La quale si conforma a modelli sociali preesistenti, a regole politiche e gruppi di interesse particolari, ecc. Nulla di immodificabile, certo, e mondi che vengono cambiati – sussunti – dal capitalismo. Ma non nella misura e nella velocità che i manuali (e i giornalisti o i politici che si limitano a citarne le frasi-tipo) promettono.
Parliamo dunque delle liberalizzazioni. Uno studio insospettabile (fatto da un’associazione di imprenditori, che diamine!) dimostra che i prezzi e le tariffe sono aumentati da quando si è privatizzato o liberalizzato. Tranne qualche eccezione. Il caso più emblematico però a noi sembra quello delle autostrade: dove diavolo avevano letto (nei manuali) che trasferendo un monopolio dalla mano pubblica a quella privata ci poteva essere una riduzione delle tariffe? Quale “concorrenza” si può fare sulla Roma-L’Aquila o qualsiasi altra tratta autostradale?
In realtà come sempre, dietro l’ideologia liberalizzatrice si muovo corposi interessi economici, con nomi, cognomi e partita Iva. A scapito della popolazione, mai a favore…
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Saremo anche governati da «tecnici», ora, ma quanto a ideologia – sia loro che i supporters – non sembrano secondi a nessuno. Prendiamo un punto fermo di questa ideologia della governance: le «liberalizzazioni» sbloccano un mercato ingessato, migliorano la qualità dei servizi, abbattono i prezzi perché la concorrenza ha proprio questo effetti «livellanti» come sottoprodotto della «competizione». Senza tanti «lacci e lacciuoli» – recita l’antico mantra – il capitalismo dà il meglio di se stesso, con benefici per tutti.
Ma è vero?
A naso, da malfidati di professione, crediamo di no. Ma noi – si sa – siamo «ideologici» per convenzione culturale diffusa. Perciò preferiamo oggi dar conto dei dati pubblicati ieri dalla Cgia di Mestre (confederazione generale degli artigiani veneti, insomma; niente a che fare col marxismo-leninismo). E non è una bella musica per i liberalizzatori a oltranza. Il Centro studi ha preso di petto ben 11 settori già «liberalizzati» in epoche diverse (se qualcuno ricorda le «lenzuolate» del Bersani ministro dell’industria), mettendo a confronto le tariffe attuali con quelle d’allora; e ovviamente con la corsa dell’inflazione.
Ne viene fuori che soltanto per i prodotti farmaceutici (-10,9%) e i servizi telefonici (-15,7) c’è stato il sospirato effetto «competitivo», ovvero la compressione dei costi per l’utente finale. Tanto più significativo se messo a confronto con l’inflazione nel frattempo maturata: +43,3% nel primo caso, +32.5 nel secondo. Un bel guadagno, non c’è che dire; quasi uno spot gratuito per l’ideologia liberalizzatrice. Peccato che occorra ricordare come sia stata l’Europa, a più riprese, a «mazzolare» i gestori di telefonia che facevano i furbi, fino a costringerli ad abbassare le tariffe. volenti o no.
Ma gli altri 9 settori? Esattamente l’opposto (a parte l’energia elettrica, in cui aumento tariffario risulta minore della dinamica inflattiva, grazie anche al pesante crollo del presso del petrolio dopo la «grande crisi finanziaria» innescata dal fallimento dio Lehmann Brothers).
Passi per i servizi postali, rimasti al palo, ovvero sostanzialmente pari all’inflazione (+30%, grosso modo). Ma già i trasporti urbani – là dove questa «modernizzazione» è stata già introdotta, nel 2009 – fanno registrare un aumento quasi doppio rispetto all’inflazione in soli due anni. Idem per il gas (dal 2003), che ha visto i costi doppiare l’inflazione pur potendo contare su prezzi energetici del tutto identici a quella della – calante – energia elettrica.
Siamo però buoni fino in fondo. Possiamo perfino capire che i trasporti aerei – liberalizzati da scervellati, al punto di facilitare il fallimento di Alitalia – siano aumentati di 1,4 volte, per cause tra il noto (il prezzo dei carburanti) e il misterioso (a quanto ammonta il contributo dei consorzi pubblico-privato che sostengono la presenza delle compagnie low cost?). Ma come hanno fatto i costi dei trasporti ferroviari a crescere del 53% (inflazione a + 27), se non imputandoli a una precisa scelta commerciale di quello che – ancora per qualche giorno, ma limitatamente all’alta velocità tra Roma e Milano – è di fatto un monopolista pubblico che si atteggia a privato di lusso?
E ancora: anche i pedaggi autostradali sono aumentati del 50%» dal ’99, a fronte di un’inflazione del 30%. Anche qui l’ideologo confindustriale o il «tecnico europeo» potrebbero obiettare che – in effetti – è impossibile fare concorrenza su un tratto autostradale. Vero. Perché sono state «liberalizzate», allora? Solo per fare un regalo a Benetton, Toto e Gavio? Probabile…
Ma certamente era possibile farsi una concorrenza spietata nei servizi finanziari o bancari (aperti anche a società straniere, ormai) e per quanto riguarda la Rc Auto. Ognuno di noi puà cambiare banca o assicurazione in qualsiasi momento. Eppure proprio qui di registrano gli aumenti più vertiginosi. In banca (o per i fondi comuni) paghiamo oggi 2,5 volte più dell’inflazione (ovvero il 50% in più). Per l’assicurazione auto è quasi inutile che vi riveliamo noi i dati: sapete già da soli che sono quasi raddoppiate dal 1994, crescendo 4,2 volte più dell’inflazione.
Detto fra noi: probabile che le «regole» scritte sui manuali di macroeconomia abbiano un rapporto assai labile con la realtà empirica. In altre parole: che siano solo ideologia. Utile per fare profitti, ma fuffa.
da “Il manifesto”
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