Ora cominciano a impostare la marcia indietro, molto lentamente, com’è loro abitudine. Dovranno trovare nuovi laboriosi compromessi e compensazioni, prima di indicare – con le loro famigerate “direttive” – il “contrordine europei, non ci avevamo capito un tubo”.
Intanto però entrano in vigore trattati scritti per ottenere il sangue delle popolazioni i cui stati nazionali presentano un debito pubblico al di sopra del 60% (quasi tutti i paesi, con record assoluti per i Piigs) e un rapporto deficit/Pil al di sopra del 3%. Quei “parametri stupidi” (parola di Romano Prodi!) scritti sulla carta a Maastricht, quando persino i due guru dell’idiozia chiamata “austerità espansiva” – Rogoff e Reinhart – consideravano “pericoloso” un debito pubblico solo se superiore al 90%! Quella teoria è stata nel frattempo dichiarata morta, sepolta, inventata… Una stronzata come tante, insomma.
Il prossimo anno avremo tutti a che fare con il fiscal compact, quel trattato pensato per ridurre il debito pubblico entro un limite arbitrario, tempo venti anni. Per l’Italia vorrà dire riduzione della spesa pubblica di almeno 50 miliardi ogni anno. Un suicidio, per un paese in recessione da quasi tre anni e con la crescita bloccata – per gli stessi motivi, ma con “strette” meno drastiche – da oltre dieci.
E in Italia è stata varata una repubblica presidenziale di fatto proprio per creare quelle “maggioranze obbligate” necessarie a far passare i tagli di spesa nella quantità indicata da quei trattati.
E’ evidente anche ai ciechi che “l’inversione di rotta”, per un transatlantico di dimensioni continentali, frantumato in almeno 27 paesi e classi politiche abituate a contrattare “riforme comunitarie” col bilancino dell’interesse nazionale, sarà lenta, tardiva, con alta probabilità inefficace.
Questo implica la necessità di incrementare il conflitto sociale, non di aspettare che la tendenza recessiva si inverta. Sono loro ad essere in difficoltà, sono loro (la Troika Bce-Ue-Fmi) a dover cambiare idee e strumenti; solo loro ad aver dimostrato di curare soltanto gli interessi della finanza globale e dei paesi forti. E di non essere bravi a fare neanche questo. Vanno perciò incalzati, inseguiti dalle lotte e dalle manifestazioni… anche quando vanno al ristorante!
L’articolo “prudente” con cui IlSole24Ore, organo di Confindustria, prende atto – con evidente sollievo – del cambio di atteggiamento che comincia a imporsi persino ai piani alti di Bruxelles.
Barroso: l’Europa chiude con l’era dell’austerità
di Beda Romano
Nonostante la pubblicazione ieri di dati spesso negativi sull’andamento dei conti pubblici in alcuni Paesi europei, la Commissione ha segnalato nuovamente un atteggiamento più accomodante nel valutare la deriva delle finanze statali. La presa di posizione è giunta dopo che Eurostat ha pubblicato le cifre relative al 2012 sul debito e deficit nei 27 paesi dell’Unione. Francia e Spagna hanno sforato gli obiettivi del 2012 e potrebbero fare altrettanto nel 2013.
Parlando a Bruxelles, il presidente della Commissione ha preso le distanze dall’austerità a tutti i costi: «Pur convinto che questa politica sia fondamentalmente giusta, credo abbia raggiunto i suoi limiti». José Manuel Barroso ha poi aggiunto: «Perché una politica abbia successo non deve soltanto essere messa a punto correttamente, deve avere anche un minimo sostegno politico e sociale». Una scelta binaria tra crescita e austerità è «completamente sbagliata» ha precisato.
Barroso ha definito «indispensabile» il risanamento dei conti pubblici, che comunque deve essere associato con «misure di breve termine a favore della crescita», come sancito dall’ultimo consiglio europeo. L’ex primo ministro portoghese ha ribadito poi la volontà della Commissione di avere un atteggiamento comprensivo nei confronti dei Paesi che hanno ancora un deficit eccessivo: «Anche se la politica di correggere il disavanzo è fondamentalmente giusta, possiamo sempre discuterne il ritmo».
La Commissione europea, ha detto sempre Barroso, sta proponendo – la decisione finale spetta all’Eurogruppo e all’Ecofin – un’estensione delle scadenze per alcuni Paesi». Almeno due Paesi sono usciti allo scoperto in questi ultimi tempi chiedendo ufficialmente più tempo per ridurre il proprio disavanzo pubblico. La Francia vorrebbe poter diminuire il proprio deficit sotto al 3,0% del Pil nel 2014, anziché nel 2013. La Spagna invece punta al 2015, anziché al 2014.
Proprio ieri Eurostat, il braccio statistico dell’Unione, ha pubblicato le stime del 2012 relative a deficit e debito per i 27 stati membri dell’Unione. A livello di zona euro, i dati mostrano da un lato un calo del deficit, dall’altro un aumento del debito. Il disavanzo aggregato è sceso dal 4,2 del 2011 al 3,7% del prodotto interno lordo del 2012. Sempre a livello di unione monetaria, il debito invece è salito dall’87,3 al 90,6% del Pil. Più interessanti i dati nazionali.
Sia la Francia che la Spagna hanno sforato gli obiettivi del 2012, come previsto d’altronde. Il deficit francese è stato del 4,8% anziché del 4,5 per cento. Quello spagnolo è salito al 10,6% del Pil per effetto dei salvataggi bancari ed è stato del 7,1%, comunque sopra il 6,3% concordato, al netto degli aiuti al sistema finanziario.
La Commissione ha confermato che il 29 maggio pubblicherà nuove raccomandazioni e in quella occasione deciderà se ai due paesi potrà essere concesso più tempo per risanare i conti pubblici. Molti diplomatici qui a Bruxelles si aspettano che l’aiuto verrà dato, alla luce della crisi sociale in cui versa l’Europa.
Dei 27 paesi dell’Unione, 17 hanno avuto nel 2012 un deficit superiore al 3% del Pil. Gli Stati membri con un disavanzo particolarmente basso erano l’Estonia, la Svezia, la Bulgaria, il Lussemburgo, la Lettonia e la Germania (che l’anno scorso ha addirittura registrato un surplus di bilancio pari allo 0,2% del Pil). «Nel 2012, rispetto al 2011, 13 Stati membri hanno registrato un miglioramento del loro saldo, 12 Stati membri hanno subito un deterioramento, due sono rimasti stabili», ha detto Eurostat.
Mentre cresce la polemica su una politica troppo concentrata sull’austerità, tale da peggiorare la situazione economica, la Commissione è alla ricerca di un giusto equilibrio. Le ultime riforme della governance europea in questo campo prevedono fattori mitiganti ed elementi restrittivi. Da un lato, le nuove regole mettono l’accento anche sull’evoluzione del debito pubblico, con l’obbligo di ridurlo di un ventesimo all’anno; dall’altro permettono di calcolare l’andamento del deficit al netto del ciclo economico.
L’appello dei leader del G-20 per un risanamento più equilibrato dei conti pubblici è nei fatti «una predica ai convertiti», ha detto a Washington nel fine settimana Olli Rehn, il commissario agli Affari monetari. A Bruxelles si vuole ora mettere l’accento tanto sulle misure di riduzione dell’indebitamento che sugli sforzi per riformare l’economia. L’esercizio di equilibrismo non è facile: la Commissione dovrà tenere conto sia delle diverse posizioni degli Stati membri che delle pressioni dei mercati.
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