E, tanto per non lasciare dubbi su quale fosse la sua preoccupazione, aveva sottolineato che “quando c’è uno shock petrolifero” la responsabilità della BCE è quella di evitare “un effetto-travaso” sui salari, ossia un loro aumento.
Questo manovra è sbagliata per almeno 5 motivi.
1. Attualmente nell’eurozona non c’è alcun serio rischio di inflazione. Alla BCE sembrano terrorizzati perché l’inflazione ha superato il 2%, ossia il cosiddetto “livello obiettivo” oltre il quale i templari della stabilità monetaria si sentono obbligati ad intervenire. Ora, anche senza voler abbracciare la proposta, avanzata un anno fa da Olivier Blanchard (il capo economista del Fondo Monetario Internazionale), di elevare al 4% la soglia di inflazione considerata rischiosa, la verità è che oggi in Europa la cosiddetta inflazione core, ossia l’inflazione depurata dalle variazioni di prezzo dei prodotti energetici e di quelli alimentari, è appena all’1%. E probabilmente non si muoverà di molto, visto che la debolezza della domanda fa sì che le imprese non possano trasferire automaticamente gli aumenti dei prezzi delle materie prime sui prezzi al consumo. Ma è anche il caso di aggiungere che nel Regno Unito, dove l’inflazione nel quarto trimestre del 2010 ha superato il 4%, la Banca d’Inghilterra per ora si è guardata bene dall’alzare i tassi d’interesse, che là sono allo 0,5%, ossia al livello più basso dal 1694. E questo perché teme gli effetti depressivi che questa misura avrebbe sull’economia, già indebolita dai tagli per 80 miliardi di euro decisi dal governo Cameron. Neppure negli Stati Uniti, dove i tassi sono allo 0,25% e l’inflazione ha superato il 2%, Bernanke ha sinora ravvisato la necessità di alzarli. Sembra proprio che l’ossessione dell’inflazione sia una malattia soltanto europea.
2. Ancora più remota è la possibilità di forti aumenti salariali. Quanto alla seconda ossessione di Trichet, essa è ancora più infondata della prima. Oggi infatti non è affatto scontato che l’aumento dei prezzi si traduca in un aumento dei salari. Per un motivo molto semplice: dati i livelli elevati di disoccupazione, il potere contrattuale dei lavoratori è molto debole. E infatti gli stessi salari nominali stanno rallentando un po’ ovunque. Va aggiunto che nell’unico Paese in cui il potere di contrattazione dei lavoratori sta aumentando per il diminuire della disoccupazione, ossia la Germania, un aumento dei salari sarebbe benefico in quanto ridarebbe fiato alla domanda interna.
3. Il rialzo dei tassi colpisce le economie più deboli della zona Euro. L’aumento dei tassi d’interesse, se risponde a problemi immaginari, crea però diversi problemi reali. E non da poco. Il primo riguarda gli Stati già alle prese con la crisi del debito, ossia Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. Infatti per questi Paesi ogni rialzo dei tassi d’interesse significa ulteriori interessi sul debito da aggiungere ai pesantissimi interessi già pagati sui titoli di Stato (vale la pena di ricordare che nei primi tre Paesi citati essi si collocano tra il 10% e il 13%). Si è calcolato che, per la sola Grecia, l’onere aggiuntivo sia pari all’1,6% del prodotto interno lordo. Non minori saranno gli oneri aggiuntivi per il debito privato, che in Irlanda, Portogallo e Spagna ha superato il 210% del pil. Questo peggiorerà la situazione delle sofferenze bancarie, già molto elevate. Un rialzo dei tassi d’interesse può aggravare la crisi del debito di questi Paesi, rallentarne ulteriormente i tassi di crescita e peggiorare il rapporto tra deficit e pil (sia a causa della riduzione del pil che delle conseguenti minori entrate fiscali).
4. Il rialzo dei tassi aumenta la divergenza tra le economie dell’area euro. Tale divergenza è già molto accentuata: basti pensare che la Commissione Europea ha previsto per la Germania una crescita del 2,4%, circa tre volte quella della Spagna. È questa divergenza, oggi, il problema maggiore per la stabilità e la stessa sopravvivenza dell’euro. Essa fa sì che già oggi tassi d’interesse unici a rigore non vadano bene per nessuno. Ma una cosa è certa: ad ogni loro aumento la situazione è destinata ad aggravarsi, a causa dei danni arrecati alle economie più deboli dell’eurozona.
5. Infine, un aumento dei tassi comporta un rafforzamento dell’euro. Lo abbiamo visto negli ultimi giorni, con l’euro che si è portato ai massimi da 14 mesi, superando la quotazione di 1,43 sul dollaro. Il punto è che l’euro non aveva bisogno di rafforzarsi, in quanto era già molto forte. Questo può danneggiare le esportazioni verso gli Stati Uniti e i Paesi asiatici.
In definitiva, la decisione della BCE rappresenta l’ennesima misura sbagliata decisa dalle istituzioni europee per fronteggiare questa crisi. Non ne sentivamo davvero il bisogno.
Pubblicato su “il Fatto Quotidiano” l’8 aprile 2011
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