La quale è a questo punto sotto attacco per essere esattamente nè carne né pesce. Non c’è uno Stato federale, con tutte le istituzioni e gli strumenti necessari; non è più una semplice alleanza commerciale tra paesi vicini.
Il rischio è evidente: non riuscire ad andare avanti, mentre il tornare indietro è impossibile. O un’integrazione statuale vera e propria, in tempi anche relativamente ristretti, o l’implosione che non lascerebbe scampo a nesuno. E non solo in Europa, visto il peso che questa ha nell’economia e nella finanza globali.
Materia densa di connessioni, che i comunisti debbono “metabolizzare” in tempi rapidi, per non restare sorpresi dagli eventi in gestazione.
In primo luogo la lettura del discorso di Draghi fatta dal quotidiano di Confindustria.
«Unione bancaria europea»
dal nostro corrispondente Beda Romano
Il dibattito sul futuro della zona euro ha subìto ieri una nuova accelerazione. La Banca centrale europea ha esortato i Governi dell’unione monetaria ad affrontare la crisi debitoria perseguendo un’integrazione politica che comporti una necessaria cessione di sovranità. Il presidente della Bce Mario Draghi ha messo l’accento sulla necessità di centralizzare la vigilanza creditizia, tassello indispensabile di una nuova unione bancaria.
Parlando davanti alla Commissione affari economici del Parlamento europeo a Bruxelles nella sua veste di presidente del Comitato europeo per il rischio sistemico (noto con l’acronomo inglese Esrb), Draghi ne ha approfittato per tratteggiare una eventuale unione bancaria che richiederebbe secondo lui: garanzie europee sui depositi bancari; un fondo europeo di risoluzione delle crisi; e una accresciuta centralizzazione della sorveglianza bancaria, ormai «essenziale».
L’idea di una unione bancaria è tornata d’attualità dopo che nelle ultime settimane sono emersi i segnali di un rischio di contagio e di fughe di capitale, ad Atene ma anche a Madrid. Questa opzione comporterebbe la responsabilità in solido dei depositi e delle banche da parte dei diversi Governi della zona euro. Impossibile però da attuare seriamente senza una vigilianza credizitia che sia centralizzata, con un trasferimento di sovranità dalla periferia al centro.
Per anni, gelosi delle loro prerogative, molti Paesi hanno bloccato questo passaggio. «Di recente, le posizioni sembrano essersi ammorbidite», avverte un esponente comunitario. Non per caso Draghi ha criticato alcuni Governi nella gestione delle crisi bancarie: lo sguardo corre a Bankia in Spagna o a Dexia in Belgio (che ieri ha avuto dalla Commissione il benestare per godere di altri quattro mesi di garanzie statali). «Esorto tutti i Governi a sbagliare per eccesso» nel valutare le necessità di una banca, ha detto Draghi.
Nella sua relazione di ieri, il banchiere centrale ha anche sostenuto l’idea di permettere al meccanismo di stabilità finanziaria di ricapitalizzare direttamente le banche europee. L’interpretazione prevalente, confermata ieri dalla Commissione, è che l’Esm può finanziare solo gli Stati, non le banche. Alternative sono allo studio. «Ci si sta lavorando», ha detto il banchiere, notando che l’Esm deve essere usato meglio di quanto non sia stato usato in passato il suo predecessore (l’Efsf).
Più in generale il presidente della Bce ieri ha chiesto al mondo politico di guardare lontano, «di dare una visione del futuro della zona euro», scossa da una crisi debitoria da ormai quattro anni. «Siamo in mezzo al guado, la corrente è fortissima, e non vediamo l’altra riva a causa di una densa nebbia. Dobbiamo assolutamente diradare la nebbia». Come il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco da Roma, anche Draghi da Bruxelles ha esortato all’integrazione politica dell’Unione.
Il banchiere centrale si è detto convinto che l’aumento dei rendimenti obbligazionari in molti Paesi è anche dovuto all’assenza di una risposta chiara alla crisi debitoria, che peraltro darebbe nel contempo «un grande contributo alla crescita economica». In questo senso, Draghi ha sostenuto ieri l’idea di un nuovo Comitato Delors, una commissione di banchieri centrali creata nel 1988 e che mise nero su bianco le tappe di avvicinamento e i principali tasselli dell’Unione monetaria.
I commenti di Draghi giungono in un momento cruciale. Una settimana fa i Governi dell’Unione hanno dato mandato ai presidenti della Bce, della Commissione, dell’Eurogruppo e del Consiglio europeo di preparare un primo rapporto sul futuro della zona euro entro fine giugno. Mercoledì, il presidente della Commissione José Manuel Barroso ha detto che l’Esecutivo comunitario sosterrà l’idea di una unione bancaria. Altri guardano anche a una parziale o completa mutualizzazione dei debiti pubblici.
da Il Sole 24 Ore
E quindi la lettura de “il manifesto” delle “Considerazioni finali” presentate da Ignazio Visco, governatore della Banca d’Itala.
Una visione alta, ma non diversaLa «prima» del governatore di Banca d’Italia. Mette in luce il deficit di Europa politica; approva il salvataggio delle banche; chiede di ridurre la pressione fiscale. Ma benedice la fine dello stato socialeFrancesco PiccioniBisogna saper stare all’altezza dei problemi, anche se la vertigine è a un passo dal prenderci. Bisogna capire e fare, non fuggire tornando a ciò che si conosce, al rassicurante piccolo mondo antico che non c’è più. E questo vale sia per chi – come il governatore della Banca d’Italia – dentro la realtà del mondo si muove per migliorarne l’efficienza, che per quanti, al contrario, si interrogano sui limiti, sulla caducità di questo «sistema», cercando di individuare i contorni del suo possibile esperimento.La prima volta di Ignazio Visco in sede di presentazione delle «Considerazioni finali», da governatore, restituisce intanto questo invito a «mettersi all’altezza», fissando l’ostacolai sotto la quale non si «compete», ma si bofonchia. E viene da pensare che la scuola di Federico Caffè, scomparso 25 anni fa, rappresenta tuttora un esempio inegualiato di «eccellenza» scientifica (da lì sono usciti sia Visco che Mario Draghi; e tanti altri, anche tra «i nostri»).
Le Considerazioni hanno una struttura istituzionalizzata che per una volta ci sembra non utile rispettare. Il punto più alto è rappresentato infatti dal discorso sull’Europa, che nell’esposizione non è il primo.
L’Europa e l’Italia
L’eurozona, come «entità unitaria», sarebbe un colosso molto equilibrato: «ha conti con l’estero bilanciati, un disavanzo e un debito del settore pubblico poco sopra i limiti (3 e 90% del Pil); famiglie con una ricchezza finanziaria lorda 3 volte il reddito annuo disponibile, un debito delle imprese pari al prodotto di un anno». Ma è al centro dell’offensiva della «speculazione internazionale» per un solo motivo sistemico: «si avverte la mancanza di fondamentali caratteristiche di una federazione di Stati». C’è un mercato e una moneta unici, non c’è un potere politico centralizzato (e legittimato; ma questo Visco non può nemmeno lasciarlo pensare). I paesi più deboli, dunque, sono aggredibili come parti isolate da un tutto altrimenti potente.
Quei fondamentali sono ovvi: «processi decisionali che favoriscano l’adozione di politiche lungimirante», «risorse pubbliche comuni», «regole davvero condivise e azioni tempestive su sistema finanziario e banche». Prevale invece una «pericolosa tendenza alla rinazionalizzazione dei sistemi finanziari», che crea un doppio regime interno. «Questo rende alla lunga l’unione monetaria più difficile da sostenere».
Visco riconosce i tentativi fatti per «rafforzare la governance», ma «i processi decisionali» restano «condizionati dal metodo intergovernativo e dal principio dell’unanimità», che rende ogni scelta «lenta e farraginosa». E la Bce non può sostituirsi (troppo a lungo o troppo a fondo) alle istituzioni politiche. L’auspicato «cambio di passo» non si vede e quindi gli spread tra i rendimenti dei titoli dei diversi paesi possono divaricarsi in modo non corrispondente alla realtà davvero «unitaria» – sul piano dell’integrazione economica – della Ue. Al punto che gli spread «non sembrano tener conto di quanto è stato fatto», sia a livello comunitario che dei singoli paesi. Del resto, al centro della crisi vi sono i «dubbi crescenti degli investitori internazionali» su problemi più politici che economici, come «la coesione dei governi nell’orientare la riforma della governance europea». La «tenuta stessa dell’Unione monetaria» è in mano alla «politica», ai «governi», prima che alle istituzioni monetarie. La credibilità di un insieme malmesso è insomma un problema «non economico».
Il nodo, anche per Visco, è la «crescita che stenta». I suggerimenti, però, non vanno oltre «l’avvio immediato di progetti comuni e cofinanziati di investimento». Perché è vero che «sta ai paesi in difficoltà attuare le riforme strutturali», ma «sta ai paesi più forti aiutare questo processo, non ostacolando il riequilibrio». Un fendente educato a Bundesbank e fraü Merkel, probabilmente coordinato con i vertici della Bce.
Economia e politica monetaria
Sia chiaro: quelle «riforme» vengono benedette da via Nazionale, non ci sono incertezze. Il livello di blocco creditizio e produttivo, nello scorso autunno, era tale che «le condizioni per rinnovare il debito nei mesi invernali rischiavano di diventare proibitive». E quindi «dovevano» essere avviate sia le «incisive correzioni dei debiti pubblici» che le «riforme strutturali per la crescita». Su questo il nostro dissenso non può che restare radicale, perché non c’è nulla di «oggettivo» e «obbligato» nel modo di reperire risorse; anche il liberalissimo Einaudi, del resto, non avrebbea avuto problemi nel varare una «patrimoniale». Anziché strangolare i redditi più bassi.
E cancellare l’articolo 18 non produrrà un solo centesimo di Pil in più. Anzi, comprimendo di fatto salari e quindi i consumi (soprattutto quelli «necessari»), probabilmente contribuirà a ridurlo anche oltre quell’1,5% – per il 2012 – che anche Visco riconosce. Vuol dire recessione, per almeno altri tre trimestri oltre i tre già messi in cascina.
Banche e sistema finanziario
La crisi rischiava di accentuare oltre misura la «segmentazione del mercato interbancario lungo linee nazionali», anticipando e sollecitando risposte «populiste» nella stessa direzione. È stata tamponata quasi soltanto dalla Bce, prima con gli acquisti irrituali di titoli di stato dei paesi in difficoltà e poi con due maxi-operazioni di rifinanziamento che hanno portato 1.000 miliardi nelle casse della banche private. L’effetto è stato positivo, dice Visco, perché ha stabilizzato le attese dei mercati, per un po’. Ma ora «le tensioni sono riprese», e le banche rispondono riducendo il credito erogato a imprese e famiglie.
Pesa indirettamente anche la normativa di Basilea 3, che obbliga a requisiti di «riserva» molto più stringenti. La «chiave» per riprendere ad aumentare «le attività» viene quindi vista – anche qui – nella riduzione del «costo del lavoro, difficilmente compatibile con le prospettive di crescita» del sistema bancario.
Riforme e fisco
In definitiva, Bankitalia appoggia esplicitamente sia le scelte del governo Monti che quelle della Bce, perché «era urgente mettere il bilancio pubblico su una dinamica sostenibile» e «rianimare la capacità di crescita attraverso riforme strutturali». Ma è ormai ora di «rivedere le priorità di spesa a parità di saldo di bilancio, ad esempio a favore dell’istruzione e della ricerca». Anche perché «si è pagato il prezzo di un innalzamento della pressione fiscale a livelli non compatibili con una crescita sostenuta». E quindi «la sfida si sposta: occorre trovare, oltre a più ampi recuperi dell’evasione, tagli di spesa che compensino il necessario ridimensionamento del peso fiscale». La «logica tedesca» del rigore ha ormai toccato un limite oltre cui sta diventando un danno evidente. Ma le condizioni di vita della popolazione in tutti questi calcoli, costituiscono solo una variabile ininfluente. Il che non può essere accettato da nessuno.
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