Tra oggi e domani, 11 e 12 giugno, la corte tedesca di Karlsruhe deve decidere se l’acquisto di bond sia conforme allo statuto della Bce sui mercati secondari, o se invece (secondo la posizione di Bundesbank), vada vietato perché di fatto si tratterebbe di un finanziamento indiretto del debito sovrano altrui.
Qui già si pone un problema “costituzionale” per la stessa Unione Europea: per la prima volta un’istituzione nazionale, la Consulta tedesca, interviene su questioni regolate dai trattati europei, non dalla Costituzione federale. In pratica, un singolo Stato – un pezzo importantissimo del primo Stato europeo, per peso economico e quindi politico – mette sotto esame una “istituzione europea. E’ un rovesciamento completo della prassi fin qui seguita, per cui i trattati internazionali – anche quelli istitutivi della Ue lo sono – prevalgono sulle leggi nazionali e non sono contestabili dalle singole istituzioni “locali”. Ma la Germania non è un paese qualsiasi. Quindi agita le acque per far capire che la Bce non può decidere in contrasto con la volontà tedesca. Un bel petardo infilato sotto l'”autonomia” della Bance centrale europea…
Il componente tedesco del board della Bce, Joerg Asmussen, che comparità davanti ai magistrati mercoledì su delega del presidente della Bce, in un’intervista alla Bild ha ricordato che i mercati «hanno compreso» il messaggio dell’Omt (il “bazooka” pensato per tenere lontana la speculazione finanziaria dall’euro e dai paesi Piigs) senza che la banca centrale abbia comprato un solo bond. Lo stesso discorso fatto proprio ieri da Draghi. Che è anche vero, ma solo fino a quando lo strumento funziona come “dissuasore” ma non deve essere messo in azione. Altrimenti…
A rappresentare “l’accusa” davanti alla Corte ci sarà il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, predecessore di Asmussen come membro tedesco della Bce.
Secondo i media tedeschi i rapporti tra Draghi e Weidmann sarebbero «a pezzi». Le posizioni restano quindi molto distanti. Bundesbank , anche davanti alla Corte, sosterebbe insomma la necessità di una politica meno “interventista” da parte della Bce. Ovvero che non impieghi risorse tedesche per spegnere eventuali “fuochi”.
La contraddizione è così evidente che ormai anche Repubblica è costretta a strillare contro “l’egoismo” germanico. Che peraltro è un altro rovesciamento della realtà economica: con lo spread alto, infatti, i titoli di stato tedeschi pagano interessi praticamente zero per rifinanziare il debito di Berlino. Un “risparmio” calcolato intorno agli 80 miliardi l’anno. Impiegabili e impiegati per sostenere l’industria nazionale, alla facia dei trattati europei che impediscono agli altri paesi di fare altrettanto.
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L’articolo di Repubblica sull’argomento, oggi.
Lo spread fa ricca la Germania: 80 miliardi dal calo dei tassi
Ecco i risparmi dovuti alla crisi dei Paesi indebitati. Altro che saccheggio ai danni del contribuente, solo guadagni per il bilancio pubblico tedesco.
di MAURIZIO RICCI
Al di là delle sottigliezze giuridiche, il dibattito in corso alla Corte costituzionale di Karlsruhe sulle strategie della Bce è ancorato ad una potente zamorra emotiva: la rivolta del contribuente tedesco contro il saccheggio del suo portafogli per far fronte ai debiti degli scriteriati partner mediterranei.
Il problema, con il copione di questo dramma in diretta, sulla cui legalità si interrogano i giudici di Karlsruhe, è che il dramma è fasullo. Dalla crisi scoppiata nel 2009, il bilancio pubblico tedesco trae assai più benefici che danni, come riconoscono, ormai, anche i centri di ricerca tedeschi, individuando una sorta di rendita europea nel mercato del debito pubblico.
Il calo dei tassi di interesse, dal 2009 ad oggi, sui Bund e sugli altri titoli pubblici farà risparmiare all’erario tedesco – il calcolo è dell’autorevole Ifw di Kiel – 80 miliardi di euro, che diventeranno probabilmente 100, dopo l’ultimo taglio dei tassi da parte della Bce. Non è una valutazione isolata: già nell’autunno scorso, una grande società di assicurazioni come Allianz valutava il risparmio in 67 miliardi di euro. Attenzione: questi risparmi riguardano solo il bilancio federale (meno di metà del debito pubblico). Anche sull’altra metà, regioni e comuni hanno lucrato un consistente risparmio di interessi. Insomma, il contribuente tedesco lamenta una perdita ipotetica e non si accorge di un guadagno concreto, che vale 10 miliardi e più di euro ogni anno.
Per un governo che emette 250-300 miliardi di euro di titoli pubblici ogni anno, più di tre anni di tassi in calo rappresentano un sostegno importante. Si è arrivati all’estremo di investitori pronti ad acquistare i Bund anche in perdita: o perché – sulle scadenze a breve termine – l’interesse era inferiore a zero o perché – su quelle più lunghe – inferiore all’inflazione. Secondo i calcoli di Jens Boysen-Hogrefe dell’Ifw, sui titoli emessi dal 2009 in poi, l’erario tedesco ha risparmiato, rispetto ai tassi pagati nel decennio precedente, 10 miliardi di euro nel solo 2012. Quest’anno, saranno circa 13 miliardi. Proiettando i risparmi sull’arco di durata dei titoli (molti decennali) il risparmio complessivo è, grosso modo, di 80 miliardi di euro. Se, poi, si tiene conto anche dell’ultimo taglio dei tassi da parte della Bce, il risparmio, secondo l’Ifw, supererà, probabilmente i 100 miliardi.
In larga misura, questo calo dei tassi è l’effetto diretto della crisi, della recessione e della politica monetaria messa in atto negli ultimi anni. La Germania è stata in grado (al contrario, ad esempio, dell’Italia e degli altri paesi deboli della fascia mediterranea) di sfruttare pienamente, nel costo del debito, questo risvolto della crisi. Ma non è stata l’unica. Anche la Francia, ad esempio, ha potuto approfittare del calo dei tassi. Ma in misura inferiore a Berlino. La differenza è data dall’effetto-rifugio del Bund tedesco, la cui domanda è stata moltiplicata dall’affollarsi di investitori, a caccia di un investimento sicuro: spesso capitali in fuga dai paesi più colpiti dalla crisi, dalla Spagna all’Italia. In altre parole, i tedeschi dovrebbero in buona misura ringraziare, per il risparmio del calo dei tassi, gli stessi paesi che condannano per la crisi. Questa domanda extra, scatenata dall’effetto-rifugio ha ulteriormente abbassato i rendimenti dei Bund, con un risparmio aggiuntivo. Boysen-Hogrefe valuta che la fuga verso il Bund valga un quarto-un quinto del risparmio complessivo del calo dei rendimenti: 2 miliardi di euro su 10 nel 2012, 3 miliardi su 13 nel 2013.
Nei calcoli di Allianz, l’effetto rifugio, specificamente tedesco, ha un peso maggiore di quello che gli attribuisce la Ifw. Rispetto a quello che giustificherebbe la situazione economica complessiva, infatti, i rendimenti dei titoli decennali sono stati più bassi di 0,6 punti percentuali nel 2010, 0,7 punti nel 2011, 1,35 nel 2012. Il risparmio complessivo, comunque, coincide con quello calcolato dall’istituto di Kiel: oltre 10 miliardi di euro l’anno, per un totale (calcolato nel settembre scorso) di 67 miliardi di euro sull’arco di durata dei titoli. É la rendita europea che, nota Boysen-Hogrefe, “qualcuno potrebbe trovare ragionevole spendere a sostegno dei paesi dell’eurozona più colpiti dalla crisi del debito”. Non è, peraltro, sottolineava il rapporto della Allianz, l’unica. La crisi europea ha seriamente rallentato l’economia tedesca, ha scoraggiato gli investimenti, inaridito sbocchi tradizionali dell’export come gli altri paesi dell’eurozona. Ma la crisi ha comportato anche una svalutazione del 10% dell’euro, rispetto al 2011, che, sul piano globale, è una spinta decisa per le esportazioni tedesche. La Allianz calcola che un euro che vale il 10% in meno porti ad un aumento del 5% delle esportazioni tedesche, equivalente ad un aumento dell’1,25% del Pil.
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