Procediamo con ordine, se possibile. A mercati chiusi, nella notte, Moody’s ha diramato un “warning” (un’avvertenza) in cui mette in guardia le banche di dimensioni: la loro tendenza a evitare le nuove regole di capitale e a caricarsi ancora di debito continuerà a mettere sotto pressione il loro ‘merito di credito’, ovvero il rating.
Lo riporta il Financial Times, ricordando che l’agenzia internazionale ha già messo sotto osservazione 17 banche per un possibile downgrade all’inizio dell’anno. E le banche attendono il verdetto, che dovrebbe arrivare alla metà di giugno, quando Moody’s avrà ultimato il proprio esame. Delle 17 banche globali sotto esame, tre (Credit Suisse, Morgan Stanley e Ubs) si trovano di fronte alla possibilità di un downgrade di tre gradini. Per 10 istituti il taglio potrebbe essere di due gradini, mentre per quattro solo di uno.
Traduciamo per chi non ha dimesstichezza col lessico e le abitudini delle agenzie di rating. Un “gradino” in più o meno (il rating è un voto, come a scuola) è la norma. Una banca va meglio, gli viene dato un “sei” invece di un “cinque”, o viceversa. Scatti di due o tre punti sono invece indice di una situazione altamente anomale. Se poi “gli alunni” sotto esame sono le 17 principali banche del mondo, allora il problema è di dimensioni mai viste. Ricordiamo che nel 2008 il blocco totale del credito fu innescato (non “causato”) da una serie di fallimenti bancari minori (legati all’esplosione della bolla dei mutui subprime) culminati nel fallimento di Lehmann Brothers, quarta banca d’affari statunitense.
Postiamo qui anche l’articolo di ieri de Il Sole 24 Ore, in cui si dà conto di un altro pesantissimo “warning” proveniente stavolta da Standard % Poor’s. Dal titolo un po’ più catastrofista di quelli che ci capita di fare a noi, “vetusti” marxisti.
Un dettaglio: i 46mila miliardi di dollari che servirebbero corrispondono più o meno al 70% del prodotto interno lordo globale. Ovvero della ricchezza prodotta dall’intera umanità in un anno di lavoro. Da notare che questa cifra non dovrebbe servire alla “restituizione” dei debiti, ma soltanto al loro “rifinanziamento”; ovvero al mantenere quel debito in vita, invece di portarlo a scadenza (ovvero di restituirlo). Ricordiamo anche che, a fine 2011, l’ammontare totale del “debito pubblico” di tutto il pianeta ammontava a 52.000 miliardi.
Ciò che Il Sole non ricorda è che questa cifra inconcepibile è solo una frazione del “debito figurativo” gestito dall’oscuro mondo dei prodotti finanziari derivati (600.000 miliardi). Che è a sua volta solo una parte dell’ammontare di debito (pubblico più privato) che cerca – com’è ovvio fare in tempi di crisi – una restituzione per mettersi “al sicuro”.
S&Poor’s: in 5 anni tempesta perfetta sui mercati da 35mila miliardi
Nei prossimi cinque anni ci potrebbe essere una potenziale “tempesta perfetta” sui mercati finanziari, risultato di una combinazione di ingente bisogno di capitali delle società, deleveraging delle banche e difficoltà economiche di Stati Uniti e Eurozona.
L’allarme di S&P: servono 46 trilioni di dollari
A lanciare l’allarme è l’agenzia di rating Standard and Poor’s nel report sul credito globale intitolato The Credit Overhang: Is A $46 Trillion Perfect Storm Brewing?. Il documento stima che le società non finanziarie di Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina, Eurozona e Giappone avranno bisogno di 30mila miliardi di dollari di nuovo debito per rifinanziare i bond in scadenza e i prestiti erogati nel periodo pre crisi (le società europee contano per il 30%), più altri 13-16mila miliardi di nuovi capitali che si stima siano necessari per finanziare la crescita. Nel complesso quindi 46 trilioni di dollari (ovvero 35mila miliardi di euro).Crescita a rischio
Secondo S&Poor’s le banche e i mercati dei capitali dovrebbero essere in grado di rifinanziare il debito in scadenza, ma il razionamento del credito potrebbe limitare i nuovi finanziamenti per supportare la crescita. Quanto governi e banche centrali, questi hanno meno opportunità di prevenire i problemi derivanti da future carenze di liquidità e di offerta di credito nel mercato dei capitali.Il muro del credito
L’analista di S&P Jayan Dhru parla di un «muro del debito che potrebbe aggravare la ridistribuzione del credito nel momento in cui le banche cercano di ristrutturare i loro bilanci, e gli investitori rivedono le proprie soglie di rischio e rendimento».Un fragile equilibrio
Secondo l’ipotesi definita nel rapporto le banche globali e i mercati dei capitali di debito saranno in gran parte in grado di continuare a fornire la maggior parte della liquiditá che serve alla maggior parte delle aziende per gestire le attivitá di rifinanziamento future. Ma si tratta, aggiunge l’agenzia, di un «equilibrio molto fragile», tanto più che «i governi e le banche centrali dispongono di una minore flessibilitá fiscale e monetaria» per arginare i problemi provocati da future crisi di liquiditá sui mercati.Governi con le armi spuntate
Quello che preoccupa è che i governi non sembrano più in grado di intervenire per far fronte a un’eventuale “tempesta perfetta” sul credito, avendo già utilizzato al massimo il proprio arsenale di armi fiscali. Inoltre «alcuni paesi devono implementare misure di austerità a vari livelli per far fronte a propri problemi di debito sovrano e di deficit fiscale».Il rapporto S&P:
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