Entrambi apparsi su “il manifesto” di oggi, che concentra in una sola pagina quasi tutto quel che merita d’esser letto.
Nel primo, si fa il punto della crisi greca, che non può salvarsi restando nell’euro nemmeno svenandosi fino all’ultima goccia. La dimostrazione si è avuta proprio ieri, quando la “troika” ha scoperto che il “buco” nei conti ellenici è di 3 miliardi superiore al previsto. Stavolta niente trucchi, però (anche se c’è ancora Samaras in cabina di regia, come ai tempi del governo Karamanlis, conservatore). Semplicemente la svendita dei beni pubblici ha reso meno del previsto e le tasse, con la crisi, rendono sempre meno.
Non serviva una laurea alla Bocconi per prevederlo, e infatti su questo ed numerosi altri giornali (manifesto compreso) era satto previsto. Anzi, forse solo chi ha preso la laurea alla Bocconi (cittadella fuori dal circuito della comunità scientifica) poteva non prevederlo…
Nel secondo, si dà conto dell’inchiesta sullo scandalo tutto anglosassone della manipolazione del Libor (l’indice di riferimento per il tasso interbancario, che fa da base anche per il più noto Euribor con cui si calcolano gli interessi sul mutuo). Con la complicità istituzionale della Banca d’Inghilterra.
3 miliardi di buco in più. Riprende l’incendio grecoFrancesco PiccioniSi può uscire dall’euro? È una follia pensarlo, si tuona su molti media italiani e non. Ma «i governi della zona sarebbero stupidi se non prevedessero piani d’emergenza» nel caso in cui la crisi dovesse precipitare. Se lo dice – ieri – Wolfgang Shaeuble, ministro delle finanze tedesco, tutti lì a ragionarne con calma…
I «due pesi e due misure» sono la regola, in campo politico-economico. Perciò – solo due mesi fa – sono state condizionate le elezioni in Grecia con la minaccia di una catastrofe se avesse vinto la sinistra di Syriza; oggi anche il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker ammette che «tecnicamente è possibile», ma sarebbe «inconcepibile sul piano politico». L’unico scenario ammesso per la Grexit è «se Atene rifiutasse un consolidamento del bilancio e delle riforme strutturali; allora dovremmo considerare la questione». Ma secondo Juncker non può accadere.
C’è comunque un’ipotesi assai più oggettiva e per niente «politica» che rende plausibile l’uscita della Grecia dal sistema monetario: Atene potrebbe non riuscire, nemmeno volendo, a far fronte agli impegni. Anzi, probabilmente neppure rispettandoli tutti fino all’ultimo comma. I «tecnici» dei ministeri ellenici avevano infatti calcolato che l’economia potrebbe riprendere a tirare molto prima – rendendo anche il debito molto più sostenibile – se venissero loro concessi due anni in più per ridurre il deficit di bilancio entro i paramentri di Masstricht. Numeri alla mano: oggi il rapporto deficit/Pil è al 9,3%. Se lo si deve obbligatoriamente portare al 3% nel 2014, l’economia greca (da cinque anni consecutivi in recessione drastica) vedrebbe il Pil cadere ancora del 4,5% nel 2013 e nessuna ripresa nel 2014. Se invece il programma di rientro venisse diluito di altri due anni, la contrazione per l’anno prossimo sarebbe soltanto dell’1,5%, ma con un promettente +2 per il successivo. Le conseguenze sono logiche: un paese che torna a crescere produce più ricchezza, il deficit cala più rapidamente anche con tagli minori, recupera più velocemente «credibilità» sui mercati.
Qual’è la risposta di Schauble – che con Merkel vedrà Samaras nei prossimi giorni, subito dopo Juncker e Hollande – a questa richiesta di proroga non ancora avanzata ufficialmente? «Non è pensabile mettere a punto un nuovo programma di aiuti per la Grecia, ci sono dei limiti». Insomma, Atene deve (correre il serio rischio di) morire.
E proprio la troika, ieri, ha scoperto nei conti pubblici ellenici un «buco» di tre miliardi suepriore alle stime, stabilendo che che il governo greco nei prossimi due anni avrà bisogno di una cifra vicina ai 14 miliardi (anziché i previsti 11,5). Indicativo il fatto che lo «scoperto» non deriva tra inadempienze di atene, ma dalle minori entrate dovute alle privatizzazioni (i prezzi sono precipitati) e dal calo delle entrate fiscali (se il Pil cala, cala anche il gettito complessivo delle tasse).
Proprio il caso greco, dunque, mette in chiaro il dilemma in cui è rinchiuso ogni paese che deve «deflazionarsi» per poter restare nell’euro, mentre quelli a «tripla A» non solo ne sono per ora esentati, ma possono «fare shopping» a prezzi stracciati degli asset che «debbono» essere privatizzati. Per restare nell’euro ti devi svalutare pesantemente, vendere i pezzi pregiati e gli asset statali; e alla fine della strada non sarai più «competitivo», solo più povero, ma con i conti in ordine. Se invece esci dall’euro – «tecnicamente» si può – sarai colpito da una svalutazione degli asset e dei patrimoni, ma avrai grandi vantaggi competitivi di lì a qualche anno. Forse per questo non si deve neppure pensare…
Diamond non ha detto tuttoGiuseppe AcconciaAnche la Bank of England nel mirino: «Va cambiata tutta la cultura di vigilanza inglese»Diamond non ha detto tutto. Sono queste le prime conclusioni della Commissione parlamentare sullo scandalo Libor. L’ex amministratore delegato di Barclays si era dimesso lo scorso 3 luglio per le denunce di manipolazione dei tassi di cambio interbancari. In seguito allo scandalo Libor, la banca inglese aveva dovuto pagare una multa di 360 milioni di euro. La testimonianza di Diamond in parlamento è stata «parziale», si legge sul report di 122 pagine, reso noto ieri dalla Commissione. A presiederla è il deputato conservatore, Andrew Tyrie, che rincara: «Ci aspettavamo franchezza da parte dei testimoni ascoltati. Le prove addotte dal signor Diamond sono state inferiori alle attese del parlamento». Secondo il documento, Diamond non ha fatto luce completa nè sulle circostanze che hanno determinato la manipolazione del Libor nè sulle relazioni tra Barclays e autorità di vigilanza bancaria. Su queste accuse, non si sono fatte attendere le reazioni di Diamond. Dalla sua liquidazione dorata (153 milioni di euro) negli Stati uniti, Diamond ha detto: «Sono contrariato e in disaccordo con i contenuti resi noti dalla Commissione d’inchiesta». Ma i parlamentari inglesi vanno avanti. Hanno definito una «copertura» le illazioni apparse sulla stampa di pressioni della banca d’Inghilterra su Barclays per ridurre i tassi Libor. Sospetti mai chiariti erano nati dopo la rivelazione di una telefonata di Paul Tucker, vicegovernatore della Banca d’Inghilterra, nell’ottobre 2008 all’ex amministratore delegato della Barclays, Robert Diamond. Dopo la telefonata, Diamond aveva riferito di «figure del governo» preoccupate dei tassi interbancari di prestito ammessi da Barclays. E così, uno dei dirigenti della banca, Jerry Del Missier, dimessosi nel luglio scorso, aveva dato l’ordine di abbassare i tassi per ridurre le preoccupazioni sulla stabilità finanziaria della banca. Inoltre, la Commissione ha sottolineato il fallimento della Fsa nel controllare le manipolazioni del Libor. «Non è accettabile che nè la banca d’Inghilterra nè la Fsa si siano accorte delle manipolazioni dei tassi» – ha continuato Andrew Tyrie. La Commissione, presieduta da Tyrie, ha criticato duramente l’intera «cultura di vigilanza bancaria» britannica e la lentezza delle inchieste della Fsa. «Se la vigilanza, anzicchè raccogliere dati, si occupasse attentamente di rischio bancario, potrebbe ottenere un controllo più efficace. Questo potrebbe comportare un cambiamento della cultura di vigilanza» ha aggiunto Tyrie. Ma la nota della Commissione va oltre. Secondo i deputati, le pressioni che Mervyn King, governatore della banca d’Inghilterra, ha esercitato sui dirigenti di Barclays nel caso Libor rendono necessario lo stretto controllo anche della banca centrale di Threadneedle street. «Il coinvolgimento del governatore è difficile da giustificare» – si legge nel report della Commissione. Da parte sua, King ha negato di aver chiesto le dimissioni di Diamond. Ma, secondo la stampa inglese, il governatore della banca d’Inghilterra avrebbe parlato ai dirigenti di Barclays lo stesso giorno delle dimissioni del presidente, Marcus Agius. «Non importa se le pressioni siano venute dalla Fsa o dal governatore della banca centrale, l’azione definisce un potere arbitrario di licenziamento» – prosegue il documento. «L’Fsa non dovrebbe interferire nella composizione dei consigli di amministrazione in risposta alle notizie di stampa» – ha proseguito Tyrie. D’altra parte, il caso Libor ha portato alla ribalta l’efficacia delle autorità di vigilanza bancaria americana: dalla Commodity Futures Trading al Dipartimento dei servizi finanziari fino alla Security and Exchange Commission. Il coordinamento tra le autorità statali di vigilanza sembra rendere il sistema dei controlli bancari americani più efficace di quello europeo. Proprio nei giorni scorsi, lo scandalo Libor si era allargato alle più grandi banche del mondo con l’intervento della magistratura americana. I giudici di Connecticut, Florida e New York hanno denunciato la formazione di un cartello di almeno 13 istituti di credito per tenere basso il tasso di cambio interbancario. Per questo, hanno inviato un mandato a comparire non solo a Barclays ma anche a colossi bancari quali Lloyds, Deutsche Bank, Royal bank of Scotland, Hsbc, JPMorgan, Citigroup e Ubs. Gli istituti di credito devono presentare ogni documento sulle variazioni del Libor. E ora, alla vigilanza inglese, non resta che correre ai ripari. Martin Wheatley, direttore dell’Fsa, aveva chiesto nei giorni scorsi una riforma del Libor che considerasse dati oggettivi per ridurre le possibilità di manipolazioni, di stabilire un comitato commerciale per il controllo dei tassi interbancari e di rafforzare i poteri di controllo delle autorità giudiziarie.
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