Il Tesoro Usa ha infatti deciso di uscire da Chrysler. Fiat e il Dipartimento, guidato da Timothy Geithner, hanno raggiunto un accordo per l’esercizio dell’opzione del 6% da parte del Lingotto per 500 milioni di dollari. Fiat sale così al 52% di Chrysler.
«L’operazione di oggi non permette solo alla Fiat di rafforzare la propria posizione in Chrysler, ma accelera anche il nostro progetto di integrazione mirato a creare un costruttore globale, efficiente e competitivo» afferma l’amministratore delegato di Fiat e Chrysler, Sergio Marchionne. L’accordo arriva dopo il rifinanziamento del debito da 7,5 miliardi di dollari ai governi Usa e canadese.
Non si conoscono ancora i tempi della quotazione della società di Detroit nè quelli dell’eventuale fusione con la Fiat. I passi dell’accordo. Si è partiti dal 20% iniziale con la possibilità di arrivare fino al 35% attraverso tre acquisizioni successive del 5% a titolo gratuito (sottolineiamo il “gratuito”, perché dice molto sull’entità del “regalo” fatto alla Fiat: 15% che si aggiunge al 20% iniziale!), legate al raggiungimento di precisi obiettivi. Finora ne sono stati raggiunti due che hanno portato al 30% la partecipazione.
Nel frattempo è stata esercitata, con il pagamento di circa 1,3 miliardi di dollari, l’opzione di acquisto del 16% (a un prezzo delle azioni ancora molto basso, perché Chrysler non era più quotatata in borsa, dopo il fallimento), possibile solo dopo il rimborso del debito al Tesoro Usa. E l’opzione per l’acquisto del rimanente 6% di Chrysler ancora a capo al Tesoro (conclusa ieri).
Le tre acquisizioni decisive erano ognuna legata al raggiungimento di precisi obiettivi fissati dal governo Usa per avere la certezza che la acasa automobilistica venisse effettivamente rimessa in piedi, garantendo una certa quota di occupazione. Tutto il contrario delle svendite all’italiana (pur trattandosi di un’azienda privata e fallita, ma con impianti e maestranze in grado di funzionare), dove il subentrante privato è lasciato libero di fare ciò che preferisce. La prima acquisizione, annunciata a Detroit il 10 gennaio, è quella legata alla produzione negli Stati Uniti (a Dundee, in Michigan) del motore Fire.
La seconda quota è stata acquisita grazie a vendite di stabilimenti in Canada, Messico e Stati Uniti, per un totale di 1,5 miliardi di dollari; sono stati poi raggiunti accordi con il 90% dei concessionari Fiat in Brasile e il 90% dell’Unione Europea per la distribuzione di uno o più veicoli Chrysler, è stata definita un’intesa che prevede la remunerazione di Chrysler Group per l’utilizzo da parte di Fiat delle sue tecnologie al di fuori dei Paesi Nafta.
Il terzo traguardo, che consentirà a Fiat di rilevare un ulteriore 5%, è il Performance Event, la produzione negli Stati Uniti di una vettura basata su una piattaforma Fiat con prestazioni di almeno 40 miglia per gallone (un’altra condizione di strategia industriale imposta per contratto dal governo Usa). Tempi previsti: entro l’anno. Quotazione.
Non si conoscono i tempi del collocamento in borsa (Ipo). Per la Fiat è importante completare la scalata prima della quotazione, perchè le azioni Chrysler potrebbero poi diventare più care (a conferma che si è trattato più di un’operaione finanziaria, certamente complessa, ma condotta in condizioni “protette”). Secondo l’amministratore delegato di Fiat e Chrysler molto dipende dal desiderio del sindacato Veba «di monetizzare per pagare le domande dei pensionati di Chrysler».
L’ipo è la via maestra – ha osservato Marchionne – per l’uscita del Uaw. Per quanto possa essere “fastidioso” un sindacato aziendale statunitense.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa