Oggi vede Merkel e Sarkozy, due che hanno destabilizzato l’eurozona più di Berlusconi, ma che sono riusciti ad apparire due “veri statisti” solo grazie all’impresentabilità istrionica del terzo. Li vide senza che questi siano assistiti dai rispettivi ministri dell’economia. E per Monti è un vantaggio assicurato: per “i mercati” vale più lui che Merkozy.
Il “che fare?” sarà però più complicato da mettere nero su bianco. Francia e Germania hanno avuto mano libera nel perseguire più l’interesse di bottega (non solo quello “nazionale”, quanto quello di due leader ansiosi di esser rieletti e timorosi di esser invece trombati); difficile che possa no tornare indietro alla vigilia di un anno elettorale. D’altro canto, per quanto personalmente “credibile”, Monti si presenta comunque come l’esponente di un paese a pezzi, con i peggiori conti pubblici del continente (ma con ottimi conti privati, e ci deve essere una relazione stretta con il disastro di quelli statali), con una maggioranza “bulgara” solo all’apparenza.
Soprattutto, i piani di tutti e tre i leader devono fare i conti con la recessione già iniziata (-5,1% la produzione metalmeccanica tedesca nel terzo trimestre 2011, -5% la produzione industriale italiana nello stesso periodo). Tagliare la spesa in una condizione del genere diventa non solo improbo o socialmente inaccettabile, ma addirittura controproducente sul piano economico. Sarebbe insomma una misura “pro-ciclica” in direzione negativa: verso il baratro.
Se n’è accorto – dopo tante analisi di economisti e giornali di sinistra, inascoltati – anche il quotidiano di Confindustria. In modo timido, per ora. I titoli di testa del Sole 24 Ore sono ancora tutti per le “pensioni a 67 anni, anzi no: a 70” e per altri annunci di “macelleria sociale”. L’unico timore che dobbiamo nutrire è che, come sempre, i servi stupidi dell’impresa – gli economisti, anche quando trovano lavoro solo come giornalisti – si rendano pienamente conto dell’abisso solo quando ci sono già dentro. Insieme a noi, purtroppo…
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Recessione il vero incubo
di Giampaolo Galli
Gli incontri che Mario Monti avrà in questi giorni in Europa sono evidentemente cruciali. Non solo perché ci restituiscono qualche motivo di orgoglio nazionale, che non guasta: finalmente si trovano insieme i leader dei tre principali Paesi fondatori dell’Europa. Per Monti saranno l’occasione per calibrare al meglio la politica di bilancio, facendo leva sulla sua personale credibilità in Europa.
Non dobbiamo farci troppe illusioni, perché i mercati non si lasciano convincere dagli incontri dei capi di governo. Però forse qualcosa si può fare. Sappiamo che rispetto al pareggio nel 2013 mancano almeno due passaggi essenziali.
Sono la delega fiscale, che vale 4 miliardi nel 2012, 16 nel 2013 e 20 nel 2014, e una possibile ulteriore correzione legata al peggiorato quadro macroeconomico e all’aumento del costo del debito pubblico. In base alle previsioni della Commissione, richiamate nella puntuta lettera di Olli Rehn, tale correzione viene valutata in 1,2 punti di Pil nel 2013, oltre 20 miliardi. Nel complesso, dunque, mancherebbero all’appello 36 miliardi nel 2013 e oltre 40 nel 2014. Si tratta di cifre imponenti, maggiori di quella che è stata l’entità effettiva della manovra di agosto.
Il punto è che un eventuale manovra di bilancio di questa dimensione cadrebbe in un momento congiunturale che è molto peggiorato rispetto all’estate scorsa. Gli indicatori economici ci dicono che siamo già in recessione. Quasi tutti i centri di ricerca prevedono un robusto segno meno per l’anno 2012. La stretta creditizia, che è già ben visibile alle imprese, nei prossimi mesi è probabilmente destinata a trasformarsi in un vero e proprio credit crunch, forse peggiore di quello del 2008-2009. Il rischio del debito sovrano rende difficile il funding delle banche e si traduce alla fine in una stretta del credito per imprese e famiglie. Già oggi si è quasi prosciugato il canale del credito a medio e lungo termine e dunque il finanziamento degli investimenti.
È bene che tutti, in Italia e in Europa, siano consapevoli che difficilmente riusciremo ad evitare una recessione nel 2012. E che alla luce di questo dato di fatto sia valutata la cifra dei 40 miliardi, peraltro destinata a crescere alla luce di quanto detto.
In questo quadro, le misure a costo zero per la crescita sono indispensabili ma, come ha affermato Monti, hanno effetti dilazionati nel tempo. Possono aiutare un po’ nel breve termine se contribuiscono a riportare la fiducia sulla sostenibilità del debito nel medio termine e dunque a ridurre lo spread. Ma, per quanto rapide ed efficaci, non basteranno a farci tornare alla crescita nel futuro prossimo.
In Europa, potremo forse argomentare che una manovra più piccola, ma vera e credibile, vale di più di una manovra che promette tagli colossali, ma di incerta realizzazione. In questi giorni sentiamo parlare di tagli alle spese per centinaia di miliardi che sarebbero stati realizzati negli ultimi anni. Ma sommando i tagli di spesa previsti dalle manovre di bilancio degli ultimi dieci anni si ottengono cifre che, se fossero vere, avrebbero portato quasi ad azzerare la spesa pubblica, la quale invece è cresciuta di oltre il 20% nella sua componente primaria e in termini reali.
È curioso che chi fa queste somme, fra di essi alcuni economisti, non si renda conto della contraddizione logica in cui cade, oltre che del danno prodotto in passato dalla distanza fra annunci e realtà. Alla luce di queste considerazioni, la priorità andrebbe data ad azioni volte a rendere effettiva e credibile la manovra di agosto. Ciò significa, in particolare, definire in cosa consistono davvero i tagli ai ministeri e dare attuazione in anticipo alle entrate previste dalla delega fiscale. L’impegno con la Commissione europea era di esercitare la delega entro il settembre del 2012, ma proprio quella data, tanto spostata in avanti nel tempo, aveva contribuito a minare la credibilità della manovra di agosto. L’anticipo è l’occasione per avviare quel riequilibrio del carico fiscale che è un impegno programmatico del governo ed è necessario per dare un po’ di fiato alla competitività delle imprese italiane.
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