La banca d’affari Hsbc in un rapporto sulla previdenza, dal titolo “Life after pension?”, ha intervistato 16mila lavoratori di quindici paesi di tutti i continenti (dagli Usa all’Egitto, al Regno Unito alla Cina al Messico, Italia esclusa. Dalle interviste emerge come il 12% delle persone interpellate stima che non riuscirà ad andare in pensione con una rendita adeguata. Per almeno una persona su otto la pensione appare del tutto utopistica. Ne riferisce oggi un articolo del quotidiano Sole 24 Ore. I dati emersi dal rapporto sono ancora più allarmanti nel Regno Unito e negli Stati Uniti, paesi dove chi dispera di andare in pensione sono rispettivamente il 19 e il 18%, quasi un lavoratore ogni cinque. In molti casi si tratta di percezioni, ma è un dato da non sottovalutare affatto, visto che spesso le decisioni in materia previdenziali si prendono sulla base della percezione della realtà.
Secondo Simon Willimas, responsabile del settore previdenziale-sanitario della banca Hsbc “generare una rendita adeguata resta la sfida maggiore per la maggior parte delle persone, viste le condizioni causate dalla recessione internazionale”. L’indagine della banca ha indagato tra sistemi previdenziali assai diversi e sottolinea come nel mondo ci siano oggi 579 milioni di pensionati che percepiscono dallo Stato in media una quota pari al 37% dell’ultimo salario. Un costo economico che molte istituzioni finanziarie (Fmi in testa) cominciano a dichiarare pubblicamente che è proibitivo e che va ridotto. Sul come qui e lì emergono ipotesi “inquietanti”. Tra i lavoratori dei paesi oggetto dell’indagine, pesa poi un forte margine di incertezza sul quando potranno andare in pensione: il 43% del campione non sa quando smetterà di lavorare; in Brasile si registra un vero e proprio picco, con l’82% di lavoratori che non ha idea di quando andrà in pensione: La quota di lavoratori “incerti” è più bassa in India, dove lo è solo il 29%. Ma i forti margini di incertezza stanno provocando anche un aumento dell’età lavorativa. Secondo le ultime indagini demografiche negli Usa, è in netto aumento il numero degli americani che continuano a lavorare in età avanzata: se nel 2000 il 38% degli over 65 erano al lavoro, nell’agosto scorso la quota era salita al 49%, con aumenti dal 18 al 27% tra gli over 70 negli ultimi tredici anni. Un “pensionabile” su due, dunque, continua a lavorare, e un ultrasettantenne su quattro rinuncia al pensione: qualcuno, si dice, perchè non può fare a meno di lavorare, ma più che per passione o per riempire la giornata, lo fa per la necessità di avere un reddito per sopravvivere.
Incrociare i dati del rapporto della Hsbc con la situazione italiana, produce qualche informazione interessante ma non certe delle sorprese. Lo scorso anno il Censis aveva realizzato un rapporto per la Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione: Anche da questo emergeva come in Italia il pensiero della pensione sia fonte di ansia piuttosto che di serenità: ci sono il 40% dei lavoratori che versano contributi non regolari ma intermittenti, e il 34% che teme di poter perdere il lavoro nel prossimo futuro. Una percezione che porta il 46% degli interpellati – praticamente un lavoratore su due – a prevedere per sé una una vecchiaia fatta di ristrettezze. Una percezione che al momento i gruppi finanziari e speculativi come i fondi pensione non sono ancora riusciti a sfruttare a loro vantaggio: solo il 25% dei lavoratori ha aderito ad un fondo pensione privato.
Siamo di fronte ad un cambiamento significativo rispetto a solo dieci anni fa quando i pensionati eredi del “baby boomers” venivano considerati un volano per i consumi interni.Un altro mondo dunque, un mondo del lavoro che la crisi ha squassato profondamente rendendolo insicuro e ritenendo che questo possa essere un fattore di crescita della produttività, un capitalismo cieco ed anche criminale, visti i ragionamenti che cominciano a circolare sulle aspettative di vita troppo elevate e sui costi che comportano alle casse pubbliche. Una prestigiosa rivista scientifica britannica riferiva questa estate di aver notato una crescita della mortalità tra gli ultrasessantenni, con incrementi ben superiori alla media degli anni precedenti al manifestarsi della crisi nel 2008. Sarà un caso? No! Non è affatto un caso.
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