L’elemento critico più grave è dato dalla frattura tra Banca centrale europea e stati nazionali, che corrisponde a un conflitto tra “logiche”, oltre che fra interessi. Gli stati – a partire dalla Germania – sono favorevoli a un nuovo piano di “aiuti” ad Atene, ma a condizione che una parte della spesa sia accollata ai “privati”. Fuor di metafora, alle banche che hanno in cassaforte titoli di stato greci, cui viene proposto di sostituire i titoli in scadenza con altri con gli stessi rendimenti e scadenza a sette anni. Tecnicamente, dicono le agenzie di rating, è un fallimento vero e proprio; e quindi hanno lancia un “avvertimento” mafiosetto a diverse grandi banche europee (quasi tutte francesi, però, quelle i cui nomi sono stati resi noti; Societé Generale, Bnp Paribas, Credit Agricole). La Bce, al contrario, vorrebbe tenere fuori dai rischi proprio “i privati”.
Il secondo elemento di crisi è la divisione esistente tra gli stessi stati nazionali, che ha impedito fino all’Eurogruppo di trovare una linea d’azione comune sulla “seconda tranche di aiuti” (la prima è stata di 110 miliardi, ne servono – pare – altri 80).Il commissario Ue Olli Rehn, lanciando un appello ai 27 «per superare le attuali divisioni», stamattina ha spiegato che, per il salvataggio della Grecia, ci sarà un intervento in due tempi: ma domenica prossima bisognerà dare il via libera alla tranche da 12 miliardi, mentre l’11 luglio si dovrà decidere sulla partecipazione dei privati al secondo intervento.
Fratture che hanno immediati effetti sistemici. Si è indebolito l’euro (nei confronti del franco svizzero, nel giro di poco più di un anno, si è passati da un cambio 1,50 all’1,20 di ieri), cadono le borse, vanno in sofferenza le banche esposte verso la Grecia (anche quelle tedesche, dunque).
Più in generale perde credibilità lo stesso progetto di un’Europa unitaria. Non solo perché da Atene a Barcellona – passando per le elezioni amministrative e i referendum italiani – i popoli mostrano un’insofferenza crescente per i costi della crisi che vengono scaricati loro addosso “per salvare i privati” (le banche); cosa che comunque ha un peso di cui tener conto per chi, come noi, punta a tutt’altre “soluzioni” della crisi capitalistica. Ma proprio perché questa unità europea – incentrata sugli interessi del sistema finanziario e l’abbandono del “modello europeo” di welfare – non riesce a risolvere alcune problema. Anzi, ne crea di nuovi e più gravi.
Ora, ad Atene, Papandreou – alle prese con lo sfarinamento della propria maggioranza parlamentare assediata dalla piazza – ha tentato di varare un nuovo governo di “salvezza nazionale”, imbarcando anche i conservatori di Nea Demokratia (quelli che, nella precedente legislatura, avevano truccato i conti pubblici, facendo esplodere l’ammontare del debito fino ai livelli attuali), forse nella speranza di non avere un’opposizione politica forte in parlamento contro il piano di “austerità”. Ha dovuto ripiegare su un più banale “rimpasto”, e la nomina dei nuovi ministri dovrebbe avvenire entro stasera.
Qui di seguito proponiamo alcuni articoli tratti da IlSole24Ore che rendicontano in dettaglio – anche se ovviamente da un punto di vista opposto – la situazione.
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da “il manifesto”
Sacrifici assurdi: la Grecia contro Bce e Fmi
Roberto Tesi
Mentre decine di migliaia di persone assediavano il parlamento greco, dall’interno del palazzo si è sparsa la notizia, comunicata dalla tv di stato, che il primo ministro greco, George Papandreou, è pronto a dimettersi per facilitare la formazione di un governo di unità nazionale, così come richiesto dall’opposizione conservatrice. Papandreou cerca di tenere duro, ma la maggioranza parlamentare si sta assottigliando e vuole coinvolgere l’opposizione, principale responsabile della crisi economica attuale, nell’approvazione della nuova manovra (da 28 miliardi) con la quale sta disperatamente cercando (pressato da Bce e Fmi) di evitare la bancarotta del paese.
Con quello di ieri, che ha paralizzato il paese, sono già 10 gli scioperi generali proclamati dai sindacati contro il nuovo piano di salvataggio. Da Bruxelles, però, non arrivano segnali incoraggianti: la riunione per il nuovo piano di aiuti (che si aggiungerebbe al piano da oltre 100 miliardi già varato) che si è svolta martedì si è chiusa con un nulla di fatto. Ogni decisione è rinviata a una riunione straordinaria che si terrà domenica. E quel che è peggio non è stata sbloccata neppure la seconda tranche di 12 miliardi del primo piano di aiuti.
Martedì Mario Draghi ha sostenuto che la Grecia si trova in una situazione migliore di quella italiana dell’inizio degli anni ’90. Il governatore di Bankitalia che ieri ha ricevuto il via libera del parlamento europeo ha voluto lanciare un segnale di ottimismo. La situazione, però, è profondamente diversa da quella italiana di circa 20 anni fa. In particolare perché allora non c’era l’euro e i governi nazionali potevano procede ad aggiustamenti di bilancio manovrando la moneta nazionale. Oggi la Grecia è sull’orlo del baratro: la crescita del Pil è sottozero, le riseve in valuta scarsissime, la disoccupazione è esplosa (il tasso dei senza lavoro ha superato il 15%), 150 mila dipendenti pubblici perderenno il posto di lavoro entro il 2015 e il potere d’acquisto è crollato.
La Grecia non è in grado di emettere nuovi titoli di debito pubblico e i bond decennali sul mercato ieri hanno fatto registrare uno spread di oltre 1500 punti (il 15%) superiore ai bund tedeschi. Sui massimi anche i contratti «credit-default swap», le polizze assicurative contro il rischio d’insolvenza, a 1.632,43 punti. Per la prima volta, inoltre, il tasso dei titoli greci a due anni ha superato la soglia del 28% col rendimento salito di 160 punti base in un solo giorno. Gli aiuti alla Grecia servono: più che al paese, però, sono necessari per rimborsare le banche che negli anni passati hanno accumulato forti stock di debito pubblico ellenico che offriva alti rendimenti. Insomma, il disordine è grande. E una conferma si è avuta dalla minaccia rivolta da Moody’s a tre banche francesi il cui rating rischia di essere fortemente ridotto perché hanno in portafoglio una montagna di bond greci.
Il governo greco resta appeso a un filo a causa dei ricatti delle istituzioni finanziarie internazionali ed è alle prese con una rivolta sociale senza pari contro un piano di riforme e tagli che comporta pesanti sacrifici che si protrarranno per molti anni. La protesta dei sindacati, dei lavoratori e dei cittadini è rivolta soprattutto contro il governo «amico» di Giorgio Papandreou e il Pasok, partito del premier. La gente è consapevole che la crisi nasce per gli imbrogli nascosti per anni dal partito consevatore, ma non accetta che un governo «progressista» imponga sacrifici così pesanti come quelli delineati dalle manovre correttive. Ieri ad Atene e in molte altre città, decine di migliaia di greci sono scese in piazza e davanti al parlamento di Atene ci sono stati scontri fra manifestanti e forze dell’ordine che hanno usato la mano pesante. Al lancio di yogurt e sassi i poliziotti (circa 5 mila) hanno risposto sparando lacrimogeni e utilizzando pesantemente i manganelli. Arance sono state lanciate contro l’auto del premier Papandreou che si sta indebolendo sul piano politico-parlamentare: due esponenti socialisti si rifutano di votare il pacchetto di nuove misure di austerità. E, attualmente, il primo ministro può contare su una maggioranza di appena 155 deputati su 300.
Papandreou sembra non mollare: «Ci assumiamo le nostre responsabilità di fronte al paese: continueremo ad andare avanti e a prendere le decisioni necessarie per uscire dalla crisi», ha dichiarato ieri arrivando al palazzo presidenziale, per incontrare il presidente della Repubblica. Poi il premier ha anticipato la proposta di governo di unità nazionale, sostenenedo che «serve uno sforzo nazionale perchè siamo in una fase storica cruciale e dobbiamo prendere decisioni cruciali». E ha spiegato di «credere nei benefici di una concordia nazionale» e di essere «sempre in contatto con gli altri capi dei partiti» e che ognuno si deve assumere le proprie responsabilità.
Migliaia di manifestanti appartenenti al movimento di protesta popolare degli «indignati» hanno occupato di mattina presto la piazza centrale di Syntagma di fronte al Parlamento, esponendo bandiere greche e spagnole e striscioni, molti dei quali hanno scritto «No Pasaran» e «Resistiamo». Accampati in piazza Syntagma, da tre settimane, gli «indignati» greci hanno formato una catena umana e circondato il Parlamento, che ieri iniziava l’esame della proposta di legge di bilancio che include le nuove componenti di austerità fino al 2015, dettate dai creditori del paese, la Ue e l’Fmi.
Come affondare un paese per salvare le banche
Galapagos
«Il fallimento di uno stato sovrano è qualcosa che non conosciamo» ha dichiarato martedì Mario Draghi sostenendo la pericolosità di un default della Grecia che sta vivendo il peggiore periodo della sua storia. Le ruberie inglesi del Partenone sono nulla in contrario ai furti legalizzati che il sistema bancario internazionale sta cercando di imporre. Il Pasok del primo ministro Papandreou arrivato due anni fa al governo non ha potuto che denunciare la bancarotta fraudolenta provocata dei consevatori e chiedere aiuto per risanare i conti e l’economia. La Grecia aveva e ha centinaia di miliardi di bond del debito pubblico in scadenza, ma non sufficienti risorse per onorare gli impegni assunti. Ci sarebbe voluto uno scatto della Ue e della Bce, ma non c’è stato. Questa ha scatenato a fine 2009 la corsa al ritiro dei depositi dalle banche e la fuga di capitali all’estero. Di più: lo stato non era più in grado di emettere nuovi bond fosse solo per ripagare quelli in scadenza. Anche perché i tassi salivano vorticosamente: quelli sui bond a due anni hanno toccato il 28%.
Larga parte del debito pubblico greco era nelle mani delle banche europee che premevano sui rispettivi governi per riavere indietro i soldi senza rimetterci un centesimo. Sarebbe stato logico un accordo per protrarre le scadenze dei bond ellenici e per ridurre i loro rendimenti, ma per la Bce questo equivale a una bestemmia. Così, d’accordo anche con il Fmi, è passata una soluzione alternativa: si sono pretesi dalla Grecia tagli alla spesa pubblica e per prima cosa ai salari degli statali, privatizzazioni, ristrutturazioni. Così, Atene ottiene un primo prestito di oltre 100 miliardi, ma viene obbligata a enormi sacrifici che producono disoccupazione, riduzione del potere d’aquisto di larghi strati della popolazione e bloccano la crescita.
Questa scelta fatta lo scorso anno fu infame e oltretutto non risolutiva. Tant’è che oggi Atene necessita di nuovi aiuti e ha l’obbligo di una nuova manovra da 28 miliardi. Tanta austerità finisce per premiare solo le banche: i prestiti concessi (a tassi da usura) da Bce e Fmi, infatti, finiscono direttamente nelle casse delle banche tedesche, francesi e inglesi e non servirano a cambiare (se non in peggio) il paese.
Draghi sostiene che non conosciamo gli effetti del fallimento di uno stato sovrano, ma il futuro presidente della Bce dimentica un caso recente: l’Argentina che grazie alla dichiarazione di default è rinata e anche i creditori un po’ per volta sono stati soddisfatti, anche se non integralmente. Un’alternativa è possibile anche se non semplice: la complicazione è che la Grecia è nell’area euro e non ha più una moneta nazionale. È difficile credere che un governo di unità nazionale, proposto da Papandreou, possa tirare fuori dai guai la Grecia con le ricette della Ue. Più logico che Papandreou si rivolgesse direttamente al popolo che ieri è sceso in piazza e che viene chiamato a pagare a caro prezzo una crisi generata da altri e gonfiata dalla avidità del sistema bancario.
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Spettro Grecia sulle Borse europee. Moneta unica debole
Avvio in ribasso per le Borse europee su cui permangono forti incertezze per le sorti della Grecia. I membri dell’Eurogruppo, riuniti due giorni fa a Bruxelles, non hanno trovato un accordo sulla risoluzione della crisi del debito greco, alimentando le preoccupazioni per tutti i paesi dell’Eurozona. Intanto oggi il primo ministro greco, George Papandreou, chiederà al Parlamento la fiducia per il proprio governo. Nei primi scambi il CAC 40 di Parigi cede l’1,23%, il DAX 30 di Francoforte lo 0,9%, il Ftse 100 di Londra l’1,04 per cento. Debole anche Piazza Affari con FTSE IT All Share e FTSE MIB che cedono nei primi scambi l’1,18%.
Vendite sui bancari
A Piazza Affari sono vendute a piene mani le azioni delle banche: Banca Mps accusa una flessione del 3,6%, Unicredit del 2,66% e Intesa Sanpaolo del 2,3%. Sono deboli le Fiat (-1,3%) risentendo dei timori di un rallentamento dell’economia. Fiat Industrial scivola dell’1,59% e Exor dell’1,3%. Tra le azioni fuori dal paniere principale volano del 6,4% le Rdb, festeggiando ancora il piano di salvataggio del gruppo approvato venerdì scorso dal consiglio di amministrazione. La società ha annunciato di aver ricevuto una manifestazione di interesse dalla Alias srl del gruppo Sacci, che fa capo ad Augusto Federici, azionista di Rdb con l’8,9%, per un intervento nel capitale della quotata nell’ambito di «una più generale operazione di risanamento e ristrutturazione dell’indebitamento della società». L’operazione prevede la creazione, da parte di Alias e delle banche creditrici, di una newco che sottoscriverà un aumento di capitale da 15 milioni di euro e che, post aumento, deterrà i due terzi del capitale di Rdb.
Euro debole
Prosegue la debolezza dell’euro. Sull’onda dei timori per la situazione di Atene, la moneta unica è scesa al di sotto di quota 1,41, arrivando a toccare gli 1,4088 dollari, nuovo minimo dal 26 maggio scorso, prima di riportarsi a 1,4124, comunque molto sotto ai livelli già deboli di ieri, quando aveva chiuso a 1,4227 dollari. Il franco svizzero intanto ha segnato un nuovo record contro l’euro superando per la prima volta 1,20. La divisa elvetica, ricercata come porto sicuro a causa delle incertezze sulla crisi greca, viaggia a 1,20256 per euro dopo essere salita fino a 1,19965.
Borse asiatiche in deciso calo
Le vendite non hanno risparmiato l’Asia con la Borsa di Tokyo che ha chiuso ai minimi della seduta. L’indice Nikkei dei principali valori è calato dell’1,70% a 9.411,28 punti e il più ampio indice Topix dell’1,48% a 812,4 punti. L’indice Kospi Composite della Corea del Sud è sceso dell’1,7% e lo Shanghai Composite dell’1,2%. A Hong Kong l’indice Hang Seng è sceso dell’1,5% a 22.020,08 dopo aver segnato un nuovo minimo per il 2011 a 21,960.74, mentre l’indice australiano S&P/ASX 200 è sceso dell’1,7%, al minimo da tre mesi.
«L’Asia sta seguendo il deludente percorso delle altre borse internazionali», ha detto Shannon Briggs della Morgan Stanley. «Ci siamo rifocalizzati sul debito greco e sui dati economici degli Stati Uniti, ma la grande domanda è se gli Stati Uniti stanno andando verso una recessione “double dip” (cioè verso una nuova fase recessiva). È troppo presto per dirlo».
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Venti miliardi di extra spesa per il piano salva Grecia. Moody’s verso il taglio del rating delle banche francesi esposte con Atene
Vito Lops
Di giorno in giorno le notizie che arrivano (o non arrivano) dalla Grecia stanno avendo, sui mercati finanziari, l’effetto farfalla di Edward Lorenz: basta la minima indiscrezione per provocare tensioni a ripercussione sulle piazze finanziarie globali.
E l’ultima notizia arrivata ieri sera in merito alla questione del collasso del debito pubblico di Atene – i ministri dell’Ue non hanno trovato un accordo sulla seconda tranche di aiuti rimandando la questione a domenica prossima – ha già sortito questa mattina il suo effetto domino.
Dall’indebolimento dell’euro alle tensioni dei governi dell’Ue (che potrebbero essere chiamati a contribuire con altri 20 miliardi di euro per ricapitalizzare il sistema bancario greco). Fino al declassamento delle tre big francesi del credito, particolarmente esposte in titoli greci, come indicato questa mattina dall’agenzia di rating statunitense Moody’s. Il tutto nel giorno in cui lo organizzazioni sindacali hanno proclamato per oggi lo sciopero generale che rischia di mandare in paralisi il Paese. Nel tardo pomeriggio è intervenuta anche la Bce, che ha insistito sui rischi elevati per la stabilità dell’Eurozona ed ha esortato ad applicare i programmi di risanamento negoziati dai singoli Paesi con la Ue e il Fmi.
Servono altri 20 miliardi? Euro sotto pressione
Partiamo dall’indebolimento dell’euro che resta sotto pressione sia nei confronti del dollaro (ha aperto a 1,4389 dollari contro 1,4471 della chiusura di ieri) e, in particolare, nei confronti del franco svizzero (che viaggia sui massimi di tutti i tempi sulla divisa continentale). Pressioni sull’euro sono venute anche da un articolo del Financial Times secondo cui il piano di ristrutturazione del debito della Grecia potrebbe costringere i governi della zona euro a fornire fino a 20 miliardi extra per ricapitalizzare il sistema bancario ellenico.
Secondo il quotidiano finanziario l’ulteriore iniezione di liquidità è legata al piano di salvataggio proposto dalla Germania, che prevede la partecipazione dei creditori privati. Una mossa che costringerebbe le agenzie di rating a classificare l’estensione delle scadenze sul debito greco come «default selettivo». Secondo il Ft i ministri delle finanze europei starebbero valutando tre opzioni per il coinvolgimento del settore privato nel nuovo programma di aiuti. La più drastica prevede uno scambio volontario del debito con un’estensione delle scadenze dei bond per consentire ad Atene di guadagnare tempo e fare i conti con la crisi del debito.
Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfang Schaeuble, suggerisce un’estensione di sette anni. I ministri europei, come si legge nella bozza discussa a Bruxelles ed entrata in possesso del Ft, calcolano che se il 100% dei creditori aderisse a questa proposta ciò «eliminerebbe virtualmente la necessità di un finanziamento ufficiale» per i prossimi 5 anni e mezzo. La seconda e la terza opzione riguardano, invece, proposte in linea con l’iniziativa di Vienna e cioè una sostituzione volontaria dei titoli in scadenza, che renderebbe meno probabile il rischio di un default. Queste due opzioni sono appoggiate dalla Bce e dalla Francia, mentre Berlino è più propensa a puntare sulla prima opzione
Il Paese rischia la paralisi con lo sciopero generale
Va però detto che il caos in queste ore per le strade della Grecia – tutti i lavori pubblici, i trasporti marittimi ed urbani sono bloccati oggi in Grecia, nel giorno dello sciopero generale dichiarato delle principali centrali sindacali del Paese, mentre si preparano manifestazioni di massa ad Atene e in altre città – non migliora la situazione.
Banche francesi nel mirino
Le ultime colpite dall’effetto-farfalla della Grecia potrebbero essere le tre big del credito francesi. Secondo quanto comunicato oggi l’agenzia Moody’s potrebbe abbassare il rating di Bnp Paribas, Société Générale e Credit Agricole a causa della loro esposizione nei confronti del della Grecia, vicina alla bancarotta, secondo un comunicato pubblicato oggi. Obiettivo della valutazione sulle tre banche francesi sarà quello di esaminare la loro esposizione verso il debito dello Stato ellenico e del settore privato mettendo in luce le eventuali «incongruenze tra un possibile default o una ristrutturazione del debito greco e l’attuale livello di rating», sottolinea il comunicato.
«L’azione di oggi riflette i timori di Moody’s per l’esposizione di queste banche all’economia greca attraverso posizioni dirette in titoli di Stato e prestiti concessi al settore privato greco sia direttamente sia attraverso filiali attive in Grecia, un elemento chiave per Crédit Agricole e SocGen cui fanno capo banche greche locali», ha spiegato l’agenzia di rating in una nota.
Moody’s tuttavia precisa che «il robusto profilo finanziario, le grandi dimensioni e la diversificazione degli utili» delle banche coinvolte sono elementi potenzialmente in grado di mitigare le preoccupazioni suscitate dall’esposizione alla Grecia.
Difficilmente, secondo l’agenzia, il credit watch di Credit Agricole e Bnp porterà ad un declassamento superiore a un gradino o “notch”, mentre i rating sul debito e sui depositi di SocGen potrebbero subire un downgrade fino a due gradini.
«Moody’s potrebbe intraprendere azioni simili su altre banche con esposizione diretta alla Grecia nelle prossime settimane, se considera che i loro meriti di credito siano disallineati rispetto all’impatto di un possibile default o di una possibile ristrutturazione del debito della Grecia», ha concluso l’agenzia.
Attualmente il rating del Credit Agricole è di Aa1, il secondo nella gerarchia di Moody’s, mentre quello di BNP Paribas è di Aa2, un gradino più in basso. Nel giugno scorso, Moody’s ha tagliato il rating della Grecia da B1 a Caa1, assegnando un outlook negativo al merito creditizio del Paese.
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Salvare la Grecia vuol dire salvare le banche francesi e tedesche e (l’euro)
Vittorio Da Rold
L’Europa ha deciso di rinviare ancora una volta la decisione sul secondo piano di aiuti da 100 miliardi di euro alla Grecia, alle prese con l’ennesimo, il decimo in un anno, sciopero generale e con una maggioranza di 156 deputati che perde pezzi. Da registrare l’abbandono di due esponenti socialisti che si rifutano di votare il pacchetto di nuove misure di austerità. Ma rinviare significa solo non voler capire che salvare il debito della Grecia vuol dire anche salvare i bilanci delle banche europee, francesi e tedesche in primis. Lo ha capito benissimo l’agenzia di rating Moody’s che ha sottolineato questo aspetto evidente ma politicamente poco gestibile, soprattutto in Germania.
Le banche francesi sono «meno esposte» nei confronti della Grecia rispetto a quelle tedesche, ha affermato il ministro francese per gli Affari europei, Laurent Wauquiez, minimizzando la minaccia di Moody’s di abbassare il giudizio su tre banche francesi alla luce della loro esposizione verso la Grecia. «Non bisogna confondere la situazione», ha detto il ministro alla radio France Info, dopo che l’agenzia di rating ha parlato della possibilità di tagliare il giudizio su Bnp Paribas, Société Générale e Crédit Agricole.
«Le banche francesi hanno delle esposizioni in Grecia, legate all’economia greca, che sono perfettamente pubbliche, quindi non c’é nulla da nascondere e inoltre il settore bancario francese è meno esposto di quello tedesco», ha continuato. Stando alle cifre pubblicate il 6 giugno scorso dalla Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, le banche tedesche alla fine del 2010 avevano circa 15,3 miliardi di euro di debito pubblico greco, contro i 10,5 miliardi di quelle francesi. «Credo che su questo tema servano calma e serenità», ha proseguito il ministro, concludendo che «se ristrutturare significa che il Paese non rimborserà il suo debito, questo non fa parte del vocabolario francese».
Wauquiez ha minimizzato il tema, ma non ha potuto negare che il problema greco è europeo: salvare Atene significa salvare le banche europee e l’euro. Prima si fa e meglio è per tutti. il presidente Sarkozy e il cancelliere Merkel a Berlino non avranno scelta: dilazionare la soluzione farà solo aumentare i costi totali dell’operazione per i contribuenti europei. Coinvolgere in corsa e in modo abborracciato gli obbligazionisti contiene più rischi che vantaggi. Almeno per ora.
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Banche, mattone e debito: quel filo rosso che lega i rischi dei Paesi europei
Morya Longo
Disse il Fondo monetario: le banche irlandesi «hanno prospettive positive». Era il 2006. Scrisse Standard & Poor’s: Anglo Irish Bank è «un’istituzione sicura e solida». Era il 2007. E la società di consulenza Oliver Wyman, nello stesso anno, indicò la banca irlandese come istituzione finanziaria «con le migliori performance» al mondo. Sono passati pochi anni, ma Anglo Irish Bank dopo due salvataggi da parte dello stato è oggi sull’orlo del crack.
E l’intero sistema bancario irlandese è praticamente al collasso. Il ‘baco’ stava proprio in quelle grandiose performance delle banche: era sotto gli occhi di tutti, ma nessuno lo vedeva. Il problema è che lo stesso ‘baco’ ha trovato terreno fertile anche in altri Paesi europei. Il Portogallo sembra la fotocopia dell’Irlanda, anche se ancora non ha vissuto una crisi bancaria vera. La Spagna è un po’ meglio, ma non più di tanto. Anche Danimarca e Gran Bretagna hanno settori bancari gonfiati.
In altri Paesi, invece, il ‘baco’ non è arrivato dalle banche ma dai conti pubblici: è il caso della Grecia. E, seppur in termini inferiori, di Italia e Belgio.
Per capire dove stiano i maggiori rischi, «Il Sole 24 Ore» ha avuto accesso in esclusiva ad alcuni dei dati elaborati da Bain & Company. Non si tratta di dati teorici, ma operativi: la società di consulenza ha infatti lavorato per il salvataggio di Anglo Irish Bank, di Northern Rock e di Dexia, per cui ha toccato con mano i veri problemi delle banche e degli Stati in crisi.
È riuscita dunque a capire quali siano i fattori di rischio e, andando in giro per l’Europa, ha paragonato l’Irlanda ad altri Paesi. Questi stessi dati, che parzialmente «Il Sole 24 Ore» può pubblicare, ora sono in mano a governi e banche centrali di molti Stati, a partire dal Portogallo. Governi che ora si trovano di fronte a un dilemma: salvare ancora le banche, oppure salvare i conti pubblici? La coperta, ormai, è corta.
La tana del baco: Irlanda
È il caso dell’Irlanda. Qui il problema è nato dal mercato immobiliare, cresciuto dal 2000 al 2007 ben 2,1 volte più velocemente del Pil. Nello stesso periodo le banche hanno raddoppiato l’esposizione sul settore immobiliare: il credito al settore privato è passato dal 111% del Pil del 2001 al 217% del 2008. È questo che ha ingigantito la leva: il rapporto tra portafoglio crediti e i depositi, per l’intero sistema bancario, è infatti arrivato al 215%. Troppo: si pensi che il Fondo monetario considera come limite massimo sostenibile il 110%. Dall’altra parte della medaglia, mentre le banche gonfiavano i bilanci, le famiglie gonfiavano i debiti: nel 2008 il valore delle case era così 11 volte più elevato del reddito disponibile.
Questo, nel 2007, ha prodotto un vero e proprio vortice. Il mercato immobiliare ha iniziato a calare, dunque le banche e le famiglie hanno iniziato a incassare perdite. Così il sistema bancario è caduto in un deficit di capitale e lo Stato è dovuto intervenire con clamorose nazionalizzazioni. Ma questo non ha ridato fiducia e non ha bloccato la fuga di capitali: il credito sul mercato interbancario si è rarefatto e ben presto è iniziata l’emorragia di depositi.
Questo ha costretto le banche a vendere gli immobili pignorati alle famiglie e, di conseguenza, ha abbassato ulteriormente il prezzo delle case. Facendo riavvitare lo stesso vortice: capitale insufficiente per coprire le perdite e liquidità sempre più rarefatta. Dal 2007 il valore degli immobili commerciali in Irlanda è crollato del 60% e quello delle case residenziali del 34%. Più i valori scendono, più la spirale si avvita. Ormai lo Stato non ce la fa più a salvare le banche: così, sul mercato, in tanti scommettono che Anglo Irish sarà costretta a dichiarare il default.
Il ‘baco’ in Europa
Quello che è successo in Irlanda potrebbe accadere in Portogallo. Il mercato immobiliare, tra il 2000 e il 2007, è cresciuto anche qui due volte più velocemente del Pil. Le banche hanno dunque un portafoglio di crediti pari al 154% dei depositi. La crisi non ha ancora ‘morso’ veramente – sebbene lo Stato abbia già chiesto aiuti – perché il prezzo delle case non è ancora calato in maniera vertiginosa. Ma probabilmente è tenuto elevato dal fatto che le banche ancora non sono state costrette a vendere gli immobili pignorati. Purtroppo i primi segnali di cedimento ci sono: sul mercato interbancario gli istituti hanno già perso il 15% di finanziamenti. I depositi della clientela ancora tengono, ma anche in Irlanda hanno iniziato a calare solo 18 mesi dopo la frenata del mercato interbancario. Dunque: la fuga della clientela retail potrebbe ancora arrivare. Questo avviterebbe una spirale simile a quella irlandese, con prezzi delle case – stima Bain – che potrebbero scendere del 33% dai massimi.
La Spagna è solo un po’ meglio. Il mercato immobiliare è cresciuto, rispetto al Pil, più che in Irlanda: Bain stima dunque che possa ora crollare del 38%. La bolla del mattone c’è. Però le banche sono mediamente più equilibrate di quelle irlandesi: il rapporto tra portafoglio crediti e depositi è solo al 114%. Il problema è che le banche spagnole stanno già perdendo fonti di finanziamento sul mercato interbancario: il calo della raccolta, su questo fronte, è stato nell’ultimo anno del 6%. Se si rispettasse il trend irlandese, il vortice arriverebbe anche qui. In Spagna. Il rischio, insomma, c’è. Soprattutto per le banche piccole, che già hanno dovuto ricapitalizzarsi.
E non è finita. Ci sono infatti altri sistemi bancari che sono arrivati alla crisi del 2008 molto sbilanciati. Per esempio in Svezia, Danimarca e Norvegia: il rapporto tra crediti e depositi è, rispettivamente, del 283%, del 259% e del 250%. Allarme rosso.
Grecia e Italia.
Ci sono poi paesi dove la crisi non è arrivata dalla bolla immobiliare, ma dai conti pubblici. Il caso di scuola è la Grecia. Il Paese ellenico aveva un debito pubblico del 120% del Pil nel 2008 e tende al 150%. Il sistema bancario era sano (il rapporto tra crediti e depositi resta intorno al 100%), ma l’esplosione del debito e del deficit pubblico ha messo in ginocchio l’intero paese. Anche il sistema bancario, bersagliato ora da una fuga di capitali e di depositi simile a quella irlandese. Morale: l’intero paese è ora praticamente in default e il sistema bancario non può più trovare finanziamenti sul mercato.
Prendendo i confronti con le pinze e le dovute cautele, questo è lo stesso rischio che corre il sistema bancario italiano. Anche qui gli istituzioni creditizie sono sane. La crescita del mercato immobiliare è stata in linea con quella del Pil. Il totale crediti ammonta al 133% dei depositi. Nulla di sproporzionato, insomma. Il problema per le banche italiane è il costo dei finanziamenti: a causa del rischio-Paese, pagano sempre di più per reperire risorse. Nulla di preoccupante, per ora. Ma se il rating dell’Italia dovesse essere declassato, come S&P minaccia, allora i problemi potrebbero aumentare. Un motivo per intervenire. Subito.
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