C’è ancora chi non ha capito perché in Italia non si riesce ad approvare una legge sul reato di tortura. La destra è contraria, anzi la vorrebbe legalizzare, tranne alzare contemporaneamente alti guaiti “garantisti” contro le intercettazioni per reati di corruzione. I sindacati di polizia fanno da sempre le barricate contro l’ipotesi perché – secondo loro – !i delinquenti” avrebbero così un comodo strumento legale per mettere nei guai gli investigatori.
Poi una procura azzera la presenza dei carabinieri in un territorio ultra-tranquillo, e anche il più cretino dovrebbe capire che la tortura – per l nostra cosiddette “forze dell’ordine” – è una sorta di diritto acquisito, un accessorio della divisa, una pratica consuetudinaria.
Ventitre carabinieri indagati, quattro in arresto (uno direttamente in carcere), quattro con il “divieto di dimora”, uno sospeso dal servizio. Il tutto in Lunigiana, tra Aulla e Albiano Magra, dove il reato più grave è il piccolo spaccio di droga. Una valle dove non c’è una rapina a memoria d’uomo, gli omicidi avvengono rigorosamente tra le mura domestiche, dove chiunque può girare a piedi anche in piena notte senza che corra alcun rischio.
L’unica sfortuna che ti può capitare è incontrare i carabinieri…
Quelli del posto, praticamente tutti, interpretavano infatti la propria funzione in modo un tantino extralegale. Di fatti, ritenevano che “la legge” coincidesse con la propria volontà, bizzarria, antipatia verso questo o quel soggetto sociale. Qualcuno pestava regolarmente, in qualche caso con violenze sessuali; tutti falsificano i verbali, di modo che tutto apparisse sempre regolare.
I giornali di regime, costretti a riportare la notizia, mostrano quasi incredulitò. “La maggioranza delle loro vittime era extracomunitari che, minacciata di essere espulsa, sopportava tutte le angherie possibili e immaginabili. Poi toccava agli italiani, soprattutto tossicodipendenti e categorie deboli. Tutti venivano sistematicamente picchiati selvaggiamente, senza una ragione, e le spedizioni punitive proseguivano ininterrottamente e senza motivo utilizzando anche manganelli di acciaio”.
Tutto è partito dalla denuncia di un cittadino italiano, che ha spiegato ai magistrati come e qualmente fosse stato massacrato senza motivo in caserma. Non se ne sa il nome, ma probabilmente è persona non appartenente a queste categorie iper-vessate; in qualche modo un testimone attendibile e non prevenuto.
Il procuratore di Massa Carrara, Aldo Giubilare, ha lavorato quasi un anno, accumulando un dossier di 18.000 pagine tra intercettazioni telefoniche e ambientali, testimonianze, referti medici. Fino a ipotizzare ben 104 capi di imputazione, come si dice in gergo. Ossia 104 reati diversi. Quasi un record assoluto, specie per dei “difensori della legge”.
Lo stesso giudice delle indagini preliminari, visto l’incartamento, non ha avuto nulla da eccepire rispetto alle richieste della Procura; anzi, le ha giudicate come “le minime possibili” davanti all’enormità dei fatti.
Gli episodi su cui si è svolta l’indagine sono decine. Uno più orrendo dell’altro. Si va dalla prostituta straniera trascinata in caserma e costretta a subire le “attenzioni” dei militari presenti. Al marocchino con precedenti di spaccio, sodomizzato e pestato. Dai sequestri di piccoli quantitativi di droga poi scomparsa (utilizzata? Rivenduta? Per ora non si sa…), alla falsificazione totale dei relativi verbali.
Il procuratore, nel presentare alla stampa le ragioni degli arresti, sembrava quasi scusarsi per aver inferto un colpo di tale entità alla “onorabilità” dell’Arma (non è certamente il primo, sicuramente non sarà l’ultimo, visto l’ambiente…). Ma quello che ha sentito e visto era “la normalità” del comportamento quotidiano dei carabinieri ora fermati. “In uno stato di diritto quale è il nostro, non è consentito che la sola appartenenza a una categoria sociale oppure a un corpo, ancorché meritevole e glorioso come l’Arma dei carabinieri, renda immuni da ogni responsabilità, autorizzi persino la commissione di reati e metta al riparo dal subire indagini”.
Sembra “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, sembra l’Italia fascistoide e questurina di 50 anni. Ma è il presente.
Né si può dire che i carabinieri in questione non si rendessero conto di muoversi al di fuori e contro ogni legge: “Dobbiamo essere come la mafia, da questa caserma non deve uscire niente”.
Convinti, insomma, che le loro vittime non si sarebbero mai ribellate e che, in caso lo avessero fatto, non sarebbero state credute (loro sono i carabinieri e stendono loro i verbali). Piccoli torturatori di provincia, pagati con i nostri soldi…
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Pelullo Francesco
il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
chissà quanti altri episodi aberranti si
sono macchiati.
per loro il 41bis non va bene.
insomma in questo paese il fascismo
è duro a morire.