L’Islanda, dopo la crisi economica che l’ha messa in ginocchio nel 2008, ha cambiato rotta: si arrestano banchieri e alti dirigenti strettamente collegati con le operazioni finanziarie a rischio che hanno condotto sull’orlo del default, si scrive una nuova Costituzione con un regime di protezione per libertà di informazione ed espressione. I cittadini islandesi, con due voti referendari del 2009 e del 9 aprile 2011, hanno detto chiaramente che non vogliono sobbarcarsi i costi di una crisi finanziaria provocata da istituzioni private. L’ultimo voto risale al 9 aprile scorso: 230mila cittadini hanno detto no all’accordo per l’indennizzo di 3,9 miliardi di euro per centinaia di migliaia di risparmiatori britannici e olandesi, defraudati dalla banca islandese online Icesave nel 2008. “Non verseremo soldi per far restare in vita banche private. Lo Stato non si assume la responsabilità del fallimento di banche private” ha dichiarato il presidente islandese Olafur Grimsson. Una scelta opposta rispetto a quella del 2008, quando lo Stato nazionalizzò le tre maggior banche del Paese, arrivata nonostante le minacce di isolamento dalle istituzioni finanziarie internazionali: conseguenza che la nuova Islanda del dopo-crisi non sembra temere. In Islanda a metà giugno sono stati arrestati nove banchieri e trader considerati responsabili del crack finanziario che ha coinvolto lo stato islandese nel 2008, portandolo sull’orlo della bancarotta.
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