Fare la spesa tutti i giorni è diventato un problema, ma se per caso volete comprare un pacchetto-vacanza non avrete problemi; ve lo tirano dietro.
Nonostante sia costretta a servirsi soprattutto di ricercatori precari – a causa dei continui tagli al bilancio – un giorno o l’altro bisognerà proporre un monumento all’Istat, che riesce a sfornare report illuminanti sullo stato comatoso del paese anche in poche righe. E qualche numero.
I dati provvisori sull’inflazione, diffusi ieri, sono una sintesi chiarissima di come stiano cambiando la pelle e l’anima della società italiana. A partire dal famoso «carrello dello spesa» – in linguaggio statistico «prodotti acquistati con maggiore frequenza» – che nel solo mese di settembre è aumentato dello 0,8%, portando così la cifra annuale al 4,7. Se teniamo presente che i salari sono rimasti sostanzialmente fermi (nel pubblico impiego è così addirittura da sei anni), abbiamo una fotografia approssimativa ma netta della perdita di potere d’acquisto nelle fasce meno abbienti della popolazione, quelle che vivono con redditi da lavoro dipendente o da pensione. Un dato che, insieme all’indice generale dei prezzi al consumo (l’indice Nic, o «l’inflazione ufficiale»), stabile al 3,2% annuo, porta a definire per l’Ipca (l’indice su cui si dovrebbero rivalutare i salari, in sede contrattuale) un aumento del 3,4. Ma se, come sembra, si congelano i contratti, anche questo recupero viene cassato.
Ma un indice è una media. Per quanto importante, non restituisce nel dettaglio la dinamica dei prezzi. Proprio qui l’indagine Istat diventa preziosa. La parte del leone negli aumenti la fanno poche cose, ma si tratta di quelle cui non si può fare a meno tanto facilmente. In testa ci sono i beni energetici, sia «regolamentati» (+13,6% su base annua) che «non» (+17,6). Ma l’energia entra nel calcolo dei costi di tutte le altre merci. Nel corso di un anno, abbiamo perciò accumulato un aumento dei beni alimentari di quasi il 3%; più forte in quelli «non lavorati» che in quelli sfornati dalle industrie. Segno che queste ultime hanno dovuto fare i conti con consumi in diminuzione e quindi hanno preferito non «scaricare» subito gli aumenti della materia prima sul prodotto finale.
Una breve verifica dà solo conferme. I vegetali freschi sono esplosi in settembre (+7,5%, che diventano + 10,5 rispetto al 2011); mentre la frutta ha frenato per un attimo la corsa impetuosa (+6,3% sull’anno). In volo anche zucchero e caffè (+4,6 e +5,1), mentre i vari tipi di carne hanno subito incrementi «nella media».
Altri aumenti hanno ragioni fiscali. I tabacchi, per esempio, cresciuti del 7,2%, che insieme agli alcolici registrano aumenti medi del 6,3.
Cos’è che diminuisce allora? I telefonini e i computer (-10,6% in un anno), i giochi, gli hobby, foto e videocamere (magari con qualche rialzo in settembre). Il e proprio tracollo, come si diceva, è altrove. I trasporti marittimi per passeggeri scendono del 33,7% in settembre, pur se aumentano del 3,5 sull’anno). Ma sono in genere tutti i «servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona a stramazzare: i «pacchetti-vacanza», per l’appunto (-31,7 quelli italiani), villaggi e campeggi (-26, ma +3,9 rispetto al 2011). Mentre aumenta l’esborso per chi cerca un più classico albergo. Ma qui gira un altro tipo di pubblico, che non sente il peso del «carrello della spesa».
Il giorno prima la Commissione Ue aveva avvertito: «l’indice sociale globale», il numero che misura la fiducia e le attese della popolazione attiva, «ha avuto in Italia la caduta più grande, passando dal -1,1 del 2011 a meno 3,1 del 2012». Numeri che preludono a conflitti sociali certi.
I dati provvisori sull’inflazione, diffusi ieri, sono una sintesi chiarissima di come stiano cambiando la pelle e l’anima della società italiana. A partire dal famoso «carrello dello spesa» – in linguaggio statistico «prodotti acquistati con maggiore frequenza» – che nel solo mese di settembre è aumentato dello 0,8%, portando così la cifra annuale al 4,7. Se teniamo presente che i salari sono rimasti sostanzialmente fermi (nel pubblico impiego è così addirittura da sei anni), abbiamo una fotografia approssimativa ma netta della perdita di potere d’acquisto nelle fasce meno abbienti della popolazione, quelle che vivono con redditi da lavoro dipendente o da pensione. Un dato che, insieme all’indice generale dei prezzi al consumo (l’indice Nic, o «l’inflazione ufficiale»), stabile al 3,2% annuo, porta a definire per l’Ipca (l’indice su cui si dovrebbero rivalutare i salari, in sede contrattuale) un aumento del 3,4. Ma se, come sembra, si congelano i contratti, anche questo recupero viene cassato.
Ma un indice è una media. Per quanto importante, non restituisce nel dettaglio la dinamica dei prezzi. Proprio qui l’indagine Istat diventa preziosa. La parte del leone negli aumenti la fanno poche cose, ma si tratta di quelle cui non si può fare a meno tanto facilmente. In testa ci sono i beni energetici, sia «regolamentati» (+13,6% su base annua) che «non» (+17,6). Ma l’energia entra nel calcolo dei costi di tutte le altre merci. Nel corso di un anno, abbiamo perciò accumulato un aumento dei beni alimentari di quasi il 3%; più forte in quelli «non lavorati» che in quelli sfornati dalle industrie. Segno che queste ultime hanno dovuto fare i conti con consumi in diminuzione e quindi hanno preferito non «scaricare» subito gli aumenti della materia prima sul prodotto finale.
Una breve verifica dà solo conferme. I vegetali freschi sono esplosi in settembre (+7,5%, che diventano + 10,5 rispetto al 2011); mentre la frutta ha frenato per un attimo la corsa impetuosa (+6,3% sull’anno). In volo anche zucchero e caffè (+4,6 e +5,1), mentre i vari tipi di carne hanno subito incrementi «nella media».
Altri aumenti hanno ragioni fiscali. I tabacchi, per esempio, cresciuti del 7,2%, che insieme agli alcolici registrano aumenti medi del 6,3.
Cos’è che diminuisce allora? I telefonini e i computer (-10,6% in un anno), i giochi, gli hobby, foto e videocamere (magari con qualche rialzo in settembre). Il e proprio tracollo, come si diceva, è altrove. I trasporti marittimi per passeggeri scendono del 33,7% in settembre, pur se aumentano del 3,5 sull’anno). Ma sono in genere tutti i «servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona a stramazzare: i «pacchetti-vacanza», per l’appunto (-31,7 quelli italiani), villaggi e campeggi (-26, ma +3,9 rispetto al 2011). Mentre aumenta l’esborso per chi cerca un più classico albergo. Ma qui gira un altro tipo di pubblico, che non sente il peso del «carrello della spesa».
Il giorno prima la Commissione Ue aveva avvertito: «l’indice sociale globale», il numero che misura la fiducia e le attese della popolazione attiva, «ha avuto in Italia la caduta più grande, passando dal -1,1 del 2011 a meno 3,1 del 2012». Numeri che preludono a conflitti sociali certi.
da “il manifesto”
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