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La Germania non è invulnerabile

Dal Corriere della sera

Se la Germania si scopre attaccabile

FEDERICO FUBINI

A credere a certi segnali, si direbbe che l’austera Germania abbia più probabilità di fallire della Gran Bretagna. Domani magari gli investitori cambieranno ancora idea, ma ugualmente quel che è appena accaduto può far riflettere: ieri in mezz’ora la Borsa di Francoforte è crollata del 4%, per poi in parte riprendersi.

Poco dopo si è sparsa la voce che le agenzie di rating stavano per declassare anche il debito di Berlino, dopo quello americano; la smentita è arrivata subito, eppure il mercato nel frattempo aveva trovato la notizia perfettamente plausibile. Un’altra spia in realtà aveva iniziato a lampeggiare nei giorni precedenti: per la prima volta da tempo immemorabile, assicurare dall’insolvenza il debito di Berlino ora costa (leggermente) più che assicurare il debito di Londra.

Eppure la Germania non ha vissuto nessuna bolla immobiliare nell’ultimo decennio, la Gran Bretagna invece ne è stata travolta. Sulla razionalità del mercato si può discutere e certo essa non sarà mai superiore a quella delle persone che lo compongono. Ma se c’è un messaggio che gli investitori hanno mandato ieri, è che anche in Germania stanno emergendo i sintomi finanziari di un problema politico.

Un’intera strategia tedesca nei confronti del resto dell’area-euro inizia a toccare i suoi limiti. Per dieci anni la Germania con le sue banche ha prestato alla cosiddetta «periferia» d’Europa il denaro con cui questa ha comprato prodotti tedeschi. Poi l’equilibrio si è rotto per sempre quando la Grecia ha svelato, venti mesi fa, che il suo bilancio era falso. Da allora la cancelliera Angela Merkel ha seguito una linea a suo modo chiara: mostrarsi intransigente con i Paesi in crisi per prevenire una rivolta dei propri elettori, ma alla fine concedere i salvataggi per evitare il collasso dell’euro. Così Merkel ha sempre concesso il minimo indispensabile, il più tardi possibile. E stata una strategia razionale, dettata da vincoli reali, da parte di un Paese che non ha certo le responsabilità più gravi nella crisi.

Ma ora il mercato, e il calo di Merkel nei sondaggi, segnalano che non ha funzionato e che ora è tempo di scelte più nette. L’alternativa è sotto gli occhi di tutti: anziché salvare i sondaggi e la stabilità finanziaria, Merkel alla fine rischia di perdere entrambi.

 

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La Germania e il grande brivido – Un avvertimento per i dubbi della Merkel

 Romano Beda

I mercati non hanno sempre ragione. La crisi di questi anni ha dimostrato come possano sbagliare, avere la veduta corta, soprattutto quando non sono arginati dalla mano pubblica. Ma come ignorare la tempesta di ieri a Francoforte? I motivi del crollo non sono chiari. Evidente però è il nervosismo degli investitori dinanzi a una Germania in preda auna pericolosissima confusione politica.

Negli ultimi giorni gli scontri istituzionali e i diverbi politici si sono moltiplicati. In una Germania che va fiera, giustamente, della certezza del suo diritto e della serenità del suo dibattito, le tensioni si toccano con mano. Il riacutizzarsi della crisi debitoria, i timori di recessione economica, la paura sulla futura stabilità monetaria della zona euro sono diventati gli ingredienti di una miscela esplosiva. Ieri pomeriggio la Borsa tedesca ha perso i14% in 15 minuti.

I motivi non sono chiari. C’è chi ha parlato del timore di un divieto totale delle vendite allo scoperto (non più solo quindi di quelle senza sottostante); chi ha visto nel possibile mancato pagamento di Angela Merkel Cancelliere tedesco «La soluzione non passa per gli eurobond, ma non so se in futuro dovremo adattarci» Christian Wulff Presidente tedesco «Ritengo sia discutibile, sul piano legale, l’acquisto massiccio di titoli di Stato di alcuni Paesi» Helmut Kohl Ex cancelliere tedesco «La Germania corre il rischio di diventare marginale e imprevedibile» un’obbligazione comunale americana il primo segnale di un clamoroso fallimento; chi addirittura ha temuto una revisione al ribasso del rating tedesco. In realtà poco importa. I veri motivi sono da ricercare in un clima tedesco a fior di pelle nel quale la leadership del cancelliere Angela Merkel vacilla drammaticamente. Una piccola carrellata degli ultimi eventi parla da sé.

Da tempo molti deputati della maggioranza democristiana-liberale minacciano di bocciare l’accordo europeo di fine luglio nel quale la Germania ha accettato che il fondo di stabilità EFSF acquisti obbligazioni pubbliche sul mercato. I parlamentari rumoreggiano, temono che la scelta comporti la monetizzazione del debito e provochi l’instabilità monetaria. Possono contare sull’appoggio della Bundesbank che subito dopo l’ultimo consiglio europeo ha criticato in un insolito comunicato l’intesa; tanto che ieri il cancelliere ha deciso di cancellare una visita in Russia all’inizio di settembre pur di assistere al dibattito sull’EFSF al Bundestag. Due giorni fa poi il presidente della Repubblica Christian Wulff ha espresso dubbi legali sulla decisione della Banca centrale europea di acquistare obbligazioni, criticando la signora Merkel che quella scelta l’ha avvallata. Il capo dello Stato si è anche chiesto: «Chi salverà alla fine il salvatore?». Il riferimento è alla Germania chiamata a finanziare il salvataggio dei Paesi deboli e che così facendo potrebbe rischiare la propria solidità. Raramente in questo paese lo scontro tra le due massime cariche dello stato era stato così clamoroso. Peraltro sempre mercoledì anche l’ex cancelliere Helmut Kohl ha attaccato la stessa signora Merkel, accusando la sua Germania di non essere più «una potenza affidabile» in politica estera. Ha previsto «conseguenze catastrofiche» se il rapporto con la Francia non venisse coltivato adeguatamente.

Qualche ora prima dell’intervento di Kohl, il ministro del Lavoro Ursula von der Leyen aveva suggerito che anche la Germania, come la Finlandia, chiedesse garanzie alla Grecia in cambio di aiuti. La Cancelleria era stata costretta a un’imbarazzante presa di distanza proprio mentre cresce l’attesa per la sentenza della Corte costituzionale sui ricorsi contro gli aiuti tedeschi al governo greco, prevista a inizio settembre. La crisi debitoria ormai sta mettendo in piazza tutte le insicurezze tedesche, tra dubbi, paure e preoccupazioni. Alle angosce poi contribuiscono i recenti dati economici che fanno presagire se non una recessione almeno un netto rallentamento, per non parlare dei sondaggi che danno il governo in grave difficoltà a qualche giorno da due consultazioni regionali, nella città-stato di Berlino e nel Meclemburgo Pomerania Occidentale. Sorprende se la Germania, ostaggio dell’emotività e in preda all’incertezza, provoca sui mercati nervosismo e timori mentre la zona euro è «sull’orlo del burrone», come ha detto Jacques Delors? Il crollo di Francoforte è durato qualche minuto e forse oggi verrà ampiamente recuperato, ma per la signora Merkel è un avvertimento che risuona forte e chiaro in tutta Europa. Lo stesso che ha lanciato ieri «Die Welt» esortando il cancelliere a mostrare «Orientierung», in altre parole leadership.

 

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Deutschland über alles ma nessun porto è sicuro

Fabio Pavesi

E’ ilcuore d’Europa. Il paese a cui tutti guardano (e si affidano) quando le cose volgono al peggio. Lo scossone di ieri sul listino di Francoforte ha preso senza dubbio in contropiede buona parte degli osservatori Ben pochi si aspettavano che la lunga mano dei ribassisti potesse avventurarsi, anche se solo per pochi minuti, in terra tedesca. Quasi come violare un santuario: quello della solidità e credibilità fmanziaria per eccellenza.

Certo è stato un episodio circoscritto e di fatto poco influente. Ma dietro all’incidente di percorso cui è scivolato il listino tedesco c’è da scommettere che sia sorta più di una suggestione. L’attacco ora arriva al cuore d’Europa, qualcuno avrà pensato, e il focolaio non è più circoscritto agli «inaffidabili» paesi dell’Europa meridionale. E ancora qualcun altro avrà pensato alle voci recenti di un declassamento della Francia e della sua tripla A. O ai rumor sulla crisi di liquidità di Société Generale che avevano fatto tracollare la banca francese a metà agosto. Voci e rumor subito stoppati, ma tant’è.

Quando la paura prende il sopravvento tutto diventa possibile. In realtà fuor di metafora quanto accaduto ieri sul mercato tedesco ha una possibile spiegazione del tutto razionale. E in fondo prevedibile. Se le Consob di mezza Europa continentale vietano le vendite allo scoperto restava (e resta) il listino di Francoforte su cui c’è campo libero per chi gioca al ribasso le proprie carte. E giocoforza l’esercito degli shortisti ha spostato proprio lì le proprie truppe. Che però non è come dare l’assalto alla piccola Popolare di Milano o qualche piccolo titolo industriale. Lì a Francoforte la partita si fa pesante. Meglio soppesare bene forze ed energie prima di partire all’attacco.

Ma al di là del fatto in sé, e cioé che il Dax diventi in Europa il luogo dove operare vendite allo scoperto, resta il valore simbolico di quel timido attacco. Che vale più del fatto in sé. Certo la Germania è il cuore d’Europa e il paese più solido della compagine un po’ raffazzonata dell’eurozona. Ma questo non la rende il rifugio perfetto, quello del tutto immune dalle tempeste.

 

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Bernanke agita le Borse, Francoforte va giù

FEDERICO RAMPINI

NEW YORK

Non è bastato il colpo a sorpresa del “saggio di Omaha”, Warren Buffett, che ha puntato 5 miliardi di dollari sulla Bank of America proprio quando al tri investitori fuggivano d ai titoli bancari. Nonostante questo “voto di fiducia” del più autorevole finanziere americano verso la più grossa banca nazionale, l’effetto-Buffett ieri è durato poco. I mercati hanno esaurito l’euforia dei primi giorni della settimana. L’attesa salvifica di nuovi interventi della Federal Reserve–forse infondata fin dall’inizio – si è smorzata alla vigilia dell’atteso discorso di Ben Bernanke. Oggi il banchiere centrale americano chiude il tradizionale meeting estivo di Jackson Hole. All’inizio della settimana proprio le illazioni sui suoi possibili annunci avevano diffuso ottimismo. Altri segnalinegativiieri sonovenuti dall’economia reale, con un nuovo rialzo della disoccupazione Usa. E si è riaperto di colpo un fronte di paura nell’eurozona. La giornata è stata agitata da alcune dimissioni nel governo greco, e soprattutto da voci poi smentite di un inaudito downgrading della Germania. Non ha rasserenato il clima l’annuncio di Angela Merkel che ha cancellato un viaggio in Russia. La cancelliera deve rimanere in patria per preparare il dibattito parlamentare sullo European Stability Mechanism. La Borsa di Francoforte dopo una caduta del 4% ha chiuso a meno 1,7%, Milano ha perso lo 0,25%. A Wall Street, dove l’indice Dow Jones ha perso 1’1,5%, l’inversione di tendenza è stata netta rispetto all’inizio della settimana. Nonostante Buffett, il cui intervento salva-banche è stato paragonato a quello dei fondi sovrani cinesi e arabi durante la crisi del 2008 (ma i cinesi investirono al momento sbagliato, Buffett è convinto di avere azzeccato i tempi), i mercati hanno iniziato a prepararsi alle possibili delusioni di oggi.

L’ottimismo dei giorni precedenti era appeso a una scommessa: che la Fed annunci nuovi interventi di emergenza a sostegno dell’economia americana. Si tratterebbe di riprendere quella terapia definita “quantitative easing” (“rilassamento quantitativo”) a base di massicci acquisti di titoli di Stato. Per comprare i titoli la Fed di fatto stampa moneta e quindi inonda di liquidità l’economia. Inoltre i suoi acquisti fanno salire il prezzo dei buoni del Tesoro, e inversamente scendono i tassi d’interesse. Già in due occasioni la Fed ha fatto ricorso a questa manovra eccezionale, per scongiurare la recessione. Poiché i segnali di una possibile ricaduta in recessione sono evidenti, i mercati avevano cominciato a sperare in una “terza puntata”.

Ma non è affatto detto che Bernanke oggi annunci il “tris”. Le iniezioni di liquidità in passato hanno forse evitato disastri peggiori, ma non hanno rimesso l’economia americana su un sentiero di crescita vigorosa e durevole. La spiegazione sta in un limite della “pompa Bernanke”: quella liquidità finisce a chi ne ha già, non a chi ne avrebbe bisogno. Le imprese sane rigurgitano di liquidità ma non la usano per assumere. Le famiglie che hanno accesso al credito stanno aggiustando i propri bilanci per ridurre i debiti, anziché consumare di più.

 

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