L’analisi congiunturale di Federmeccanica è sempre un’occasione importante per capire l’andamento dell’economia reale di questo paese e l’umore degli industriali nei confronti del governo. Volendo usare le parole di Luciano Miotto, vicepresidente, se sul primo fronte “non vediamo buio” dopo tre anni di crisi dura, sul fronte politico l’umore è nerissimo: “abbiamo bisogno di autostrade, treni che vanno – inutile dividersi tra chi vuole la Tav o quelli per i pendolari – intanto facciamone una”. Fino al definitivo “meglio una decisione sbagliata che nessuna decisione” che suona come campana a morto confindustriale per chi si è fin qui descritto come “il governo del fare”.
Il settore metalmeccanico si conferma architrave del sistema produttivo nazionale; cresce poco (+0,8% nel primo trimestre), al contrario degli altri settori (-0,1), ma molto meno della media europea (+2,3%). Si tratta di una “ripresa” lentissima, che viene dopo un 2010 che lasciava sperare ben altro (+10,9%) e soprattutto consolida una perdita paurosa rispetto ai livelli di prima della crisi: -24,5%, mentre la Germania è già tornata ad appena -4,7 e la Ue nel suo complesso è risalita a un comunque preoccupante -11,8. “Di questo passo per recuperare quei livelli ci vorrebbero dieci anni, ma non è possibile fare previsioni”, spiega Angelo Megaro, direttore del Centro studi dell’associazione.
La debolezza della crisi viene quasi per intero dalla bassissima domanda interna, stoppata da redditi delle famiglie in calo e quindi dal blocco degli investimenti in quelle imprese che producono beni di consumo (il comparto elettrodomestici, infatti, è uno di quelli con segno negativo, -1,9%). Tutto è appeso dunque alle esportazioni, dove in effetti si registra un +21,9% che conferma un 2010 tutto su percentuali simili. L’interscambio è positivo (2,4 miliardi di avanzo), che compensa in parte una bilancia commerciale complessiva negativa (-10,2 miliardi). Il che dimostra che, anche se “qui non si vende” la meccanica italiana “è competitiva, siamo considerati un buon partner a livello globale”. Con la Cina ormai quarto cliente (+36,6%) e con la solidissima conferma della Germania come mercato di riferimento principale (-26,6% in un paese che da solo riceve quasi il 15% delle esportazioni italiane).
E proprio il confronto con la Germania chiarisce come la politica di compressione massima dei salari e dei diritti sia, anche dal punto di vista sistemico, una fesseria. La Germania è il paese che cresce più velocemente in Europa, anche nella meccanica; eppure lì ci sono i salari medi più alti. Ma il costo dell’abitare (affitti o mutui) è il più basso. In Italia, al contrario, abbiamo i salari più bassi e il costo dell’abitare più alto; una massa enorme di ricchezza è letteralmente “immobilizzato” e finisce per premiare le rendite e penalizzare i consumi (e quindi la crescita).
Qui l’analisi di Federmeccanica finisce per somigliare, paradossalmente ma non troppo, a una specie di “programma dell’opposizione”. La declinazione è ovviamente quella “un’industria penalizzata da un sistema bloccato, che frena la dinamicità del mercato”. Ma sotto l’elenco delle “privatizzazioni, liberalizzazioni, sburocratizzazioni” tipiche della retorica imprenditoriale prende corpo l’insopportabilità di un “sistema che premia la rendita immobiliare e finanziaria” invece che la manifattura. “Anche sul piano fiscale, nel rispetto dei limiti imposti dal debito pubblico, c’è spazio e necessità di una diversa redistribuzione dei carichi”. Discorso scomodo anche tra gli stessi imprenditori, perché “gli interessi non sono sempre convergenti”.
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