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Vertice europeo, attesa e rinvio

 

 

 

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Galapagos
La Francia rallenta, S&P minaccia la tripla A. Piazzaffari recupera

I mercati, soprattutto europei, seguitano a guardare cosa accade con occhi strabici: uno cerca di interpretare le tendenza della congiuntura economica; l’altro di capire che cosa decideranno i 17 paesi dell’euro per tamponare la crisi dei debiti sovrani che oggi colpisce con virulenza la Grecia, ma che minaccia anche altri paesi. A partire dall’Italia e dalla Spagna per arrivare alla Francia.

Già, la Francia: i transalpini sembravano tranquilli, ma da un po’ di giorni anche loro sono al centro dei timori dei mercati e dei giochi della speculazione abituata a sparare «a zero» quando sente puzza di bruciato. Non a caso, lo spread tra il rendimento delle obbligazioni francesi a 10 anni (Oat) e quello dei Bund, i titoli tedeschi ad analoga scadenza ha raggiunto ieri un nuovo record a 119 punti base (1,19%) anche perché si fa sempre più strada la previsione di una riduzione del rating sovrano della Francia da parte delle agenzie di rating.

Moody’s lunedì aveva annunciato di essersi data tre mesi di tempo per decidere se l’outlook stabile per il rating sovrano francese è ancora giustificato, visto il peggioramento della situazione economica. Ieri Standard and Poor’s in uno studio ha avvertito che se lo scenario peggiora la tripla A è a rischio. Ma «agli occhi del mercato la Francia ha già perso la tripla A», ha commenta Philippe Hab, un famoso gestore di fondi. Tutti gli osservatori concordano su fatto che conservare il rating massimo in un periodo elettorale appare difficile, in quanto il governo sarà più attento agli umori dell’elettorato che non ha quello delle agenzie di rating che di fatto chiedono un miglioramento dei conti pubblici. Questo farebbe escludere che Sarkozy nei prossimi mesi possa prendere misure come l’aumento delle tasse e un taglio alle spese.
Eppure qualcosa sembra si stia muovendo: ieri mattina la stampa francese ha anticipato che il ministero delle finanze sta preparando un nuovo piano di misure anticrisi da 5 miliardi di euro, nella prospettiva di una prossima revisione al ribasso delle stime sulla crescita per il 2012. Martedì scorso, il ministro francese dell’Economia, Francois Baroin, aveva dichiarato che la previsione di un Pil in crescita dell’1,75% nel 2012 era «forse troppo alta». Aggiungendo che c’è il «rischio» di una crescita inferiore all’1,5%. Quanto inferiore? Il «consensus degli economisti» stima un Pil in salita di appena lo 0,9%. Al fine di rispettare l’obiettivo di riduzione del deficit al 4,5% del Pil l’anno prossimo «un nuovo piano nell’ordine di 5 miliardi di euro sarà necessario», ha indicato una fonte governativa citata dal quotidiano Les Echos. E questo perché, spiega Le Figaro, «una revisione di 0,5 punti della crescita rende necessario trovare 5 miliardi per far quadrare il bilancio».
Intanto ieri, dopo i forti cali di giovedì, i listini europei hanno chiuso in rialzo (Piazzaffari +2,8%) sulle attese che i leader europei riusciranno a trovare nel week end un accordo sull’utilizzo e il rafforzamento del fondo salva stati, tanto che lo spread Btp/Bund è ridisceso a 380 punti. Nonostante le rassicurazioni arrivate da Francia e Germania, su una possibile intesa, il presidente Eurogruppo, Jean Claude Juncker, ha dichiarato, tuttavia, che l’Eurozona sta dando un’immagine «disastrosa» a causa delle difficoltà a risolvere la crisi del debito sovrano e delle divisioni interne. Notizie non buone dalla Germania: dopo la discesa dell’indice Zew, ieri è stato comunicato che in ottobre è sceso anche l’indice Ifo, che misura la fiducia delle imprese.

    da “il manifesto” del 22 ottobre 2011

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    da Il Sole 24 Ore

    La lettera di dieci big della finanza: il fondo salva-Stati garantisca i bond sovrani

    Dieci grandi gruppi bancari e assicurativi europei, tra cui gli italiani Mediobanca, Unicredit e Generali, hanno scritto al direttore dell’Efsf, Klaus Regling chiedendo che il fondo salva-Stati venga utilizzato per «assicurare parte dei debiti sovrani» così da permettere ai privati di continuare a investire nei titoli pubblici dell’Eurozona senza incorrere in rischi eccessivi.

    Dopo aver lodato «il coraggio politico e l’impegno europeo» da parte di politici e parlamentari dell’Eurozona nel dotare il fondo Salva-stati con «garanzie finanziarie per 726 miliardi di euro», i firmatari della lettera – che includono anche i gruppi tedeschi Deutsche Bank, Commerzbank, Allianz e Munich Re, la francese Axa, la spagnola Banco Popular e Pimco, il più grande gestore di risparmio del mondo – sottolineano che adesso il compito è «quello di utilizzare questi fondi dei contribuenti nel modo migliore al fine di risolvere la crisi del debito sovrano nell’Eurozona».

    «Un elemento essenziale di questa soluzione – spiegano – è rendere accessibili a tassi sostenibili i debiti sovrani al finanziamento privato». I firmatari della lettera «credono fortemente che la proposta di permettere all’Efsf di assicurare parte dei debiti sovrani è uno strumento praticabile per assicurare questo risultato».

    «La possibilità per l’Efsf di sottoscrivere significative quantità di tale assicurazione senza ulteriori aumenti degli impegni esistenti dovrebbe essere un importante elemento in qualsiasi completo piano del governo europeo di indirizzare la crisi», si legge nella lettera.

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    Il colpo è al cuore dell’Europa intera

    di Isabella Bufacchi

    Non è soltanto l’Italia ma tutta l’Eurozona ad aver sfondato ieri la soglia del 6% sul rendimento dei BTp a dieci anni. Non è soltanto il rischio-Italia ma anche il rischio-sistemico incorporato nell’euro ad aver provocato ieri l’allargamento dello spread tra i BTp e i Bund, tornato di prepotenza a svettare oltre quota 400 punti. Il contagio tra gli Stati nella zona dell’euro non è più un fenomeno periferico perchè le tensioni estese alla Francia mettono ora in dubbio anche la solidità dei Paesi core.

    Nel tardo pomeriggio, quando si è diffusa la voce infondata di uno slittamento del vertice del Consiglio europeo di domenica, le sale operative che operano in titoli di Stato sono state investite da vendite pesanti da parte degli hedge fund che hanno colpito Italia e Spagna. Uno scatto di rabbia, forse di frustrazione in reazione al mancato accordo tra Germania e Francia sul funzionamento del fondo salva-Stati potenziato. In mattinata, però, già le aste dei titoli di Stato spagnoli e francesi erano state giudicate modeste dai traders, per colpa di una domanda che mostra continui segni di cedimento: e questo nonostante l’intervento della Bce sul mercato secondario a sostegno della performance dei Bonos spagnoli in offerta.

    L’Italia cresce poco o nulla da oltre un decennio ma di questi tempi, con il costo del rifinanziamento del debito pubblico alle stelle e un debito/Pil che non riesce a schiodarsi dal 120%, i vecchi problemi legati alla perdita di competitività sono esplosi, sono divenuti estremamente destabilizzanti e andranno corretti in fretta: hanno già contribuito al declassamento del rating sovrano italiano (uscito malamente dalla categoria della doppia ‘A’) da parte di Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch e hanno allontanato gli investitori stranieri dai BTp. L’Italia è il più grande emittente di titoli di Stato nell’Eurozona, ha un calendario di aste fittissimo denominato in centinaia di miliardi di euro l’anno e la Bce deve intervenire sul secondario in maniera decisa (anche se gli acquisti non sono massicci) per frenare l’ascesa dei rendimenti dei titoli di Stato italiani a media-lunga scadenza.

    Tutto questo inevitabilmente ha continuato a riflettersi ieri nel rendimento al 6% e nel differenziale BTp-Bund a 400. Ma questi numeri rivelano anche l’escalation del contagio e del rischio-sistemico, dove i mercati mettono in dubbio la tenuta dell’intero impianto della moneta unica, non dell’Italia. Il cambiamento alla guida della Bce, che coincide con un nuovo picco di incertezza nell’eurozona, diviene così fonte di ulteriore preoccupazione per gli operatori in titoli di Stato che si domandano cosa accadrà al Securities markets programme con l’arrivo di Mario Draghi all’Eurotower.

    Cosa farà il nuovo presidente della Banca centrale europea? È su questo infatti che si interrogano i traders. Draghi confermerà l’impostazione di Jean-Claude Trichet oppure modificherà la linea degli interventi sul secondario a sostegno di BTp e Bonos? La Bce ha iniziato lo scorso 8 agosto ad acquistare titoli di Stato italiani e spagnoli sul secondario per importi consistenti e la sua discesa in campo nell’arco della prima settimana di interventi ha imposto il crollo del rendimento dei BTp decennali, calati di 140 punti circa, da un picco del 6,35% al 4,95 per cento.

    Poi l’entità delle operazioni di acquisto di Eurotower è gradualmente diminuita dal forte impatto dei 22 miliardi della prima settimana e in ottobre è scesa a poco più di 2 miliardi settimanali: intanto il rendimento dei BTp decennali è risalito, altrettato gradualmente, sfondando la soglia del del 5,5% e infine tornando nell’orbita del 6 per cento. I tassi sul secondario dei BTp sono da quasi tre mesi tenuti artificialmente bassi, non corrispondono più all’incontro della domanda e dell’offerta: gli acquisti della Bce semmai sono un’occasione per vendere. E anche quel 6% ieri, andrà valutato in rapporto ai tassi di assegnazione delle aste dei BTp previste per la prossima settimana. Il mercato si attende Buoni decennali in offerta fino a 3,5 miliardi il 28 ottobre, assieme ai triennali.

    Non è articifiale per contro il tasso dei titoli di Stato francesi. Lo spread tra gli OaT e i Bund, che ieri viaggiava a 119 punti, è il più alto dal 1992 tra questi due Paesi ed è il più largo attualmente tra due Stati con rating tripla ‘A’. Il costo dei credit default swap a cinque anni della Francia è il più elevato in circolazione per uno Stato ‘AAA’. Anche la Francia, come l’Italia e la Spagna, Grecia, l’Irlanda e il Portogallo, si trova ad essere indirettamente colpita dalle incertezze sulle modalità di funzionamento e dall’entità del potenziamento del veicolo Efsf. Gli Stati periferici sperano di poter contare sul sostegno del fondo salva-Stati, in luogo della Bce, mentre i Paesi core, tra i quali per prima la Francia, sperano di scrollarsi di dosso l’etichetta di primi garanti dell’Efsf.


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    Pressing Ue sull’Italia: riforme subito

    Isabella Bufacchi


    BRUXELLES. Dal nostro inviato
    Crescono gli impegni degli Stati dell’eurozona per un annuncio imminente sul piano definitivo salva-euro – se non entro domani entro il prossimo mercoledì -, crescono le attese dei mercati e all’unisono crescono le pressioni sull’Italia dei partners europei affinchè il Governo Berlusconi vari al più presto le misure per il rilancio della crescita e faccia chiarezza sugli interventi, soprattutto sul fronte dei tagli alla spesa pubblica, che dovranno garantire il raggiungimento dell’obiettivo del pareggio di bilancio per il 2013. In vista del doppio vertice Ue, è sul caso Italia – quello che tra tutti i problemi aperti dalla crisi del debito sovrano preoccupa di più l’Europa e il resto del mondo per le dimensioni dei titoli di Stato italiani – che si sono concentrate ancora una volta ieri le raccomandazioni di Bruxelles per un’azione governativa più incisiva.
    I continui slittamenti del pacchetto di misure per il rilancio dell’economia e alcune carenze pendenti nei dettagli degli interventi per riportare in equilibrio i conti pubblici in Italia non sono più tollerati, alla vigilia del varo di quello che i mercati hanno già battezzato “The European Grand Plan” e che ieri il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha iniziato a studiare con i partners. A sottolineare la «massima urgenza» della questione italiana è stata ieri la Commissione europea attraverso Amadeu Altafaj, il portavoce del responsabile agli affari economici e monetari Olli Rehn, nel corso di una conferenza stampa. Altafaj ha ricordato, rispondendo, che «durante l’estate, l’Italia ha approvato un pacchetto ambizioso che va nella giusta direzione, ma deve essere seguito con urgenza da misure per la crescita». Ha quindi osservato che Bruxelles «non fa pressioni ma incoraggia con forza» il Governo «a finalizzare con la massima priorità» le misure necessarie.
    Il commissario agli affari economici Olli Rehn aveva già dichiarato al quotidiano francese Les Echos di aspettarsi che l’Italia «ribadisca domenica (alla riunione dei capi di stato e di governo Ue ndr) in modo chiaro i suoi programmi di consolidamento di bilancio e di riforme strutturali». «L’Italia deve sgombrare il campo da ogni dubbio sulla sua politica fiscale», ha poi incalzato lo stesso Rehn sulle colonne del quotidiano tedesco Handelsblatt in un’intervista pubblicata ieri. Per la Commissione anche gli obiettivi di bilancio che l’Italia si è data «vanno definiti con misure robuste e una tabella di marcia corretta per ristabilire la credibilità del Paese sui mercati». Per Bruxelles – ha aggiunto il commissario – è chiaro che serve un pacchetto complessivo di misure per rafforzare le debolezze strutturali dell’economia». Ma anche per «migliorare la qualità della spesa pubblica». In questo contesto, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, secondo Handelsblatt, metteranno Silvio Berlusconi «pesantemente sotto pressione», in occasione del vertice di domani.
    Fonti del Governo tedesco hanno insistito ieri affinchè i Paesi nell’eurozona periferica si impegnino in maniera più incisiva per rimettere ordine al bilancio pubblico. A rincarare la dose del pressing su Roma è intervenuto ieri stesso anche il ministro delle finanze olandese Jan Kees de Jager: «L’Italia deve prendere nuove misure per le riforme e i tagli alla spesa pubblica e mi aspetto che le presenti durante il vertice di questo weekend».
    In sintonia con Bruxelles anche la Banca centrale europea che acquista oramai settimanalmente titoli di Stato italiani sul secondario. La Bce è intervenuta da quest’estate con un’operazione tra 60 e 80 miliardi stando alle stime dei traders, per tenere a freno l’ascesa dei rendimenti sui BTp: in cambio di questo sostegno Bruxelles e Francoforte erano certe che l’Italia avrebbe varato in tempi stretti misure importanti per il rilancio della crescita: l’inadempienza del Governo per i ritardi del dl sviluppo, stando a fonti bene informate, avrebbe spinto la Bce a rallentare gli acquisti sui BTp, riportando i rendimenti del titolo decennale al 6%, una soglia che manda i mercati in fibrillazione e che aumenta la pressione sull’Italia.

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    Sì dell’Eurogruppo agli aiuti alla Grecia, accordo su “haircut” almeno al 50%

    Via libera alla sesta tranche di 8 miliardi di euro anche se “la situazione economica è peggiorata”. Atene dovrà fare “ulteriori progressi” nella messa in atto delle riforme strutturali. Intesa per il dimezzamento dei crediti delle banche che detengono obbligazioni elleniche

    L’Eurogruppo dà il via libera alla sesta tranche di aiuti alla Grecia, che dovrà ora avere il via libera del Fondo monetario internazionale. Il sì arriva malgrado le valutazioni negative: la situazione economica è “peggiorata” e Atene dovrà fare “ulteriori progressi” nella messa in atto delle riforme strutturali. La tranche da 8 miliardi di euro dovrebbe essere versata a metà novembre. Ma l’Eurogruppo, che approva le misure di austerità varate ieri dal Parlamento ellenico che consentiranno di raggiungere “gli obiettivi di bilancio del 2012”, chiede alle autorità elleniche “ulteriori progressi nell’applicazione delle decisioni prese dal Parlamento”.

    I ministri delle Finanze della zona euro avrebbero inoltre raggiunto un accordo per chiedere alle banche private che detengono obbligazioni greche un ‘haircut’ “di almeno il 50%” per evitare la bancarotta della Grecia. Secondo una fonte diplomatica europea ripresa dall’agenzia France Presse, l’eurogruppo avrebbe approvato il rapporto della missione della troika (Ue-Fmi-Bce) in cui si sostiene che le banche dovranno cancellare almeno la metà dei loro crediti. Nel mettere a punto il secondo piano di salvataggio, il vertice europeo del 21 luglio scorso aveva fissato il limite al 21%. Nel rapporto presentato ai ministri delle Finanze, la troika Ue-Bce-Fmi affermava che con una svalutazione del 60% sui titoli greci si torna a un rapporto debito/pil del 110%. Alla luce del “deterioramento del quadro macroeconomico”, c’è bisogno di più fondi, e l’Eurogruppo chiede una maggiore partecipazione dei privati. Rimane ora da vedere se si riuscirà a superare l’opposizione delle banche.


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