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Ilaria Cucchi scrive al giudice Luciano Panzani

“Nutro profondo rispetto per la magistratura perché faccio parte di una famiglia italiana media di cittadini che hanno sempre rispettato la legge e pagato regolarmente le tasse. Rispetto, ma non venerazione. Rispetto ma non fede incondizionata perché questa come cattolica credente ce l’ho solo in Dio nostro Signore. Solo e soltanto in Lui. Lei parla di gogna mediatica. Secondo il dizionario della lingua italiana ‘gogna’ è ‘un collare di ferro, legato con una catena ad un muro o ad un palo che si metteva al collo di chi era condannato alla berlina’ ma esprime pure una metafora: mettere qualcuno alla gogna vuol dire esporlo al pubblico disprezzo”. Lo scrive Ilaria Cucchi in una lettera indirizzata al presidente della Corte d’Appello di Roma Luciano Panzani.

“Allora dottore, non credo di mancare di rispetto a lei e alla Magistratura se mi permetto di dirle che le critiche rivolte ai suoi colleghi per quanto sta accadendo nel processo di mio fratello sono tutt’altro che una gogna – prosegue la sorella del ragazzo morto pochi giorni dopo dopo l’arresto e il ricovero nel reparto detentivo dell’Ospedale Pertini di Roma –  Chiedere responsabilità per chi sbaglia e commette gravi e ripetuti errori non significa metterlo a gogna. Responsabilità, solo responsabilità e non altro. Come per chiunque altro cittadino. Perché mi risulta che per la nostra costituzione tutti dovremmo essere uguali di fronte alla legge”. “Da una persona come Lei, col suo ruolo, mi sarei aspettata maggior cautela ed equilibrio nell’uso di un termine come questo che ritengo assolutamente inappropriato – prosegue Ilaria Cucchi – Invocare responsabilità per chiunque sbagli e commetta gravi errori non significa metterlo alla gogna. Processare un ragazzo di soli trentun anni, dopo averne causato la morte tra atroci sofferenze come può essere allora definito? Processare la sua famiglia, definire in aula Stefano come un tossicodipendente da vent’anni cafone e maleducato cosa vuol dire?”.

“È normale in un processo come il nostro che il consulente della Procura di Roma appena nominato per eseguire l’autopsia (Arbarello) dichiari pubblicamente al Tg5, ancor prima di iniziare ad eseguire l’incarico, che il suo compito dovrà essere quello di dimostrare che la responsabilità per la morte di Stefano è tutta dei medici? E che di fronte a questo la Procura non prenda provvedimenti? Così è iniziato questo processo. È normale che poi – prosegue ancora la sorella della vittima di malapolizia – durante il processo stesso, lo stesso prof. Arbarello venga poi nominato consigliere di amministrazione di un importante gruppo assicurativo interessato alla vicenda, insieme al fratello dell’allora ministro della difesa che fin dalle prime battute, anticipando ogni indagine aveva a gran voce escluso ogni responsabilità dei carabinieri sul pestaggio di Stefano quando oggi i Giudici e le difese stesse degli agenti li indicano come i veri esecutori? E ciò nel silenzio ed inerzia di pm e giudici come se nulla fosse?”.

“È normale che i Periti della Corte di primo grado, oggi tanto criticati da tutti, in pieno dibattimento di primo grado con sentenza ancora da pronunciare, abbiamo ceduto alla tentazione di dimostrare quanto sono stati bravi organizzando a Milano un bel convegno per far vedere a tutti come sono riusciti a risolvere ‘il caso Cucchi’? E ciò nella tranquillità dei Giudici? – continua Ilaria Cucchi – Potrei andare avanti all’infinito a porle interrogativi come questi. Io non ho criticato la sentenza della corte. Ho nelle orecchie le parole del mio avvocato pronunciate in udienza preliminare quasi con disperazione. Ho nella mente il suo monito ai Pm: ‘Con questo impianto accusatorio e con questi consulenti e con questo capo di imputazione ci porterete al massacro. Gli avvocati delle difese ci faranno a pezzi’. Questo diceva Fabio Anselmo di fronte al gip ben quattro anni fa”.

“Ma io voglio solo chiederle ancora soltanto questo – conclude l’autrice della missiva – Il 16 ottobre del 2009 Stefano veniva portato, pestato e sofferente, nel suo tribunale di fronte ai suoi colleghi, indicato come albanese senza fissa dimora. Stefano era sofferente e lo ha detto. Nessuno lo ha guardato e, tantomeno, considerato. Stefano era in condizioni tali da fare pietà ai sanitari ed agli stessi agenti che lo hanno via via preso in consegna. Ma nessuno ha fatto niente. Lo stesso avvocato Perugini ha dichiarato in udienza che se i due magistrati suoi colleghi avessero fatto il loro dovere le cose sarebbero andate diversamente. Ma nessuno ha fatto nulla e tutto è stato considerato normale. Allora presidente, io allora le chiedo ancora quest’ultima cosa: senza che si debba parlare di gogna che cosa un cittadino normale di un paese che si vuole definire normale può pensare di tutto questo? Meglio nascondere e tacere? Mi dica lei”.

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