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Energia. Prove tecniche di protezionismo

Seguire l’andamento dei prezzi dei prodotto energetici è molto utile per farsi un’idea dei problemi concreti – fisici, è bene ricordare – che l’umanità, costretta in questo modo di produzione ormai fuori controllo, è costretta ad affrontare. Ma non basta. La politica energetica dei singoli paesi – ovviamente a partire da quelli più grandi e importanti – è forse anche più indicativa, perché incorpora informazioni che non vengono rese note a tutti. Molto semplicemente, sanno più di quel che viene detto sui media, anch specializzati. Ma, quando agiscono, lo fanno sulla base anche delle informazioni in qualche misura “riservate”. E qualcosa si può capire, se non “sapere” pienamente.

Vediamo allora quanto sta accadendo proprio in questi giorni.

 

Pechino ha sospeso a tempo indeterminato le esportazioni di combustibile diesel per contribuire a soddisfare la domanda interna di energia, specie in vista della stagione estiva, che anche lì ormai è tempo di vacanza e spostamenti (oltre che di uso smodato dei condizionatori, senza che la produzione industriali segni sinificative riduzioni di ourput e quindi di consumo energetico). La decisione ha suscitato preoccupazioni per possibili effetti a catena in tutta l’Asia.

La mossa, pensata per tenere bassi i prezzi dell’energia nazionale, ricorda i divieti di esportazione sulle materie prime agricole decisi da molti governi nel 2007-08, che provocarono forti aumenti dei prezzi alimentari.

Questa settimana la Russia ha imposto una tassa proibitiva sulle esportazioni di benzina, suggerendo che i paesi emergenti stanno ampliando l’uso di restrizioni alle esportazioni, anche al di là dei prodotti agricoli.

La Commissione per lo sviluppo e la riforma della pianificazione cinese ha ordinato alle compagnie petrolifere statali di fermare l’esportazione di diesel per “mantenere la stabilità sociale e promuovere lo sviluppo economico”. Il divieto non riguarda le spedizioni a Hong Kong e Macao.

Il mese scorso Sinopec, la più grande raffineria della Cina, di proprietà statale, bloccato le esportazioni di prodotti petroliferi raffinati. La decisione è venuta giorni dopo uno sciopero dei camionisti del porto di Shangai che aveva fatto impennare i prezzi del carburante.

Il divieto cinese sul diesel potrebbe indurre gli importatori di tutta la regione all’accaparramento di materie prime energetiche. “Quando si arriva ai divieti di esportazione … si ottiene una reazione nello stoccaggio tra gli importatori”, ha detto Amrita Sen, analista petrolifero di Barclays Capital, a Londra.

La Cina è il principale consumatore di energia e dipende dalle importazioni per circa metà del suo approvvigionamento di greggio. Destinazioni primarie per le sue esportazioni di diesel sono Vietnam, Hong Kong e Singapore, la regione attualmente tra i principali snodi del commercio di energia.

Pechino sta cercando di evitare i problemi che ha affrontato durante i precedenti picchi del prezzo del petrolio, quando i gruppi energetici hanno ridotto l’approvvigionamento di prodotti raffinati in casa e le esportazioni erano aumentate, al fine di evitare pesanti perdite nel mercato della Cina, strettamente regolamentato.

La benzina di stato e i prezzi del diesel sono a livelli record, ma le raffinerie sono ancora perdendo soldi perché il prezzo del greggio è aumentato molto più rapidamente negli ultimi anni.

Pechino e gli analisti prevedono una grave penuria di energia elettrica in alcune zone questa estate per le lila mitazioni nelle forniture di carbone e una ridotta erogazione di energia idroelettrica, a causa della siccità nella Cina centrale ed orientale.

La Cina ha esportato quest’anno circa 100.000 barili al giorno in più di gasolio rispetto all’anno passato, ma è diventato un importatore netto a fine 2010, perché scarsità di energia elettrica ha costretto molte imprese a fare affidamento ai generatori portatili (che vanno a diesel).

L’International Energy Agency stima che il deficit di diesel potrebbe spingere la Cina a ricorre a sua volta alle importazioni, incentivando la crescita della domanda globale.

Infine, la decisione della Cina di vietare le esportazioni diesel è una conseguenza della caduta delle forniture dal Giappone, prosciugatesi per i danni provocati dallo tsunami alle raffinerie.

Se l’economia è globale, insomma, non ci sono più “decisioni nazionali” senza immediate conseguenze sulla catena delle relazioni internazionali. Non benefiche, in genere, se la logica è solo quella dell’autoprotezione.

La riprova arriva dagli Stati Uniti.

I prezzi al consumo qui sono saliti del 3,2% in aprile, il dato più alto dall’ottobre 2008.

L’aumento, previsto dagli economisti di poco superiore al 3,1%, fa seguito al 2,7% in marzo.

Quasi la metà della crescita proviene da un 3,3% di crescita del costo della benzina, anche se è stata più lenta rispetto al 5,6% del mese di marzo. I prezzi alla pompa sono saliti del 33,1% rispetto a un anno fa.

Ma anche i prezzi dei generi alimentari sono aumentati, ma a ritmo più lento: 3,9% più di un anno faspecie per lattiero-caseari, carni, pollame, pesce e uova.

La tendenza al consolidamento dei prezzi core “rende più difficile sostenere che la deflazione è una minaccia,” ha dichiarato John Canally, economista di LPL Financial. “E spinge ulteriormente la Fed a eliminare alcune misure di stimolo”, ha detto riferendosi al programma di acquisto dei bond pe 600 miliardi di dollari da parte della banca centrale, prevista a fine giugno.

 

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