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Tobin tax, nulla di rivoluzionario

Tobin, la tassa che non piace ai traders

di LEONARDO BECCHETTI

La tassa sulle transazioni è meglio nota come Tobin tax poiché l’idea divenne popolare a seguito della proposta del noto economista James Tobin che nel 1972 propose di imporre una tassa sulle transazioni per “gettare sabbia negli ingranaggi dei traders” dei mercati internazionali dei cambi, le cui turbolenze erano poca cosa rispetto a quanto accade oggi ma iniziavano ad ogni modo a preoccupare. Poco dopo il suo concepimento, la Tobin fu seppellita dalle critiche degli stessi economisti che sostenevano che la tassa fosse troppo difficile da raccogliere e facile da eludere, generando fughe di capitali verso i paesi che non l’applicavano e impedendo di fatto l’attuazione in un’area geografica limitata che non fosse l’intera economia mondiale.

Queste classiche obiezioni sono state decisamente confutate dalla ricerca più recente, riassunta in un quaderno di ricerca dello stesso Fondo Monetario Internazionale che evidenzia come tasse Tobin  (nulla di diverso dai tradizionali fissati bollati) siano di fatto in vigore in circa 13 paesi senza aver provocato nessuna fuga dei capitali. Una delle tasse sulle transazioni più elevate è in vigore proprio nella City di Londra che si finanzia con una Duty Stamp Tax dello 0.5 percento del valore di tutti i titoli acquistati sulla sua borsa. La contrarietà del Regno Unito alla proposta anglo-francese dunque non ha nulla di ideologico ma si basa sul semplice fatto che il paese non vuole perdere un privilegio di cui già gode quasi in esclusiva e rappresenta un vantaggio comparato per finanziare le proprie attività rispetto alle altre piazze finanziarie europee.

Anche a seguito di questi risultati il consenso verso la tassa è progressivamente cresciuto anche tra gli accademici. In Italia un appello di 130 economisti 2 ha sollecitato la sua applicazione. L’appello è poi confluito in uno di 1000 accademici a livello mondiale 3 tra i quali fanno spicco i nomi di Stiglitz, Rodrik e Atkinson. Sulla Tobin Tax esiste da anni una mobilitazione a livello internazionale guidata da associazioni come Attac 4. I calcoli sul prelievo possibile dalla tassa variano oscillando dai 100 ai 400 miliardi di dollari l’anno. Una volta raccolta si pone il problema del suo utilizzo (finanziamento beni pubblici globali, Millennium Goals?) anche se la riparazione dei guasti alle finanze pubbliche generati dalla crisi finanziaria sembra una delle destinazioni più plausibili.

Per capire perché la Tobin ha oggi consensi crescenti da parte dell’opinione pubblica, degli addetti ai lavori e delle forze politiche dobbiamo fare un piccolo sforzo per capire la storia e la genesi di questa crisi nella quale, a livello internazionale, il salvataggio di grandi intermediari finanziari dal fallimento provoca l’indebolimento dei bilanci dei governi che vengono poi successivamente attaccati dagli stessi intermediari salvati.

Per capirci è come se un benefattore facesse una gigantesca trasfusione nei confronti di un malato in fin di vita per salvarlo e questo poi, per tutta riconoscenza, si rivolgesse verso il salvatore indebolito dalla trasfusione per pugnalarlo. Lo spettacolo più triste sono i commenti di alcuni presunti “esperti” che invece di cercare di intervenire sulle cause se la prendono con il salvatore dicendo che in effetti era cagionevole ed è sua la colpa di questo improvviso peggioramento di salute.  Se esistono colpe per la Grecia sicuramente non sono le eccessive spese sociali (ma i salvataggi delle banche) che hanno trasformato in un incubo il bilancio irlandese con un rapporto deficit/PIL del 30 percento (dieci volte i limiti di Maastricth) e un rapporto debito/PIL che esplode dal 29 al 120 percento in un anno.

Il merito della Tobin tax in questo contesto è quello di intervenire nella direzione giusta proponendo una restituzione di risorse dagli intermediari finanziari ai bilanci pubblici. Con l’ulteriore pregio di rallentare le operazioni ad altissima frequenza che ormai sono la gran parte di quelle che si svolgono sui mercati finanziari globali.

La proposta anglo-francese oggi ha ricevuto consensi bipartisan in Italia (Bersani dall’opposizione e Alemanno dalla maggioranza). Poco tempo fa persino il nostro governo l’aveva timidamente inserita in finanziaria con un’aliquota tre volte superiore a quella proposta dalla campagna internazionale 005 5 attraverso la quale decine di organizzazioni della società civile si battono da  tempo e lodevolmente per la sua introduzione. L’idea italiana era stata accantonata, si dice, anche a causa di una battuta di Trichet che sosteneva che gettare sabbia negli ingranaggi non risolve il problema.

Invece gettare sabbia negli ingranaggi è molte volte proprio la soluzione giusta. Un solo esempio: il mercato immobiliare negli Stati Uniti è noto per aver progressivamente abolito tutti i costi di transazione e “la sabbia negli ingranaggi” della compravendita di abitazioni (che invece esistono e sono numerosi in Italia). Questo ha trasformato gli immobili in attività speculative tanto che, alla vigilia della crisi finanziaria mondiale, il 26 percento degli acquisti di case era solo sulla carta per realizzare guadagni in conto capitale. La trasformazione delle case in titoli speculativi ha favorito la creazione di quella bolla dei prezzi degli immobili che è una delle cause scatenanti della crisi globale e ha generato successivamente un crollo dei prezzi delle abitazioni (tutt’altro che beni rifugio come da noi) da cui il mercato non si è più ripreso.  Qualche volta gettare sabbia negli ingranaggi sarà rozzo ma è il metodo più efficace attraverso cui gli apprendisti stregoni che hanno creato i Frankestein della finanza di oggi possono sperare di riprendere il controllo della situazione.

E’ del tutto evidente che la Tobin non basta e che vanno attuate una serie di riforme dei mercati finanziari per evitare il rischio di nuove crisi (riduzione della dimensione o aumento del capitale di vigilanza di intermediari too big to fail, divieto di trading proprietario delle banche, standardizzazione di tutti i mercati non regolamentati, limiti massimi sulla leva degli intermediari, ecc.) accompagnate da più disciplina nei conti degli stati nazionali e da una politica fiscale a livello UE. La Tobin è però il grimaldello attraverso il quale la società civile e la politica possono riprendere il controllo della situazione e la loro sovranità sui mercati finanziari. Una sua approvazione sarà il segnale che la politica ce la può ancora fare e la speranza che sia possibile proseguire anche con le altre riforme.

L’unica speranza in questi momenti difficili è che ormai siamo tutti dallo stesso lato della barricata nel tentativo di riprendere il controllo di meccanismi impazziti (che rischiano di distruggere il sistema travolgendo tutti). Non esistono più buoni o cattivi ma solo vittime e tutti insieme dobbiamo cercare la soluzione.

 

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Merkel e Sarkozy: stop dei fondi strutturali Ue a chi non riduce il deficit

Sospendere i fondi strutturali ai Paesi della zona euro che non riducono i loro deficit. È la proposta del presidente Nicolas Sarkozy e del cancelliere tedesco Angela Merkel, contenuta in una lettera indirizzata oggi al presidente dell’Ue, Herman Van Rompuy. «In futuro, i pagamenti derivati dai fondi strutturali e dalla coesione dovrebbero essere sospesi nei Paesi della zona euro che non si conformeranno alle raccomandazioni della procedura sui disavanzi eccessivi», hanno scritto.

Secondo i leader di Francia e Germania «questi cambiamenti dovrebbero essere integrati nel nuovo regolamento dei fondi strutturali e di coesione che saranno proposti per prossimo quadro finanziario pluriennale». «I fondi strutturali e di coesione devono servire a sostenere le riforme indispensabili che mirano a migliorare la crescita economica e la competitività nella zona euro», hanno ricordato. «Devono riguardare il miglioramento della competitività e la riduzione degli squilibri negli stati membri, a cui sono indirizzati raccomandazioni nell’ambito della procedura che riguarda gli squilibri eccessivi».

Intanto, dopo l’ok di Francia e Germania, l’ipotesi di una tassa sulle transazioni finanziare inizia a prendere piede. La Commissione europea presenterà una proposta legislativa durante l’autunno, probabilmente prima del vertice del G20 di novembre. Lo ha riferito oggi una portavoce dell’esecutivo comunitario, Cristina Arigho. L’ipotesi fredda i titoli della finanza, i più bersagliati dalle vendite in Borsa.

La proposta non trova però il favore della Gran Bretagna. A Londra un portavoce del governo ha spiegato che la tassa ha senso solo se applicata a livello mondiale «altrimenti le transazioni finanziarie abbandoneranno i paesi che la applicheranno unilateralmente». «Il governo continuerà le discussioni con gli altri partner internazionali in merito alla tassa sulle transazioni finanziarie – ha detto un portavoce del ministero delle finanze britanniche alla Afp – ma resta ben chiaro che qualsiasi tassa deve essere applicata a livello globale».

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1 Commento


  • LL64

    la tobin tax è certamente una nuova forma di imposizione che si aggiunge atutte le altre già esistenti. è una nuova forma di privazione di ricchezza che si aggiunge a vantaggio di una classe politica che ha derubato sistematicamente l’europa per farsi crediti elettorali. è dovere verso le future generazioni stoppare il proliferare di strumenti che vessanoi ill popolo . è il vecchio conflitto potere-popolo che si ripropone. combattere la tobin tax ha valenza di lotta per un futuro migliore

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