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Ora scoprono che la “deflazione salariale” crea problemi ingestibili

Le riforme del mercato del lavoro, che dal 2010 hanno riguardato molti paesi europei, «hanno dato nell’insieme la priorità allo sviluppo della flessibilità» per favorire la ripresa economica. Ma nel breve periodo queste misure «molto costose» producono «un aumento transitorio della disoccupazione, già elevata», e delle «pressioni al ribasso sui salari che pesano sui consumi e quindi sulla crescita».

È quanto emerge da un’analisi del Credit Agricole sul mercato del lavoro in un’Europa in crisi. Le riforme intraprese in molti paesi europei in crisi e con un forte tasso di disoccupazione, osservano gli economisti del gruppo bancario francese, hanno lo scopo di «rendere più fluido il mercato del lavoro per favorire la ripresa economica: da un lato la riduzione dei costi salariali dovrebbe migliorare la competitività delle aziende e aiutarle ad esportare; dall’altro una maggiore flessibilità nell’utilizzo e nella gestione della manodopera dovrebbero incitare le imprese ad assumere di più almeno a termine».

L’obiettivo di queste riforme «è quello della creazione di un circolo virtuoso dove crescita, occupazione e domanda si alimentano reciprocamente». Tuttavia, sottolineano gli economisti, «nel breve termine queste misure appaiono di fatto molto costose con un aumento transitorio della disoccupazione già molto elevata e pressioni al ribasso sui salari che pesano a loro volta sulla domanda domestica e quindi sulla crescita».

E a queste ripercussioni negative si aggiunge il fatto che «le politiche di austerity hanno effetti recessivi sull’attività economica» e che gli Stati europei, costretti a risanare i propri conti pubblici, «non possono offrire una fune di sicurezza, che sarebbe il corollario della flessibilità del mercato del lavoro nel modello nordico, per smorzare il costo di queste riforme e renderle socialmente accettabili».

Il modello nordico, infatti, è considerato dalla Commissione Ue come il modello di riferimento per le sue buone performance economiche e sociali: la flessibilità del mercato del lavoro, nei paesi come la Danimarca, la Svezia, la Finlandia e i Paesi Bassi, è compensata da un alto livello di sicurezza con una protezione sociale elevata e delle politiche attive dell’occupazione che puntano a limitare i periodi di non occupazione dei lavoratori (la disoccupazione di lungo termine), l’inattività e le uscite dal mercato del lavoro (il fenomeno del lavoratore ‘scoraggiato’).

L’insieme degli aggiustamenti realizzati in Europa in questi due anni per rendere più flessibile i propri mercati del lavoro, quindi, evidenziano gli economisti della banca francese, «si aggiungono e vanno nella direzione di un indebolimento delle economie». Tuttavia, osservano, il timore dell’avvio di una spirale «depressiva» alla greca «deve essere relativizzato per la Spagna, il Portogallo e l’Italia». L’aggiustamento realizzato in Italia, in particolare, «sembra meno consistente e non è mirato ad una forte diminuzione degli ammortizzatori sociali».

Ma, nell’insieme, rilevano gli economisti del Credit Agricole, «non offrire più sicurezza in cambio di più flessibilità, che è stato all’origine del successo del modello nordico, ha suscitato un forte aumento delle tensioni sociali e deteriorato i rapporti, già minati dalla crisi, tra le parti sociali». Le popolazioni, rilevano gli economisti del Credit Agricole, «hanno difficoltà ad accettare degli sforzi consistenti di aggiustamento oggi per dei benefici percepiti come incerti per domani». Nonostante la Grecia sia «un caso estremo non esportabile agli altri paesi del mediterraneo», resta il fatto che l’Europa «ha iniziato a rendere più flessibile la sua posizione con l’idea di un migliore dosaggio e di un calendario più adatto per ammortire e rendere meno traumatico nel tempo il doppio shock austerity e riforma».

Fin qui il riassunto delle agenzie. A noi continua a sembrare altamente improbabile che l’Europa abbia imposto un “cambio di modello” nei paesi Piigs senza rendersi ben conto delle conseguenze che avrebbe avuto una flessibilizzazione radicale del lavoro in assenza di adeguata “sicurezza sociale” (tra ammortizzatori e politiche positive per l’impiego).

E se non è stato un errore inconsapevole dalle conseguenze impreviste, non resta che pensare a un disegno consapevole.Che definiamo, con ogni evidenza, “deflazione salariale”. Con buona pace degli economisti del Credit Agricole – francesi, non per caso; cioè esattamente “a metà del guado” tra modello nordico e sistemi mediterranei – questo era e rimane l’obiettivo dichiarato dell’Unione europea e della Bce, indicato in ogni documento ufficiale degli ultimi dieci anni.

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