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Italia. Fusioni nelle multiutility locali

Per il momento niente di sicuro, in atto c’è solo l’apertura del dialogo tra le amministrazioni di Torino, nella persona di Fassino e Bologna con Merola, per una possibile fusione tra le Multiutility HERA e IREN ed un probabile allargamento alla A2A di Milano con la sponda di Pisapia, sindaco di Milano, ma già fà discutere gli addetti.
Dopo il 14 giugno 2011 quando è piombato l’esito del referendum nella sede di viale Berti Pichat (HERA) e  immediati si sono sentiti gli effetti del mercato borsistico, Hera perse in borsa circa il 10% del suo valore bruciando per strada 187 milioni di capitalizzazione pari ai conti in rossi presentati nell’ultimo periodo.
Una flessione che vale circa 25,5 milioni di euro per il comune di Bologna(13,6% delle azioni) e circa il 35 milioni per i comuni della provincia (18,8% delle azioni).
Quindi occorre correre ai ripari.
Ci Pensa il Sindaco di Torino, Piero Fassino ex segretario del PD, dichiarando alla stampa di Confindustria ,”il Sole 24 ore”, che “si tratterebbe del più grande progetto politico industriale che si può mettere in campo in Italia”.
Già in campagna elettorale aveva insistito per la creazione di una Multiutility sull’asse Torino-Bologna cercando di coinvolgere anche Reggio Emilia  dietro i consigli di Manager “disinteressati” come Paolo Cantarella, ex FIAT oggi nel CDA di FINMECCANICA e l’ A.D di HERA Tommaso Tommasi di Vignano.
La fusione sarebbe la dote economico-politica di un’ulteriore matrimonio quello con l’ A2A di Milano per arrivare a formare un colosso da 11,4 miliardi di euro di ricavi, con 23 mila dipendenti.
Il Sindaco di Bologna Merola dichiara che “questo è il momento di ottimizzare le risorse siamo all’inizio di un percorso e devono essere i tecnici e i manager delle aziende a verificare la praticabilità del progetto.”
Il Consiglio di Amministrazione di HERA è in scadenza nel 2013 e passerà da 14 consiglieri a 10 (Bologna scenderà da 6 a 3 consiglieri) e il Patto di Sindacato (formato da tutti i sindaci dei comuni che detengo azioni hera) conterrà una modifica degli indirizzi e delle attuali politiche di HERA, quali non ci è dato sapere, in perfetto stile democratico.
Al momento a frenare i bollori di “Capitalismo Municipale” dei novelli Keynes ci ha pensato il Sindaco di Imola, Daniele Manca, (anche lui PD), visto che una operazione simile pochi anni fà  iniziò ma non andò in porto (già nel 2008 con Cofferrati si parlò di fusione tra Torino, Genova, Piacenza e Parma): allora il discorso si inceppò proprio sulla maggioranza pubblica, su come definire gli ambiti di governance e sul modello di fusione ed inoltre un tentativo di escludere dalle decisioni i sindaci dei comuni più piccoli che detengono il 18,8 % delle azioni ma hanno pochissima voce in capitolo.
Manca è inoltre contro la cessione di altre azioni ai privati: “Hera è uno dei pilastri del nostro sistema territoriale. Dopo dieci anni l’investimento in Hera è, per i comuni, uno dei più redditizi. Il capitale si è valorizzato, producendo circoli virtuosi per i nostri bilanci. Bisogna fare “dimagrire” il pubblico che produce deficit non quello che produce rendita”.
In ogni caso HERA ,sia che vada in porto o no la manovra, ha presentato il suo piano industriale fino al 2015, che ha avuto l’approvazione ad unanimità del consiglio di amministrazione.
i risultati sono consolidati e i ricavi, Margine Operativo Lordo e utile netto ,fino a settembre 2011,aumentano.
I ricavi salgono a 2901,9 milioni di € (+12,6%) e il MOL cresce di 466,7 milioni (+8,2%).
Il risultato operativo è pari a 240,5 milionidi euro (+10,2%) mentre l’utile ante-imposte sale a 156,2 milioni di euro (+15,4%).
L’utile netto si attesta invece a 84milioni di euro (+6,4%) pur riflettendo gli effetti degli interventi in materia fiscale del passato governo Berlusconi e aspettando quelli del governo Monti.
Insomma si può capire che in periodo di vacche “magrissime” questo è sangue fresco per il mercato-vampiro perennemente assetato di denaro.
Come faranno a mantenere gli esiti del Referendum Popolare di giugno che disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015? Ricordiamo che c’è da  abrogare  quella parte di normativa che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio. ci vorranno provare con i rifiuti? Misteri del mercato Democratico.

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