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Lasciamo fallire e risorgere la Grecia (e crepare i cds)

A meno che un paese non si fermi un attimo a pensare per arrivare infine alla conclusione più logica: ma chi me lo fa fare? E decide che certi debiti non devono essere restituiti.Più tardi lo fa, peggio è; per quel paese e per tutti i creditori (più si iniste con gli “aiuti”, più aumenta il debito del paese e il rischio dei creditori).

Il problema, con la creazione di un mercato mondiale davvero unico, è che nessun paese “vive” più da solo. La rete delle relazione e dei rapporti economici è così denza che ogni scelta drastica – come un default – ha conseguenze per molti altri soggetti economici.

Questo articolo de IlSole24Ore di oggi ne illustra alcuni benissimo. Si strangola la Grecia per impedire che un certo universo dei “prodotti finanziari derivati” (i credit default swap, in primo luogo) subisca danni rilevanti. Un modo privatissimo, senza regole né confini nazionali, dai meccanismi automatizzati, proprietà di poche migliaia di persone senza volto né nome e disabitato dal resto dell’umanità. Evanescente come una farfalla, mortale come una tigre.

Non è per “salvare” questa gente che i popoli europei possono essere chiamati a svenarsi. Lasciamo fallire in santa pace la Grecia, lasciamo fallire i suoi creditori più allupati. Il potrà così risollevarsi e i secondi dovranno cambiare – forse – mestiere.

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Cosa succede sul mercato dei derivati se fallisce la Grecia. I rischi della “bomba Cds”

 Antonio Pollio Salimbeni e Andrea Franceschi


E se un default fosse salutare per l’economia greca?
Nei giorni caldi della crisi di Atene l’Economist ha pubblicato sul suo sito un grafico da cui emerge che gran parte dei paesi falliti negli ultimi dieci anni ne hanno in qualche modo beneficiato in termini di crescita economica. La Russia è il caso più eclatante. Nel quinquennio precedente al crack del 1999-2000 il Pil ha registrato un calo del 5 per cento. Dopo il default invece si è registrato una crescita del 7% dell’economia. Lo stesso è successo per altri paesi come l’Argentina, l’Indonesia e l’Uruguay.

Qual è la differenza con la Grecia? E perché si tenta di evitare in tutti i modi il default? Innanzitutto perché Atene fa parte dell’Eurozona. Il suo crack avrebbe conseguenze pesanti sulla tenuta della moneta unica e rischierebbe di innescare un effetto domino per via della forte esposizione del sistema bancario e della stessa Bce in bond greci. Un’altra grande differenza tra la Grecia e i casi di Argentina e Russia è poi che, quando questi paesi fallirono, non erano molto diffusi derivati come i credit default swap, contratti che assicurano contro il rischio fallimento.

A quanto ammontano i cds sulla Grecia? La Depository Trust & Clearing Corporation, società americana leader nelle statistiche su questi prodotti, fornisce due dati: il nozionale netto e lordo dei contratti. Il primo è pari a poco più di 5 miliardi di dollari e, indicativamente, rappresenta la cifra massima che, in caso di bancarotta di Atene, le banche e assicurazioni che hanno venduto credit default swap sulla Grecia dovranno rimborsare al mercato. Il valore nozionale lordo è invece pari a oltre 79 miliardi di dollari. La differenza tra lordo e netto sta nel differente modo di conteggiare i contratti. Cioè se A vende a B un derivato che vale 100, il nozionale lordo certificato da Dtcc è 200, perché tiene conto sia della vendita e dell’acquisto. Il valore netto invece è pari a zero perché l’operazione di vendita annulla quella di acquisto.

Le statistiche della Dtcc possono dare solo un’indicazione di massima su quello che potrebbe essere l’effetto della “bomba Cds” in caso di un eventuale default della Grecia. Il mondo dei derivati, con tutte le sue opacità, resta tuttora un’incognita. Gli interventi legislativi per regolamentare questi strumenti, in Europa e negli Stati Uniti, sono lontani dal manifestare la propria efficacia. In passato questi strumenti di finanza strutturata hanno causato una serie vittime. La più illustre è sicuramente il colosso americano delle assicurazioni Aig. Alla fine del 2008 la società, incapace di rimborsare i possessori di polizze sui famigerati “mortgage bonds”, venne nazionalizzata dal Governo degli Stati Uniti.

All’Eurogruppo non vogliono sperimentare effetti collaterali di questo tipo. La parola d’ordine del dossier Grecia è quindi evitare il default. Per questo si insiste sulla natura volontaria di un eventuale coinvolgimento dei privati nel salvataggio della Grecia. Grazie a questo escamotage si eviterebbe il “credit event” che farebbe scattare il rimborso ai possessori di derivati. Insomma un modo per fermare la prima tessera del domino.

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