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Finanza iper-creativa. Se Atene può svalutare restando nell’euro…

Ubs: la Grecia può svalutare restando nell’euro. Come? Con l’Iva sociale

di Vittorio Da Rold

«La Grecia può svalutare restando nell’euro», suggerisce un’originale ricerca di Ubs, il gigante svizzero del credito, sulla complessa situazione greca che da 21 mesi tiene tutti i mercati sulla corda. Il report sembra a prima vista una provocazione, una classica boutade estiva ma, a un’attenta analisi, non lo è affatto. Anzi, il sasso (metaforicamente parlando) lanciato nello stagno di Atene dai ricercatori elevetici autori della ricerca (“Yes, Greece could devalue, while staying in the euro”) potrebbe avere importanti effetti in tutta Europa e la sua competitività. Vediamo perché.

Il piano di salvataggio elaborato a maggio del 2010 da Ue e Fmi (110 miliardi di euro cui un terzo a carico del Fondo, seguito da un altro a luglio 2011 da altri 109 miliardi, di cui sempre un terzo a carico delle casse dell’istituzione internazionale basata a Washington) per la Grecia dovrebbe essere considerato come una caso unico, in quanto è stato predisposto per un Paese che non può svalutare. In realtà non è proprio così poiché esistono esempi recenti di interventi del Fmi in Paesi che non potevano svalutare.

La Lettonia è l’ultimo esempio in proposito poiché il piccolo Paese baltico non poteva svalutare perché un grande parte delle passività dei privati erano in valuta estera, così una svalutazione avrebbe creato un’ondata di fallimenti. Anche il Senegal, alla fine degli anni 1990, è un altro esempio, essendo parte all’epoca dell’area del Franco CFA, una svalutazione non era possibile.
Tuttavia, la Grecia potrebbe utilizzare una “quasi” svalutazione, chiamata “IVA sociale” nella letteratura economica.

Come funziona questo sistema alternativo alla svalutazione monetaria?
La maggior parte dei costi di finanziamento della previdenza sociale è sostenuta da contributi sul lavoro. A seconda del Paese, la più grande percentuale di questi prelievi pesano sui datori di lavoro o sui lavoratori dipendenti. Il risultato però è sempre lo stesso: il costo del lavoro aumenta. Questo fenomeno crea un effetto collaterale indesiderato: settori esposti alla concorrenza internazionale sono meno competitivi poiché il loro costo totale del lavoro aumenta in proporzione alle tasse sul lavoro. Che fare, allora? Gli economisti dell’Ubs non si sono persi d’animo e hanno pensato di suggerire di spostare il prelievo per i contributi sociali verso il consumo – cioè di utilizzare l’Iva per finanziare i costi sociali. Da qui il nome di “Iva sociale”.

Questo spostamento della tassazione dal lavoro ai consumi ha il vantaggio ovviamente di ridurre il costo del lavoro, ma ha anche il vantaggio di tassare le importazioni, che è un modo per spostare parte del carico all’estero.
La base imponibile è molto ampia (circa i due terzi del Pil derivano dai consumi) – così che qualsiasi aumento dell’Iva è molto efficiente in termini di entrate governative.

Questo spostamento ha effetti molto simili alla svalutazione della moneta. Come, però? La svalutazione monetaria ha come effetto quello di rendere le esportazioni più competitive e le importazioni più care. Gli economisti in genere sostengono che l’indicatore migliore di competitività del Paese è il suo tasso di cambio corretto per i costi del lavoro.
L’idea del report è semplice: invece di svalutare il tasso di cambio, l’aggiustamento è ottenuto da un taglio del costo del lavoro, o più precisamente dal prelievo del contributo previdenziale componente del costo del lavoro.

L’obiettivo della svalutazione è anche quello di ridurre le importazioni. Con l'”Iva sociale” si raggiunge anche questo risultato. In primo luogo l’aumento dell’Iva fa crescere anche il prezzo delle merci importate. Ma la svalutazione cambia anche il prezzo relativo dei beni importati rispetto a prodotti nazionali, che non è il caso di un aumento generalizzato dell’Iva. E allora che fare? L’idea, ancora una volta, è che – mentre l’aumento dell’Iva è compensata da un taglio dei contributi sociali – il costo di produzione di beni domestici sarà ridotto, e il loro prezzo rispetto ai prodotti importati subirà un calo diventando così più competitivi.

I predecenti storici.
Sicuri che il sistema possa funzionare? Nell’Economic Review 2010 per l’Ungheria, l’Ocse osserva che: «Nel 1987, la Danimarca ha implementato una riforma in questo senso. Più recentemente, la Germania (2007) e l’Ungheria (2009) hanno aumentato le aliquote Iva con cui in parte o completamente finanziare i tagli ai contributi previdenziali, da cui il nome di “riforma dell’Iva sociale” dato a volte a questo tipo di riforme».
In Danimarca, tra il 1987 e il 1989 i contributi sociali versati dai datori di lavoro sono stati ridotti dal 50% al 30%, taglio finanziato da un aumento del 3% nell’aliquota Iva al 25%. Di conseguenza, l’Iva rappresenta il 33% delle entrate pubbliche in Danimarca, contro il 29% in media nella Ue e il 31% nell’area Ocase.

Allo stesso modo, nel 2007 la Germania ha aumentato il tasso di 3 punti percentuali dell’Iva al 19%, riducendo al tempo stesso i propri contributi previdenziali dal 6,5% al 4,2%.

Se ora si passa dal singolo esempio a guardare la struttura fiscale dell’area dell’euro, si evidenzia che negli ultimi due decenni la quota di contributi previdenziali in entrate dei governi è diminuita, mentre la percentuale delle imposte indirette è aumentata. Inoltre la somma di queste due fonti di introiti è rimasto stabile negli ultimi 20 anni, suggerendo che, di fatto, i governi hanno spostato seppur lentamente la base imponibile dal lavoro (contributi sociali) ai consumi (imposte indirette), un dibattito che si è sviluppato anche recentemente in Italia.

L’esempio greco
Una parte dell’equazione dell'”Iva sociale” è stata messa in atto in Grecia: per ora la prima parte, quella relativa all’aumento dell’Iva. La Grecia ha aumentato l’Iva già due volte lo scorso anno, spostando l’aliquota principale dal 19% al 23%, provocando parecchi malumori. Si tratta di un aumento di entrate Iva del 20% circa, un ritmo di incremento molto più veloce rispetto all’aumento medio delle altre entrate. Ma sul contributo di previdenza sociale, non c’è stato nessun taglio di compensazione. La Grecia non è sicuramente in condizione di ridurre ora i contributi per la sicurezza sociale.

La base imponibile per i salari è molto ampia, in genere circa due terzi del Pil, quindi il taglio non è un’opzione per ora. L’aggiustamento del costo del lavoro arriverà dunque essenzialmente dalla parte dei salari dell’equazione. Atene ha abolito la 13° e 14° mensilità dei salari nel settore pubblico (cioè il 14% di riduzione degli stipendi ai dipendenti del settore pubblico), ma ha visto anche il brusco aumento del tasso di disoccupazione, passato al 14 per cento. Per ora il recupero di competitività si è ottenuto solo riducendo i salari che a loro volta fanno ridurre i consumi e l’import di beni esteri. Se ci fosse una riduzione anche dei contributi sociali sul costo del lavoro il recupero di competitività sarebbe più forte.

Certo il leader dell’opposizione conservatrice Antonis Samaras e il premier greco George Papandreou del Pasok dovrebbero trovare un’intesa sulla materia: cosa non impossibile perché questa riduzione dei contributi (magari dilazionata nel tempo) sarebbe in linea con le richieste di sgravi dell’opposizione di Nea Democratia e darebbe spinta all’export ellenico come vuole il governo socialista.

Il Portogallo è andato su un percorso simile con aumenti Iva dal 20% al 23 per cento. Come nel caso della Grecia, non vi è stato alcun taglio in compensazione del contributo sociale. La situazione fiscale non lo consente. Anche gli stipendi dei dipendenti pubblici di Lisbona sono stati tagliati. Inoltre, un alto funzionario presso il ministero delle Finanze all’inizio di quest’anno, prima delle elezioni, ha confermato che “l’Iva sociale” faceva parte del piano. L’aumento dell’Iva è stato il primo passo, il governo aveva intenzione di procedere con l’altro lato dell’equazione, il taglio dei contributi sociali, non appena qualche margine di manovra fiscale fosse stato trovato. Il Governo è cambiato da allora, ma sicuramente il progetto è ancora vivo.

27 luglio 2011

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