Nella media annuale del 2010 il tasso di disoccupazione è invece balzato all’8,4% dal 7,8% del 2009. Si tratta dello “scatto” più forte da quando esistono le rilevazioi chiamate “serie storiche” dell’Istat.
Nel quarto trimestre del 2010, invece, si è portato a quota 8,7% (era stato dell’8,6% nello stesso periodo del 2009). Un aumento modesto, sottolinea l’Istituto, dovuto per gran parte a persone che hanno perso il precedente lavoro. Tornando alla media del 2010 e puntando l’attenzione sui giovani, il tasso di disoccupazione giovanile cresce di 2,4 punti percentuali, portandosi, nella media del 2010 al 29,8% (era al 27,9 solo un anno prima), con un massimo del 40,6% per le donne residenti nel Mezzogiorno.
Quindi? Tutto va bene, conclude il ministro Maurizio Sacconi (che a lui siano stati affidati “il lavoro e il welfare” sembra una battuta da “Ritorno al futuro”); questo dmostrerebbe la bontà delle politiche del governo di cui fa parte.
Peccato che l’Istat sia un po’ più precisa. Gli occupati a tempo pieno – sempre nel quarto trimestre dello scorso anno – registrano un nuovo calo (-1,2%, ovvero -245.000 unità rispetto al quarto trimestre 2009); quelli a tempo parziale, invece, aumentano su base annua del 7,9% (+258.000 unità), ma si tratta esclusivamente di part-time involontario. Insomma: meno gente lavora sulle 8 ore al giorno, crescono quelli che subiscono un lavoro a tempo (meno pagato, ovviamente).
L’Istat sottolinea anche che prosegue il calo dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato (-0,7%, pari a -103.000 unità), mentre cresce il numero dei dipendenti a termine (+5,1%, pari a 111.000 unità).
Insomma: cresce “l’occupazione” che piace agli imprenditori straccioni, quelli che ricavano qualche euro di profitto in più dalla precarietà (e ricattabilità), quelli che non sanno costruire un business competitivo sul prodotto e quindi “risparmiano” sul salario. Questa è l’occupazione che piace a Sacconi: quela che non ti permette di vivere, che fa di te uno working poor e cerca di trasformarti in un questuante che implora di essere spremuto sul lavoro.
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