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Il diktat del Commissario Rehn

A partire da quest’anno, la nostra “sovranità” nazionale sul bilancio è un po’ meno sovrana, nel senso che le nuove regole (in particolare il “Two-pack”, i due regolamenti approvati dal Consiglio europeo il 13 maggio scorso che introducono per i Paesi dell’eurozona più coordinamento e vigilanza nel processo di formazione delle politiche fiscali nazionali), prevedono che la Legge di Stabilità (ex Legge Finanziaria) entro il 15 ottobre venga trasmessa, oltre che al Parlamento italiano, alla Commissione e all’Eurogruppo (il coordinamento europeo che riunisce i ministri delle Finanze e dell’Economia dei Paesi euro). Entro novembre, la Commissione si esprime con un parere pubblico e motivato sul piano di bilancio per il 2014. Se il piano non è in linea con gli impegni presi e non rispetta le raccomandazioni di Bruxelles, la Commissione chiederà le necessarie correzioni. E se l’Italia non dovesse per esempio rispettare gli obiettivi assunti in termini di deficit (stare sotto il 3% nel rapporto col Pil) scatterebbe una nuova procedura d’infrazione. Piacciano o non piacciano, queste sono le regole che l’Italia, Paese che ha costituzionalizzato il principio del pareggio di bilancio a dicembre 2012 ha accettato e approvato”.

Non potrebbero esserci parole più chiare di quelle dell’editoriale di Guido Gentili oggi sul Sole 24 Ore per spiegare come funziona la gabbia costruita con i vincoli imposti dai trattati dell’Unione Europea al nostro paese. La dimostrazione plastica di come funzionano ormai le cose, è venuta dall’audizione di ieri in Parlamento del Commissario europeo Olli Rehn. Il suo intervento ha chiarito non solo che Francoforte e Bruxelles sono contrari a qualsiasi crisi del governo Letta ma ha indicato anche quali saranno le cose alle quali il governo italiano dovrà ben presto rimettere le mani. Ad esempio l’abolizione dell’Imu “ha suscitato e suscita preoccupazioni, rispetto allo spostamento degli oneri fiscali dai fattori produttivi verso altri cespiti” ha affermato il commissario Ue agli Affari economici, spiegando che “sarà nostro dovere verificare la service tax”. Rehn ha poi sottolineato che la Commissione europea “ha il dovere di chiedere correzioni quando gli stati membri dell’Unione prendono decisioni non coerenti con gli impegni assunti a Bruxelles”. La decisione di abolire l’Imu sulla prima casa presa dal governo italiano “va in direzione opposta rispetto alle raccomandazioni del Consiglio Ue”, che chiede di spostare la pressione fiscale dai fattori produttivi verso il patrimonio e il consumo, ha detto ancora il commissario Ue, aggiungendo però che “se configurata bene, la nuova service tax potrebbe, potrebbe, essere coerente con le raccomandazioni del consiglio”. “La procedura di deficit eccessivo per l’Italia è chiusa, ma l’Italia dovrà onorare, essere all’altezza degli impegni assunti”, ha poi proseguito Rehn, spiegando che in caso di un nuovo sforamento “dovrà riaprire la procedura disavanzo eccessivo: l’Italia ne è pienamente consapevole”. Sulle indicazioni Olli Rehn ha suonato la stessa musica di sempre, soprattutto per quanto riguarda il lavoro. “La Spagna e l’Irlanda hanno ridotto il costo del lavoro e ora registrano un riequilibrio rispetto alla produttività. Italia e Francia invece non sono ancora riuscite veramente a realizzare questo equilibrio, necessario per sostenere la crescita”, ha sostenuto ancora Rehn.

Un primo effetto dell’incursione di “Der Kommissar” in Italia già si è visto con l’orientamento del governo ad aumentare l’Iva dal 21 al 22% nei prossimi mesi. Siamo disposti a scommettere che l’Imu rientrerà dalla finestra molto presto e senza troppi sconti alle fasce medio basse della popolazione e che la Legge di Stabilità che il 15 ottobre verrà esaminata a Bruxelles (prima di essere presentata al Parlamento) conterrà ancora una volta le misure di austerità che hanno portato il paese alla recessione.

Con l’audizione in Parlamento del vicepresidente della Commissione europea, Olli Rehn, la politica italiana, da sempre assai distratta sulla portata di scelte che essa stessa approva a grande maggioranza, ha scoperto il significato pratico della nuova governance europea in tema di bilancio” scrive ancora Gentili nel suo editoriale di oggi “Scoperta amara, tardiva, ma tutto sommato salutare, ammesso che il sistema dei partiti e lo stesso Governo ne traggano le dovute conseguenze”.

Si impone una domanda che contiene una cattiveria. Ma chi ha votato nel 2012 a favore della costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e dei trattati europei? Pd e PdL, quelli che oggi vorrebbero far credere che possano venire meno le “larghe intese” che hanno consentito all’Italia di diventare un paese commissariato – e socialmente devastato – dai diktat della Trojka europea. Gli stessi che “Der Kommissar” Olli Rehn ha richiamato all’ordine per continuare a portare avanti il lavoro sporco.

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