Qualsiasi ragionamento sulla “competitività” del mercato del lavoro italiano, dunque, è inventato.
Altra cosa è se si parla di “produttività”. Un concetto che normalmente viene piegato sulla “quantità di lavoro” prestato da ognuno, tanto per alimentare le polemiche su presunti “fannulloni” (che troviamo quasi soltanto, ormai, ai livelli dirigenziali della pubblica amministrazione, dove abbondano “manager” con incarichi plurimi di cui non si conosce neppure la retribuzione. La produttività è invece una funzione diretta della quantità di investimenti per unità di lavoro. Un lavoro senza tante tecnologie, per esempio, è fisiologicamente meno “produttivo” – in termini di valore aggiunto – rispetto a uno a media o alta tecnologia di processo.
Insomma, se si accusa l’Italia di scarsa produttività, l’accusa .eè rivolta alle imprese, non ai lavoratori. O meglio, andrebbe rivolta alle imprese. Ma chi lo fa, in questo mondo di giornalisti servi? Giusto Massimo Mucchetti e Gianni Dragoni, oltre ai vari Galapagos.
Vediamo dunque i lanci di agenzia.
L’Italia in Europa risulta tra i paesi con le retribuzioni lorde annue più basse, secondo una rilevazione di Eurostat, che fa riferimento a dati del 2009, la Penisola si piazza in dodicesima posizione nell’area euro, fanno meglio anche Irlanda, Grecia, Spagna e Cipro. Soprattutto il valore dello stipendio annuo per un lavoratore di un’azienda dell’industria o dei servizi (con almeno 10 dipendenti) è pari a 23.406 euro, ovvero la metà di quanto si guadagna in Lussemburgo (48.914), Olanda (44.412) o Germania (41.100). Insomma anche guardando ai cosiddetti Pigs, l’Italia riesce a superare solo il Portogallo (17.129). Eurostat riporta l’elenco delle paghe lorde medie annue dei Paesi dell’Unione europea, nell’ultimo rapporto diffuso ‘Labour market Statistics’, anche per gli anni precedenti all’ultimo aggiornamento (2009), così da poter anche osservare la crescita delle retribuzioni. L’avanzamento per l’Italia risulta tra i più ridotti: in quattro anni (dal 2005) il rialzo è stato del 3,3%, molto distante dal +29,4% della Spagna, dal +22% del Portogallo. E anche i Paesi che partivano da livelli già alti hanno messo a segno rialzi rilevanti: Lussemburgo (+16,1%), Olanda (+14,7%), Belgio (+11,0%) e Francia (+10,0%) e Germania (+6,2%). Una buona notizia per l’Italia, invece, arriva dalle differenze di retribuzioni tra uomini e donne, quello che Eurostat chiama «unadjusted gender pay gap», l’indice utilizzato in Europa per rilevare le disuguaglianze tra le remunerazioni (definito come la differenza relativa, espressa in percentuale, tra la media del salario grezzo orario di lavoratori e lavoratrici). Ma è solo un’illusione. La Penisola, infatti, con un gap che supera di poco il 5% (con riferimento al 2009) si colloca ampiamente sotto la media europea, pari al 17%, risultando il paese con la forbice più stretta alle spalle della sola Slovenia; ma, appunto, non è tutto oro quel che luccica. Perchè a ridurre le differenze di stipendio in Italia contribuiscono fenomeni di cui non si può andare fieri, come il basso tasso di occupazione femminile e lo scarso ricorso (a confronto con il resto d’Europa) al part time. Non a caso tra i Paesi che vantano una minor divario ci sono anche Polonia, Romania, Portogallo, Bulgaria, Malta, ovvero tutti stati con una bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Ansa
La classifica
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Paul De Marco
Attenti pero perché in Italia non c’è un ”salario minimo legale”. Per un paragone al livello europeo vedi il Le Monde diplomatique del febbraio 2012 p 10. Invece di distruggere l’Articolo 18, sarebbe meglio A) Arrivare ad un pareggio europeo del salario minimo legale in termine di potere di acquisto, livello completato dal pareggio, sempre in potere di acquisto, delle tre forme del reddito dei focolari (”salario individuale”, pensioni e ammortizzatori ovvero ”salario differito” e ”reddito globale netto”, cioè i due primi più i trasferimenti ai focolari sotto forma dei programmi sociali pubblici accessibili universalmente) Va notato che la logica contemporanea auto-distruttiva della finanza speculativa guarda solo al salario individuale in astrazione della taglia dei focolari cercando di farlo scendere al livello più basso possibile … non solo in Europa, ma nel mondo; si, perché il capitale si gargarizza con la parola ”produttività” ma, come Solow e Samuelson e tutti quanti i marginalisti e alcuni pseudo-marxisti, non sa nemmeno cosa sia. B) Perciò serve anche la ri-segregazione del settore finanziario (banche di deposito e banche commerciale), dunque il controllo del credito realmente produttivo, e una nuova definizione dell’anti-dumping capace di proteggere all’interno dell’OMC le tre forme del reddito dei focolari, assieme ad i criteri ambientali di base fondati sopra il principio di precauzione applicato, in primis, alla protezione preventiva della salute umana.
Per la pratica teorica sull’argomento, vedi la Sezione Italia del http://la-commune-paraclet.com
Paul De Marco