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Ma chi salverà il fondo salva-stati?

Gli articoli che proponiamo qui di seguito descrivono la preoccupazione con cui il mondo delle imprese (il giornale da cui sono tratti è il quotidiano di Confindustria) guarda alla vicenda del “fondo salva stati”. Un fondo per salvare un debitore dovrebbe essere “una garanzia”, ovvero ricco di patrimonio e privo o quasi di debiti. Ma se – com’è stato deciso nel vertice Ecofin di qualche giorno fa – questo fondo potrà agire “a leva finanziaria”, ovvero indebitandosi, chi è che salva chi?

Il corto circuito, però, non è puramente logico (magari lo fosse…), ma assolutamente concreto. E rischia di inceppare il meccanismo ancora prima di metterlo alla prova. Diceva un vecchio economista conservatore come Von Hajek che “in economia non esistono pasti gratis”. Ogni funambolismo finanziario viene pensato per aggirare questa in fondo banale constatazione. Ma alla fine del tourbillon, si deve tornare con i piedi per terra. Si chiama crisi, e la soluzione non è mai indolore. Però è un’occasione per cambiare.

 

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Fondo salva-Stati alla prova dei tassi

di Morya Longo
Le Borse avranno anche festeggiato nella speranza che l’Europa risolva la sua crisi potenziando il fondo salva-Stati, il cosiddetto Efsf. Ma nelle stesse giornate di “euforia”, sui mercati finanziari è emersa anche un’altra verità: un crescente timore. Da quando gira voce che il fondo possa essere potenziato, utilizzando anche la leva finanziaria (cioè il debito), i bond decennali dello stesso fondo hanno infatti iniziato a deteriorarsi.

Il 15 giugno quelli decennali furono emessi con un rendimento pari a 0,17 punti percentuali sopra il tasso swap (il rischio-zero in Europa). Ma dal 16 settembre, quando all’Ecofin in Polonia è emersa la possibilità di dare anabolizzanti (cioè debiti) al fondo salva-Stati, lo spread è iniziato a salire: prima è arrivato a 26 punti base (il 16 settembre stesso), poi a 33 (una settimana fa), infine a 40 (ieri sera). Segno che il fondo stesso, su cui tante speranze sono riposte, è percepito sempre più a rischio.
I motivi sono ovvi. Il fondo già ora mostra qualche minima crepa nella sua solidità, tanto che da tempo si ipotizza che possa addirittura perdere il rating di “Tripla A”: se un domani potesse aumentare la sua leva finanziaria, cioè il suo debito, è ovvio prevedere che la sua rischiosità possa salire.

Questo significa che il suo rating potrebbe eventualmente scendere e, di conseguenza, che il costo dei suoi finanziamenti potrebbe aumentare. Questo, alla fine, rischierebbe di inficiare la sua stessa missione: quella di salvare gli Stati finanziandosi a tassi bassi. Ma c’è anche un altro motivo che desta perplessità sul mercato: dotare il fondo di una leva (cioè di debito) per salvare Stati troppo indebitati, sarebbe come – per usare le parole del ministro tedesco Schäuble – spegnere il fuoco con altro fuoco. Credit Suisse calcola che nelle economie sviluppate ci siano 8mila miliardi di debiti di troppo. Partendo da questo dato, una domanda è ovvia: non è rischioso iper-indebitare anche il fondo salva-Stati?

Se il fondo toccasse il fondo
Ancora nessun accordo è stato raggiunto su come potenziare il fondo Efsf. Attualmente questo organismo, nato per salvare il Portogallo e l’Irlanda, vanta garanzie da tutti gli Stati europei per 440 miliardi: a fronte di questo patrimonio, il fondo può però indebitarsi per soli 250 miliardi. Attualmente i Parlamenti europei stanno approvando un primo rafforzamento, aumentandone garanzie e dotazione. In ogni caso il fondo oggi non ha una “leva”, ma anzi ha più garanzie che debiti. L’ipotesi allo studio, però, è di fare il contrario: dotarlo di leva. Cioè permettergli di avere più debiti, dunque più soldi da spendere, rispetto al capitale.
Ancora non si sa come, però.

Qualcuno propone di lasciare le garanzie degli Stati al livello attuale, permettendo però al fondo di indebitarsi sul mercato fino a 1.500 o 2mila miliardi di euro. In questo modo si aumenterebbe la sua potenza. Ma anche il suo rischio. Qualcuno propone invece che il fondo si finanzi presso la Bce, diventando una banca. Qualcuno ipotizza invece che il fondo possa semplicemente garantire in parte la Bce, quando questa acquista titoli di Stato di Paesi in crisi. Qualcun altro suggerisce invece di passare attraverso la Bei. Queste per ora sono solo ipotesi. Alcune delle quali, probabilmente, irrealizzabili senza modificare i Trattati europei. Ma già il dibattito ha aumentato il costo del debito del fondo Efsf. E questo non è un bene.

La leva che affossa il mondo
Anche perché di debito il mondo è già pieno. Calcola il Credit Suisse che dal 2008 il debito totale dei Paesi industrializzati sia nel complesso aumentato: quello privato è diminuito di mille miliardi di dollari, ma quello pubblico (degli Stati) è cresciuto di 8mila miliardi. Una montagna. Che riguarda gli Stati, ma anche i privati. Perché se i primi sono pieni di debiti, i secondi non sono da meno. Basti pensare che il settore privato (banche escluse) in un Paese come l’Irlanda ha, secondo Goldman Sachs, debiti che valgono il 370% del Pil. Dublino non fa testo, ma che dire del Regno Unito che cumula debito privato che vale più del doppio della ricchezza prodotta? Per gli Stati Uniti siamo al 163% del Pil.

Nella Vecchia Europa le cose non vanno meglio: famiglie e imprese tedesche hanno un’esposizione che vale il 142% del Pil; la Francia è oltre il 200% e la Spagna ha livelli di debito privato al 280% del prodotto interno lordo. Come se non bastasse ci sono le banche che hanno sempre mantenuto una leva troppo alta anche dopo Lehman: se, come avviene per molte grandi banche europee, il capitale azionario tangibile vale il 2% se non poco più delle masse che compongono l’intero bilancio, vuol dire che ci si espone a un rischio incalcolabile.

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“Tremila miliardi ora di cartone. L’Europa ha 20 giorni per farli veri ”

di Lucio Fero

Tremila miliardi di euro, per ora, per il secondo giorno consecutivo, le Borse ci credono, almeno un po’. Però di miliardi veri non se ne sono visti neanche uno su dieci dei tremila. Si sta fermi a quota 440, forse. Il Fondo Salva Stati, per decisione dell’Unione Europea, ha infatti una dotazione teorica di 440 miliardi appunto. Teorica, perché la Slovenia sta ancora votando sulla sua quota. E’ il 27 settembre e la Slovenia sta ancora votando su una decisione comunitaria del 21 di luglio. E che conterà mai la piccola Slovenia? Poco, ma la Slovenia non è sola. Il 28 settembre tocca alla Finlandia che non solo è un po’ più grandina della Slovenia, soprattutto Helsinki vuole “garanzie collaterali” per sborsare la sua quota. Nel governo finlandese c’è una nuova destra detta dei “veri finlandesi” che non vuole sborsare. Slovenia e poi Finlandia e le incognite sono due. Ma neanche la grande Germania ha già votato, anzi voterà giovedì 29 sulla sua quota. Si fatica ad arrivare a quota 440, figurarsi tremila miliardi. Al punto che in Germania e non solo c’è chi avverte: i tremila miliardi non pronunciamoli nemmeno prima di aver portato a casa i 440.

Già, perché chi li paga e chi li garantisce i tremila? Ai 440 miliardi, quando saranno diventati veri, sta appesa la Grecia. Anzi sta appesa a una pattuglia di deputati del Pasok, il partito socialista al governo, che minacciano di non votare le nuove tasse e le liberalizzazioni e privatizzazioni. Se manca quel pugno di voti, il governo greco cade. Senza quelle tasse e liberalizzazioni e privatizzazioni, l’Europa non versa alla Grecia gli otto miliardi di euro che alla Grecia servono per pagare gli stipendi. Otto miliardi che devono arrivare entro e non oltre metà ottobre. Se non arrivano, se il governo greco cade, la Grecia non paga e fallisce. Eventualità messa in conto, proprio nei famosi tremila miliardi. Sono tremila perché a tanto ammonta l’altezza della diga di miliardi da erigere per tenere le banche e gli Stati europei, tutte le banche e tutti gli Stati, con la testa a respirare fuori dall’onda del default greco. Scrivere tremila è come dire che quel default ci può essere.

Ma tremila miliardi chi li caccia fuori, da quali tasche vengono? L’Europa tutta in teoria potrebbe. L’Europa tutta ma non l’Europa come somma di Stati in ordine sparso. Domani a Strasburgo Manuel Barroso terrà il discorso sullo “Stato dell’Unione”. E dovrà dire che lo Efsf, il fondo oggi di 440 miliardi e domani di tremila può essere finanziato da tutti, tedeschi per primi, solo se ogni Stato europeo accetterà regole di bilancio stringenti. Chi caccia buona parte dei tremila miliardi può, forse, essere convinto a farlo dalla garanzia scritta che non sono soldi buttati (in Grecia) o regalati a chi ci fa sopra campagna elettorale (Italia). Il 17/18 ottobre si tireranno i conti all’Eurogruppo. Se tutto è andato bene, la Grecia avrà ancora il suo governo, avrà varato le dolorose misure interne e avrà intascato gli otto miliardi. Sloveni, finlandesi e altri saranno convinti e costretti. L’Europa avrà detto ai mercati, e al contribuente tedesco, che si mettono insieme i soldi ma anche le regole. Se uno solo di questi anelli della catena cede, allora i tremila miliardi nessuno li caccerà e ognuno si terrà i suoi di miliardi e peggio per chi non li ha. Venti giorni per decidere se l’Europa c’è e se l’euro resta. Venti giorni non di più. Sperando che nel frattempo le Borse e i mercati continuino a crederci. Venti giorni in cui governo e Parlamento italiano si occuperanno della “cabina di regia” da costruire intorno a Tremonti e della legge che vieta di pubblicare il contenuto delle intercettazioni. Legge almeno su un punto sacrosanta: è bene che i governi e i contribuenti europei, i mercati, gli investitori, i risparmiatori di tutto il continente non sappiano quel che si dicono al telefono i governanti italiani quando parlano tra loro di economia, debito, bilancio, default e spread. ( Fonte: www.blitzquotidiano.it)

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