Il Giappone neoconservatore è il paese che ha rotto anche le apparenze di “concertazione” globale, aprendo di fatto le ostilità con due mosse chiarissime: ha elevato il target di inflazione dall’1 al 2% (chiarendo dunque che eprsehuirà volontariamente politiche inflazionistiche) e ha preso a “stampare yen” per acquistare euro.
Sul piano delle politiche commerciali globali si tratta di una dichiarazione di guerra, perché in questo modo il Sol Levante cerca di svalutare forzosamente la propria moneta facendo aumentare di lavore quella europea, in modo da assicurare un vantaggio competitivo fortissimo alle merci made in Japan.
Anche gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno di fatto praticando politiche simili, tramite i quantitative easing della Federal Reserve o il sostegno diretto al sistema bancario nazionale, messo in atto dalla Banca d’Inghilterra.Questo preoccupato articolo de Il Sole 24 Ore chiarisce i dettagli “tecnici” dell’operazione che sta seppellendo il ricordo del Wto e quindi anche tutte le strategie di “rigore di bilancio nazionale” prescritte dall’Europa. Fare i “rigoristi” mentre i competitori seminano inflazione significa quanto meno tagliare le ali alle proprie capacità di esportazione nel mentre si segano le gambe al proprio mercato interno. Creando così in un colpo solole condizioni del fallimento economico e delle rivolte sociali. Ergo: non potranno andare avanti così ancora per molto (capitalisticamente parlando….).
Nella nuova guerra delle valute il Giappone stampa yen e compra euro. Ecco perché la Germania attacca Tokyo. E se l’euro supera 1,4 dollari….
Vito Lops
La nuova battaglia della guerra tra le valute si combatte tra Germania e Giappone. Nelle ultime ore il presidente di Bundesbank, Jens Weidmann, è andato giù duro contro la nuova politica di allentamento monetario varata dalla Banca centrale del Giappone che ha annunciato un obiettivo di inflazione al 2% e ha iniettato sul mercato nuovi yen. Non solo, con questi yen la Banca centrale del Giappone sta comprando euro con l’effetto di rivalutare la moneta unica europea e svalutare la divisa nipponica. Prendendosi di fatto un bel vantaggio: perché chi svaluta di più esporta di più e si conquista terreno nella competizione senza fine voluta dal dogma della crescita a tutti i costi.
In questa guerra chi – come Giappone, Svizzera, Inghilterra e Stati Uniti – può svalutare la propria divisa attraverso la monetizzazione del debito (stampando moneta) è avvantaggiato rispetto a chi – come la Germania e gli altri 16 Paesi dell’area euro che viaggiano in assenza di sovranità monetaria – non può operare manovre così aggressive all’uopo.
C’è pertanto anche questo, il supereuro drogato dalle altre banche centrali che stampano e svalutano, dietro la riduzione dello spread tra BTp e Bund. E c’è anche – a detta di Weidmann – un tentativo da parte del Giappone di rompere un altro dogma oggi prevalente nell’ideologia dei mercati: l’indipendenza delle banche centrali, dato che la nuova azione espansiva della Bank of Japan sarebbe arrivata dopo forti pressione del governo.
«Qui siamo andati molto al di là del solito dibattito sul fatto che certe scelte di politica monetaria siano troppo espansive o restrittive – ha detto Weidmann intervistato dall’agenzia tedesca Dpa -. La manifesta pressione del nuovo governo giapponese ha una nuova qualità».
Secondo il banchiere tedesco «dietro alle richieste per una politica monetaria ancora più aggressiva c’è la minaccia di togliere alla banca centrale la propria autonomia», che è il «presupposto fondamentale» per mantenere la stabilità valutaria.
Le accuse della Gemania vengono rispedite al mittente. «Le critiche sulla manipolazione dei corsi delle valute sono del tutto senza fondamento». Così il ministro delle Finanza del Giappone, Taro Aso.
Prova a spegnere acqua sul fuoco il governatore della Banca centrale europea Mario Draghi ha rilanciato sull’indipendenza della Bce indicando che il meccanismo di supervisione unica delle banche così come il meccanismo di liquidazione unico a livello della zona euro faranno sì che le banche «siano protette» dall’influenza sovrana.
Ma la Germania non nasconde la preoccupazione perché Draghi può far poco, invece, sull’indipendenza della Banca del Giappone. Non a caso la cancelliera Angela Merkel, dal forum di Davos, ha detto che la decisione politica del governo giapponese di consentire alla sua banca centrale l’acquisto illimitato di bond, è un nuovo problema che va guardato «non senza qualche preoccupazione».
Super-euro
La preoccupazione è legata alla nuova accelerazione dell’euro. Oggi è volato ai massimi degli ultimi 11 mesi sulla sterlina (la moneta unica si è rafforzata fino a 85 pence per la prima volta dal 24 febbraio 2012). L’euro è anche in netto rialzo su dollaro e yen. Contro il biglietto verde, la valuta europea è salita a 1,3438, rivedendo anche in questo caso i livelli più alti da 11 mesi, e nel cross con lo yen segna un rialzo dell’1,1% a quota 122,1.
I fattori di rischio per l’economia tedesca
La Germania, che basa oltre il 50% della sua crescita sulle esportazioni, ha sbilanciato negli ultimi anni la sua economia più sulla domanda esterna che su quella interna. Per questo motivo, ancor più di altri Paesi, vive con tensione la nuova fase della guerra delle valute con l’ingresso a gamba tesa del Giappone.
I presupposti per la crescita della Germania sono legati a doppio filo sia aull’andamento dell’euro che sul costo delle materie prime. Secondo uno studio effettuato da Gabriele Roghi, responsabile gestioni patrimoniali di Invest Banca, la locomotiva tedesca sarebbe messa a dura prova se l’euro sforasse 1,4 dollari e se, allo stesso tempo, il prezzo del petrolio fosse stabilmente sopra la soglia dei 95 dollari al barile (il livello sui cui viaggia nelle ultime settimane).
«Abbiamo calcolato i livelli di significatività statistica, attraverso il T-test, del livello di correlazione tra l’indice Dax, da utilizzare come proxi dell’economia tedesca molto ciclica e molto orientata all’export, e, in un primo caso, il cambio euro/dollaro e, in un secondo momento, il prezzo del petrolio. Il risultato è statisticamente rilevante in entrambi i casi – spiega Roghi -. Il livello intorno a 1,40 sembra bloccare la crescita del Dax: quindi possiamo ipotizzare che sia questo il livello di guardia per l’economia tedesca per competere nei mercati internazionali. Quanto al petrolio l’analisi sul prezzo del petrolio indica come il livello di 90-95 dollari al barile sia il limite sostenibile per l’economia teutonica che, similmente alla nostra, deve fare i conti con una bolletta energetica imponente che impatta sulla competitività produttiva».
Ma intanto, mentre Merkel e Weidmann lanciano l’allarme e attaccano il Giappone, gli imprenditori tedeschi non sembrano così preoccupati. Oggi l’indice Ifo – che misura la fiducia delle imprese tedesche – è salito a 104,2 punti a gennaio da 102,4 del mese precedente. Il livello più alto degli ultimi cinque anni. Chi avrà ragione?
da IlSole24Ore
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