volontarie? Gli esiti del processo di primo grado non sono soddisfacenti. Si è parlato di caduta per le scale, improvvisi scivoloni nei sotterranei di Piazzale Clodio, ma la quantità abnorme di lesioni interne ed esterne riscontrate sul corpo di Stefano, indicano ben altro. Indicano uno o più pestaggi, perché se solo di scalinate si trattasse, Stefano avrebbe dovuto risalirle e poi caderci “accidentalmente” almeno una decina di volte. La risposta, secondo il procuratore, è “no, nessuna caduta accidentale, Stefano Cucchi è stato aggredito”.
Secondo quesito: chi ha picchiato Stefano Cucchi? Il procuratore Remus, in base alle testimonianze e alla ricostruzione delle fasi trascorse tra arresto, udienza di convalida dell’arresto e traduzione al reparto detentivo dell’ospedale Pertini, stabilisce che Stefano è stato con ogni probabilità picchiato dalle guardie penitenziarie dopo la convalida dell’arresto e prima del trasporto all’ospedale Pertini, dove non sarebbe mai arrivato se qualcuno non lo avesse ridotto al punto da richiedere un ricovero.
Terzo: si pone una questione già sollevata nelle varie convenzioni europee per i diritti umani, tra le quali il CEDU. La domanda che il PG pone alla corte è: la reclusione nel reparto detentivo del Pertini èstata legale o illegale? Anche in questo caso la risposta pare inequivocabile, sostenendo il procuratore che “l’aggressione ha determinato misure di rigore illegali”. Si passa a valutare la posizione di medici e infermieri, e le considerazioni sulle reali cause scientifiche della morte si fanno più incerte e nebulose. Perché incerta e nebulosa è la ricostruzione della permanenza di Stefano presso l’ospedale Pertini. C’è stata negligenza da parte del personale sanitario, forse, ma a fronte di un paziente poco collaborativo, come viene descritto Cucchi. Pertanto, potrebbe essere presa in considerazione un’equa ripartizione delle responsabilità a carico di tutto il personale del Pertini. Il pg parla infatti di cooperazione in delitto colposo. Argomento ancora più spinoso è il nesso di causalità tra lesioni e morte del paziente. Confermando in sostanza quanto acquisito in primo grado, la morte è da imputare esclusivamente alle condizioni di ricovero della vittima, e al sostanziale stato di abbandono in cui versava. Le condizioni psico-fisiche peggioravano velocemente, ma nessuno ha preso in mano la situazione né ha adottato le necessarie contromisure. Né medici né infermieri. Resta in sospeso, lo affermerà a margine dell’udienza anche uno dei legali di parte civile, la vera questione: senza pestaggio, senza aggressione, non ci sarebbe stato ricovero. Senza pestaggio, Stefano sarebbe ancora vivvo. La requisitoria affronta infine l’eventualità o meno di una diffusa omertà corporativa. Possibile che tutti abbiano visto e nessuno abbia parlato? Il giudice dell’udienza di convalida dell’arresto di Stefano, altri agenti della polizia penitenziaria non coinvolti nel processo, i carabinieri che lo hanno arrestato e poi tradotto in diverse caserme, i medici e gli infermieri tutti: nessuno ha visto o sentito nulla? Nessuno ha riscontrato anomalie? Nessuno ha visto i segni sul volto? Nessuno ha visto le chiazze di sangue sul jeans? Nessuno ha registrato l’andatura claudicante di Stefano Cucchi? Nessuno ha notato che si sedeva leggermente reclinato, vista la lesione all’osso sacro? Nessuno, mentre lentamente Stefano moriva, ha notato che era arrivato a pesare 37 chili? Evidentemente no. Nessuno ha visto o sentito. Almeno fino a prova contraria. La requisitoria si chiude con la richiesta delle condanne: tre anni per omicidio colposo al medico Fierro, responsabile del reparto, due per gli altri medici coinvolti, due anni ai secondini per lesioni volontarie personali e aggravate, un anno agli infermieri. Ci sono tutte le premesse per un grado di giudizio più equilibrato rispetto al primo.
L’avvocato Fabio Anselmo si dichiara soddisfatto: “si è respirata un’aria diversa. Non condividiamo completamente la linea del procuratore generale, ma apprezziamo l’apertura alla questione delle lesioni gravi commesse dalle guardie penitenziarie. Potrebbe aprire le porte anche a un’ipotesi di omicidio preterintenzionale”. Ilaria Cucchi, presente in aula con i genitori apprezza “la linea adottata dal procuratore. In quest’aula non ci sentiamo soli. Per la prima volta ho trovato rispetto per la figura di mio fratello Stefano”. In aula erano presenti Claudia Budroni, la sorella di Dino Budroni ucciso dalla polizia sul Grande Raccordo Anulare, e Andrea Magherini fratello di Riccardo Magherini, il quarantenne morto mentre veniva “arrestato” dai carabinieri.
La prossima udienza è fissata per l’8 ottobre. Parleranno i legali di parte civile.
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