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L’Ocse conferma: Pil 2013 ancora in pesante calo

I pazzi furiosi che dettano al mondo le linee economiche guida non deflettono: per quanto la realtà dia loro torto, perseverano nellobbedienza fideistica a una teoria che si è rivelata insensata, ma che sta facendo gonfiare i forzieri della finanza globale mentre si chiudono migliaia di fabbriche nei paesi Piigs, mettendo per strada milioni di persone.
Cosa dice infatti l’Ocse (organizzazione che riunisce i 30 paesi più industrializzati del mondo)? Che l’Italia è partita con il piede giusto e potrebbe uscire dalla recessione già quest’anno. Potrebbe, a non avverà; il Pil calerà infatti quest’anno dell’1,5%, mettendo la parola fine sulla famosa “luce in fondo al tunnel” con cui Mario Monti aveva provato a distogliere l’attenzione sociale dalla tragedia presente indicando un incerto e flebile “miglioramento” futuro.
Mam avverte ancora l’Ocse, ciò non significa che il paese non possa inciampare sotto il peso del debito pubblico. L’Ocse – oggi esce il suo rapporto semestrale sull’Italia – giudica positivamente “l’ambizioso programma di riforme” avviato lo scorso anno “volto a ripristinare la sostenibilità delle finanze pubbliche e migliorare la crescita a lungo termine”.

Ma “Con un rapporto debito pubblico/Pil vicino al 130% e un piano di ammortamento del debito particolarmente pesante (il Fiscal Compact, ndr), l’Italia rimane esposta ai cambiamenti improvvisi dell’umore dei mercati finanziari”. “La priorità è quindi la riduzione ampia e prolungata del debito pubblico”. Un salasso, insomma, come ai bei tempi della medicina post-medioevale. E se poi il paziente  muore, l’avrà voluto dio…

I risultati ottenuti finora “devono essere consolidati e sono necessarie ulteriori misure volte a promuovere la crescita e a migliorare la competitività, per rimettere l’Italia sulla strada di una crescita sana”. Che finora è passata per la peggiore recessione mai vista in tutto il secolo scorso, con esclusione degli anni di guerra.

Del resto, lo stesso Ocse rivede in peggio le previsioni pubblicate lo scorso novembre: il Pil viene  al ribasso quest’anno (-1,5% invece del -1,0% predetto in precedenza).

Non manca l’augurio di uscire dalla recessione “nel 2014” (è il quarto anno consecutivo che viene promessa una cosa del genere; c’è il fondatissimo rischio di stancare!). Una presa per i fondelli, visto che viene “rivista al ribasso” anche la già timida crescita vista per l’anno prossimo: 0,5% da +0,6%.

Le stime dell’Ocse sono peggiori non solo rispetto a quelle del governo (-1,3% quest’anno e +1,3% l’anno prossimo, secondo il Documento di economia e finanza approvato il 10 aprile), ma anche rispetto a Fmi (-1,0% e 0,5%), a Ue (-1,0% e 0,8%) e a Bankitalia (-1,0% e 0,7%). Probabile, dunque, che siano state elaborate su dati più recenti; e che, perciò, siano un po’ più vicine al vero.

Anche il debito è stato corretto in peggio: 131,5% del Pil quest’anno e al 134,2% l’anno prossimo, ma “potrebbe aumentare ulteriormente qualora non si prosegua con ulteriori interventi di consolidamento e/o in assenza di entrate provenienti da operazioni di privatizzazione nel 2014”. Del resto – come ricordiamo quasi oggni giorno – il rapporto debito/Pil è una frazione aritmetica: se il Pil diminuisce, il debito aumenta in percentuale anche se viene ridotto in cifra assoluta. Insomma: se tagli la spesa, ma produci sempre meno, fai la fame e nemmeno migliori “i parametri”!

“Il debito pubblico italiano – da due decenni sopra il 100% del Pil – è tra i più alti dei Paesi dell’OCSE e il suo rinnovo richiederà circa 400 miliardi di euro l’anno, nel corso dei prossimi anni” in nuove emissioni di titoli pubblici. Se per caso questo “rinnovo automatico” dovesse bloccarsi per “diffidenza dei marcati”, il disastro diventerebbe rapido e inarrestabile.

“L’elevato livello di debito rende l’Italia particolarmente esposta, nell’attuale contesto di crisi economica e finanziaria, al materializzarsi di circoli viziosi tra finanze pubbliche, settore finanziario ed economia reale”. In pratica, i mercati ci obbligano – tramite la Troika (Bce, Ue, Fmi) – a ridurre la spesa per aumentare la nostra “credibilità” come debitori; ma se – com’è inevitabile – questo comporta una drastica riduzione anche dell’attività economica “reale” (fabbriche, servizi, ecc), allora quegli stessi mercati ci puniscono una seconda volta. Una tenaglia da cui non si può uscire sottostando ai diktat congiunti di merati e Troika…

“L’indebitamento netto risulta peggiore rispetto alle stime del governo a causa delle prospettive di crescita più deboli”, dice infatti il rapporto Ocse. Ma la ricetta consigliata si chiama “avanzo strutturale”. Secondo le simulazioni dell’Organizzazione, adottare e mantenere misure volte a raggiungere un avanzo strutturale di circa il 2% del Pil entro il 2017, consentirebbe di ridurre il rapporto debito/Pil alla soglia di Maastricht del 60% del Pil entro il 2030.
Mentre con un pareggio strutturale il debito pubblico si attesterebbe all’85% del Pil nel 2030 per poi raggiungere il 60% solo nel 2038.

L'”avanzo primario” del bilancio statale è la differenza fra la spesa pubblica e le entrate tributarie e extra-tributarie  esclusi gli interessi da pagare sul debito. Una strategia ventennale di “avanzo primario” comporta un’altissima probabilità di strangolare una struttura produttiva senza più una “spina dorsale” (quella garantita per un sessantennio dal combinato disposto tra partecipazioni statale e grandi imprese private, come la Fiat). E quindi queste “simulazioni” Ocse, come qualsiasi altra fatta prescindendo da quel che accade nell'”economia reale”, sono esattamente quel che sembrano: esercizi divertenti per economisti deficienti.
Ma davvero non innocenti…

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