Cipro aggrava la confusione dell’Europa
di Martin Wolf
La crisi cipriota sarà pure, dal punto di vista economico, una tempesta in un bicchier d’acqua, ma offre insegnamenti importanti per vascelli di ben altre dimensioni, tra cui la zona euro nel suo insieme. Alcuni di questi insegnamenti sono incoraggianti, altri inquietanti. Eurolandia resta impantanata in un groviglio terrificante.
La settimana scorsa, nel tentativo disperato di preservare il suo modello bancario offshore, il governo cipriota aveva deciso di imporre un prelievo forzoso anche sui depositi al di sotto dei 100mila euro, il tetto fissato dalla zona euro per la garanzia sui depositi. Come prevedibile, questa idea non è stata accolta bene, né a Cipro né nel resto di Eurolandia.
Il piano attuale è più vicino alle caratteristiche che la risoluzione ordinata di una crisi bancaria dovrebbe avere. La Laiki Bank sarà divisa in una banca «buona» e in una «cattiva». I depositi al di sotto dei 100mila euro e attività per un valore di 9 miliardi di euro – la somma dovuta alla Banca centrale come parte del sostegno alla liquidità offerto da quest’ultima – saranno trasferiti alla Bank of Cyprus. La parte restante sarà liquidata. Coloro che detengono depositi oltre i 100mila euro riceveranno il valore che avranno alla fine le attività della bad bank.
Contemporaneamente, i depositi oltre i 100mila euro dei correntisti della Bank of Cyprus saranno congelati e subiranno una sforbiciata di entità ancora sconosciuta ma probabilmente molto elevata, forse il 40 per cento. Da ultimo, verranno imposti controlli valutari temporanei.
Che indicazioni trarre da tutto questo? Io ne suggerisco almeno quattro. La prima è che l’Eurozona alla fine riesce effettivamente a trovare la forza per fare la cosa giusta, anche se solo dopo aver esaurito tutte le alternative. Quando dico che questo piano è «la cosa giusta» non voglio dire che sia impossibile immaginare alternative migliori: ma tutte queste alternative presuppongono un livello di solidarietà fra gli Stati membri e i popoli europei che al momento (e nel futuro preventivabile) non è dato vedere.
Stante l’indisponibilità a elargire a Cipro veri e propri sussidi, questo piano quasi certamente è la soluzione meno negativa che ci possa essere: protegge i piccoli depositi e impone un processo di risoluzione razionale. Il Fondo monetario internazionale ne sarà contento. E ne sarà contento anche il temibile Jeroen Dijsselbloem, ministro dell’Economia olandese e capo dell’Eurogruppo, convinto che il pugno di ferro verso i creditori sia la ricetta giusta per l’Eurozona.
In secondo luogo, un euro non ha lo stesso valore ovunque. Le banconote sono le stesse, ma di fatto quasi tutti gli euro sono passività delle banche. Quello che è successo a Cipro mostra chiaramente che il valore di un euro di passività bancarie dipende dalla solvibilità della banca stessa e dalla solvibilità del Governo che sta dietro a quella banca. Se tanto la banca quanto lo Stato sono insolventi, i prestatori hanno buone probabilità non solo di perdere una grossa fetta dei loro soldi, ma anche di scoprire che il resto è congelato sotto la cappa dei controlli di capitale, introdotti per impedire il collasso del sistema bancario di un Paese.
Quanto possono protrarsi questi controlli «temporanei»? I francesi dicono che c’est le provisoire qui dure, e di solito è così per i controlli valutari, come dimostra l’Islanda. Tuttavia, come fa notare Guntram Wolff del Bruegel, un’unione monetaria con controlli valutari interni è una contraddizione in termini. Solo la disponibilità della Banca centrale europea a finanziare le banche cipriote senza limiti potrebbe consentire di rimuovere questi controlli in un futuro prossimo. L’Eurotower sarà disposta ad agire in tempi rapidi?
La terza indicazione che viene da Cipro è che la relazione fra banche, Stati sovrani e zona euro è più complicata di quanto apparisse un tempo. Se ne potrebbe concludere che la linea adottata su Cipro non dice granché sull’unione monetaria. Dopo tutto il caso cipriota è unico, per via delle proporzioni delle passività del suo settore bancario, per via dell’impopolarità dei creditori delle sue banche e per via dell’insolvenza borderline del suo Stato. Oppure si potrebbe pensare che sia effettivamente un modello, ma solo per altri Paesi con uno Stato altrettanto debole. Oppure lo si potrebbe vedere come un modello per tutti gli Stati dell’Eurozona, tranne quando c’è una crisi finanziaria di vaste proporzioni come quella del 2008. Infine, un osservatore potrebbe pensare che Cipro sia un modello per tutti gli Stati dell’Eurozona, in tutte le circostanze. Quale di queste letture è quella giusta? Nessuno lo sa, ma probabilmente la prima o la seconda. Un consenso sul principio che se una banca diventa insolvente devono essere i creditori a pagare e non i contribuenti ancora non esiste in Eurolandia. Qualcuno può immaginarsi il Governo tedesco che non interverrebbe in soccorso della Deutsche Bank, se la Deutsche Bank dovesse finire nei guai? Ovviamente no.
La conclusione ideale che si dovrebbe trarre dal pasticcio cipriota è che tutte le banche dell’Eurozona dovrebbero avere più capitale. Anzi, considerando la limitata capacità finanziaria di uno Stato che fa parte di un’unione monetaria, le loro banche dovrebbero essere meglio capitalizzate di quelle di altri Paesi. Ma la conclusione che si trarrà probabilmente è diversa, ed è che le banche più solide saranno quelle che si trovano nei Paesi con conti pubblici più solidi. L’alternativa a un esito di questo tipo sarebbe una vera unione bancaria. Ma per giungere a questo ci vorrebbe o un’unione di bilancio o la disponibilità ad applicare lo stesso severo regime di risoluzione a tutte le banche: e nessuna delle due cose è probabile.
Un ultimo insegnamento di questa crisi è che quello che ho definito il «cattivo matrimonio» che tiene insieme i membri dell’euro, da cattivo che era è diventato pessimo. Cipro conta poco per la zona euro nel suo complesso: i tassi sui prestiti per banche e Stati non sono cambiati di molto (vedi grafici). Ma questa crisi è un’altra occasione per far affiorare la rabbia dei cittadini. I vecchi timori che l’euro avrebbe finito per minare l’unità dell’Europa, invece di rafforzarla, sembrano più plausibili.
Questa crisi ha dimostrato anche un’altra cosa, e cioè che perfino quando il prezzo da pagare per rimanere nell’euro sembra alto, e per molti ciprioti lo è, i Paesi debitori sono disposti a pagarlo. Un divorzio fa ancora più paura, almeno quando si tratta di prendere la decisione. La stessa cosa vale per i Paesi creditori: non gli piace per nulla essere forzati a «salvare» i Paesi debitori, ma preferiscono farlo piuttosto che lasciare l’euro, per ragioni economiche e politiche al tempo stesso.
E così l’Europa avanza zoppicando, crisi dopo crisi. Può andare – andrà – avanti all’infinito? Non lo so. Sono quasi certo che la strategia dell’austerità competitiva non è in grado di restituire la salute economica alla zona euro: è garanzia di economia e debito fragili in tutta l’Eurozona, crisi bancarie e occupazionali nelle economie più deboli a tempo indefinito. Al contempo va detto che c’è una volontà fortissima di non infrangere l’euro. Siamo quindi di fronte a uno scontro tra una forza irresistibile e un oggetto irremovibile. La crisi cipriota è un episodio piccolo, e per certi versi poco rappresentativo, di una storia lunga e dolorosa, il cui ultimo capitolo è ancora lontano dall’essere scritto.
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(Traduzione di Fabio Galimberti)
da IlSole24Ore
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