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Il network di imprese che guida il mondo
Una ricerca dell’Istituto elvetico di tecnologia di Zurigo mostra, grazie ad un modello matematico e ad un enorme database di imprese, come un pugno di multinazionali tenga insieme la gran parte della ricchezza mondiale. Il mantra di ogni movimento anticapitalista mondiale diventa algoritmo matematico. E le possibili conclusioni non sono tranquillizzanti.
Che il 20% dell’umanità detenga l’80% delle risorse è diventato quasi un mantra. Che ripetuto migliaia di volte rischia di perdere senso e significato. Come spesso accade ai concetti buoni per tutte le stagioni. Ma nessuno ha mai pensato di affrontare il problema dal punto di vista matematico, cercando di dare un nome, ma soprattutto una forma, alla concentrazione della ricchezza e del potere.
Nessuno. Fino ad oggi. Stefania Vitali, James Glattfelder e Stefano Battiston sono tre studiosi dell’ETH Zurich, l’Istituto elvetico di tecnologia con sede a Zurigo, ed hanno appena pubblicato “The network of global corporate control” su PLoS One, la prima piattaforma online gratuita e pubblica dove le pubblicazioni scientifiche vengono validate da un sistema molto ampio di peer-reviews. PLoS One è gestito da PLoS (Public Library of Science) un’organizzazione noprofit di scienziati nata con lo scopo di rendere accessibili a tutti e gratuiti i risultati della ricerca scientifica. Una pubblicazione che ha meritato l’attenzione della prestigiosa rivista americana New Scientist.
I tre studiosi si sono concentrati su un enorme database di imprese, Orbis 2007, che raccoglie le informazioni di oltre 37 milioni di imprese e di investitori di tutto il mondo, ed hanno raccolto dati e correlazioni di 43060 grandi multinazionali. Ne hanno cercato i collegamenti, evidenziandone proprietà e controllate ed hanno scoperto come oltre 1318 grandi imprese abbiano più legami con altre multinazionali, con una media di circa 20. E detenendo la maggior parte delle principali imprese manifatturiere e delle cosiddette bluechip (cioè le società ad alta capitalizzazione azionaria) rappresentano nei fatti il 60 per cento del fatturato globale.
Di queste oltre 1300 imprese, 147 sono quelle “superconnesse”, capaci di controllare il 40% della ricchezza globale. Molte di queste sono grandi istituzioni finanziarie private, come Barclays Bank, JPMorgan Chase & Co ed il Goldman Sachs Group. Tra queste al 43° posto risulta la nostra Unicredit.
E’ la matematizzazione del grande fratello? Non proprio, perchè la strutturazione del “mega complesso” è avvenuta per così dire in modo “spontaneo”. Gli attrattori erano gli interessi in comune su uno specifico business oppure la capacità di alcune imprese di essere molto interconnesse. Un sistema di questo tipo, automaticamente, non attira solamente interesse ma anche molto denaro. Ed il consolidamento diventa quasi naturale.ù
Il fatto che la sua nascita non sia stata predeterminata non significa però che all’interno del “mega complesso” non ci si possa muovere in maniera coordinata o comunque collegata. E non solo per le relazioni realmente esistenti, ma perchè ogni componente ha, nei suoi elementi generali, gli stessi bisogni e le stesse aspettative. Sopravvivere, competere, crescere.
Lo studio non aveva lo scopo di dare una base scientifica ad Occupywallstreet ed alla loro denuncia di come l’1% dell’economia imponga le proprie regole al rimanente 99%, ma solo di dare una base scientifica al tentativo di rendere più stabile il sistema economico globale. Conoscerne la struttura significa capirne i punti di debolezza e di forza.
Ma quello che dovrebbe far pensare è proprio la forza potenziale di queste superstrutture. E l’interesse comune che le tiene insieme: economico, finanziario. E politico.
Nell’immagine: le 1318 multinazionali che formano il cuore dell’economia. Le imprese superconnesse sono rosse, mentre quelle molto connesse sono in giallo. La grandezza del punto è proporzionale con il fatturato.
Tratto da: www.altreconomia.it
Autore: Alberto Zoratti
Inserito il: Domenica, 13 novembre 2011 – 19:43
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