Ieri ha presentato la “Nota di aggiornamento al Def”, dove rivede al ribasso tutte le stime sull’andamento dell’economia quest’anno e i prossimi tre. Ma continua a fare l’ottimista per non dover essere lui a smentire Monti. E soprattutto per continuare a spremere “gli sfigati” per beneficiare banche e imprese.
Come? I due articoli qui sotto dicono molte cose, ma ovviamente non possono coprire tutto il campo. Noi aggiungiamo due cose sull’Iva, la tassa così “imparziale” da far male in primo luogo a chi ha già molto poco. Monti ha detto che non ci sarà bisogno di aumentare l’Iva del 2% perché ha trovato del “fieno in cascina” per evitarlo.
Di cosa si tratta? Il governo aveva legato la sorte dell’Iva al successo della spending review sulle “agevolazioni fiscali” per i redditi più bassi (dalle detrazioni sugli assegni familiari ad esenzioni o riduzioni varie, a seconda delle fasce di reddito vicino all”incapienza”). Una boscaglia di norme molto complesse e stratificate nei decenni, che in qualche misura attenuano la scarsità di reddito. Facendo strage delle agevolazioni per i più poveri il governo “stima” di recuperare circa 20 miliardi. In questo modo non solo non aumenterà l’Iva, ma potrà eliminarla del tutto per le grandi infrastrutture (Tav, pedemeontana, 900 km di nuove autostrade, ecc).
Riassumendo, dunque: il governo toglie (agevolazioni soicciole, pochi euro al mese, ma benedetti) ai poveri per dare agli squali costruttori.
Il secondo punto da segnalare è che nemmeno l’Europa crede davvero ai conti di Monti. Da quel che abbiamo letto oggi, in particolare, sembra crederci davvero soltanto Repubblica. Nemmeno il giornale della Fiat ci casca più…
La recessione peggiora nel 2013. Pil ancora in calo
Francesco Piccioni
Bisogna dare atto a Mario Monti di saper difendere le proprie immagini retoriche anche quando i dati che lui stesso illustra le smentiscono. Del resto, non poteva certo lasciar spegnere quella «luce in fondo al tunnel» che solo lui aveva intravisto, esponendosi ai lazzi generali (memorabile il Marchionne del «speriamo non sia la luce del treno che ci sta arrivando addosso»). Ieri, nella conferenza stampa convocata per spiegare la Nota di aggiornamento al Def (documento di economia e finanza) del 18 aprile scorso, i numeri non erano quelli da grandi annunci ottimistici. Anzi.
Il governo ha infatti rivisto al ribasso le stime sull’andamento del prodotto interno lordo (Pil) nel 2012: la previsione precedente parlava di un -2,4%, ora scesa al -2,6. Ma l’anno non si è ancora concluso e l’ultimo trimestre – che sta per iniziare – si presenta come più negativo dei precedenti. Fin qui nulla di nuovo. L’unica buona notizia viene dalla scoperta di «fieno in cascina per evitare un altro aumento dell’Iva».
Il problema, per la retorica montiana, è invece il 2013. Lo zero tondo di «crescita» stimato nel Def si trasforma in un -0,2%. Poca roba, direte voi. Vero, ma è una piccola caduta che si aggiunge alla precedente. Le statistiche possono essere ingannevoli, per i profani. Ogni anno non si riparte da un immaginario «punto zero», ma esattamente dal livello che ci ha lasciato in eredità quello prima. Detta altrimenti, la recessione proseguirà per tutto il 2013. Ma Monti non accetta di autosmentirsi, così gioca sull’«effetto trascinamento» – un andamento negativo si ripercuote sulle performance del periodo successivo – per sostenere che «l’anno prossimo sarà un anno in ripresa, cioè l’andamento sarà crescente». I suoi numeri dicono di no. Al massimo, si può dire che la prima parte del 2013 proseguirà in discesa per poi leggermente «risalire» nella seconda parte dell’anno; sempre restando, naturalmente, al di sotto del già disperante 2012 che è andato molto peggio del non proprio entusiasmante 2011.
Fa niente… Per lui la cosa importante era soltanto poter concludere «quindi la luce della ripresa si vede». Le stime per il 2014 parlano in effetti di un possibile +1,1%, seguito da un +1,3 nel 2015 grazie all’aumento della domanda interna ed esterna «in virtù degli effetti positivi delle riforme strutturali» da lui realizzate. Le date indicate sono lontane e saranno certamente precedute da altre «revisioni delle stime». Soprattutto, non si vede come possa riprendersi la «domanda interna» se proprio lui, soltanto 24 ore prima, aveva consigliato alle imprese impegnate nel rinnovo dei contratti di lavoro di non concedere aumenti salariali. Quanto agli effetti depressivi, e non «sviluppisti» delle riforme strutturali, era stato ancora Monti ad ammetterli, Rivendicandoli.
Molto dipende dal contesto globale (la «domanda esterna»). E anche qui le cose non vanno affatto bene. Ieri è stata registrata per l’undicesimo mese consecutivo una flessione dell’attività manifatturiera in Cina, causata dalla crisi europea e dalla stagnazione Usa. Dove, sempre ieri, il superindice ha avuto una piccola ma imprevista caduta, oltre a richieste di sussidio di disoccupazione superiori alle attese.
E anche dall’Europa – pur «calmata» dalle promesse della Bce – non arrivano buoni segnali. Il premier spagnolo Mariano Rajoy, secondo la stampa locale, meditava una richiesta «berlusconiana» all’Europa: poter utilizzare per il bilancio dello Stato il «resto» dei 100 miliardi messi a disposizione dalla Ue per salvare le banche iberiche (impegnati al 60%). In questo modo, pensava, si sarebbe sottratto a eventuali «condizionalità» supplementari per accedere agli aiuti della troika (Bce, Fmi, Ue). La risposta è stata immediata e tranchant: Jean-Claude Juncker, parlando non a caso alla tv tedesca, ha promesso che le condizioni per dare aiuto a Madrid saranno «molto dure».
Probabile, dunque, che le prossime «revisioni delle stime» siano ancor più al ribasso. Ma, quando avverrà, Monti sarà quasi fuori da palazzo Chigi e nessuno si ricorderà più della «luce» che ancora ieri addolciva le sue ricette.
da “il manifesto”
Bruxelles avverte: “Più difficile il pareggio di bilancio nel 2013”
Documento dell’Ue: Roma ha ancora un notevole avanzo primario
C’è una nota di preoccupazione nell’idea che la Commissione Ue s’è fatta del bilancio italiano. «Poiché il quadro economico è peggiorato e i tassi d’interesse continuano a mantenersi elevati, l’ottenimento nel 2013 del pareggio strutturale risulta essere più impegnativo». Questo, argomenta l’esecutivo comunitario, succede anche se «resta notevole» l’avanzo primario in termini strutturali, ovvero la spesa al netto degli interessi sul passivo storico. Vuol dire che il quasi raggiunto equilibrio è minacciato. E che, se la crisi e le turbolenze dovessero riprendere a colpire duro, un nuovo intervento correttivo potrebbe rendersi necessario.
Il responsabile Ue per l’Economia, Olli Rehn, presenterà le sue previsioni d’autunno il 7 novembre. Al momento, di numeri non ne ha, ma lavora sulla tendenza e, nei giorni scorsi, ha recapitato ai ministri economici dell’Eurozona un primo documento di valutazione sul quadro complessivo. E’ uno scenario di maggiore cautela sulle stime vigenti, prelude a secche revisioni al ribasso in una cornice disomogenea. Il capitolo italiano, di cui La Stampa ha ottenuto una copia, non promette molto dal punto di vista congiunturale, il che è compatibile con le prospettive annunciate ieri sera dal governo. Nessun traino immediato e vigoroso per la crescita e il ritorno dell’occupazione. Il peggio non è passato.
In maggio la tabelle di primavera attribuivano a Roma quattro magri decimi di punto di crescita per il 2013 e una caduta dell’economia dell’1,4% per il 2012. Bruxelles le aveva elaborate «basandosi sull’assunto di un graduale venir meno dell’incertezza sui mercati finanziari e sul miglioramento delle condizioni di finanziamento» del sistema. E’ andata diversamente. Nonostante le positive manovre della Bce, «la stretta rimane». Il che, «insieme con gli effetti dell’aggiustamento di bilancio e della recessione globale, indica che la ripresa verrà più tardi del previsto». Niente più 0,4 nel 2013. Si va verso una crescita piatta o negativa come ammette il governo.
Dice la Commissione che, dalle nostri parti, «i dati recenti e gli indicatori di fiducia preludono a un’ulteriore contrazione nel terzo trimestre e anche alla possibilità di un quarto trimestre negativo». In luglio e agosto, si afferma, l’insieme degli indicatori della fiducia in Europa «si è mantenuto sotto la media a lungo termine», mentre mostrano «un’ulteriore contrazione» i sondaggi sul fronte dell’industria manifatturiera e dei servizi. L’occupazione già al 10% aggrava lo scenario, visto che «le aspettative hanno continuato a peggiorare in agosto». La discesa della capacità produttiva in compenso appare essersi fermata: «Resta da vedere se sia veramente a un punto di svolta».
E’ un ritratto di debolezza, quello che Bruxelles regala all’azienda Italia. «Una crescita molto moderata è attesa per metà 2013», scrivono gli uomini di Rehn. Per molte ragioni. C’è la crisi globale che comprime la domanda, così come la stretta risanatrice avviata dal governo Monti. Nei primi otto mesi 2012, rileva la Commissione, il fabbisogno statale è migliorato di 13,6 miliardi, cioè 0,9 punti di pil rispetto allo stesso periodo del 2011. Il risultato, argomenta Rehn, «riflette l’impatto delle numerose misure di consolidamento approvate fra il 2010 e il 2011», compresa la nuova Imu sulla casa e i trasferimenti dagli enti locali al governo centrale. Come il finlandese ha avuto modo di dire sabato scorso a Nicosia, l’Italia «avanza bene verso i suoi obiettivi di medio termine».
Ciò non evita le insidie dal punto di vista delle entrate, col gettito dei primi sette mesi «inferiore alle aspettative, prevalentemente per colpa delle condizioni economiche peggiori del previsto, soprattutto per quanto concerne la domanda interna». Nel dettaglio, si legge nella nota riservata, l’incasso Iva è calato rispetto al precedente semestre nonostante l’aumento dell’aliquota. Un pericolo sono soprattutto i consumi che non vanno. Posto il contesto e i tassi in tensione si alza l’asticella per il pareggio di bilancio promesso per il 2013 e richiesto dal Fiscal Compact. Roma conta che l’avanzo strutturale possa bastare evitare le reprimende dell’Unione. A questo punto è possibile. Altrimenti bisognerà riprendere le forbici.
da “La Stampa£
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