Difficile augurasi qualcosa di peggio che essere governati da truffatori. Negli ultimi venti anni pensavamo di aver toccato il fondo, ma il fondo non c’è.
Il Def – documento di economia e finanza, preparatorio della “legge di stabilità vera e propria – presentato ieri dal governo vede un drastico peggioramento di tutte le stime messe nero su bianco solo cinque mesi fa. E va ricordato che anche quelle erano peggiorative rispetto alle “previsioni” precedenti.
Il Pil calerà quest’anno – si ammette solo ora – dell’1,7%, anziché dell’1,3. Erano mesi che tutti gli istituti internazionali e i centri studi di diverse associazioni imprenditoriali dicevano la stessa cosa, ma il governo era “più ottimista”.
Peggiora anche il debito pubblico, ormai esploso sopra il 130% del Pil – ed anche il rapporto deficit/Pil supererà la fatidica soglia del 3% fissata dal “patto stupido” di Maastricht. Letta il Giovane, o megglio il vecchio saggio Saccomanni, giura che non ci sarà bisogno di una “manovra”; per poi smentirsi nell’arco di poche ore.
Nonostante questa raffica di peggioramenti, lo stesso governo giura anche che l’anno prossimo ci sarà una “crescita” superiore alle precedenti stime. Il giuramento arriva dopo aver ammesso che “abbiamo un disperato bisogno di investimenti dall’estero” e aver messo in programma una nuova serie di “dismissioni” (alienazioni di patrimonio pubblico, sia immobiliare che “produttivo”) per cercare di abbattere un debito pubblico che, dopo anni di tagli alla spesa, aumenta invece di diminuire. L’apparente paradosso è tutto matematico: il rapporto debito/pil è una proporzione, per cui se il Pil diminuisce – come sta accadendo da oltre due anni consecutivi – più velocemente dei tagli di spesa, il rapporto cresce anziché diminuire.
Il problema, sollevato di continuo da economisti keynesiani, ed ora ammesso anche dal Fondo monetario nternazionale, + che questo aumento è “strutturale”, ovvero non dovuto a “pochi” tagli o a tagli sbagliati. E’ la verifica empirica che il “moltiplicatore keynesiano” funziona oggi al contrario: se tagli la spesa pubblic, il prodotto interno lordo diminuisce ancora più velocemente.
Ma non siamo che all’inizio della tragedia verso cui sta correndo l’Italia. La recente uscita dalla “procedura di infrazione” ci ha concesso, come paese, un triennio di “transizione” per avviare la veloce caduta del rappporto deficit/Pil verso il 60% previsto da Maastricht. Siamo al 132%, dicevamo, e il triennio (fino al 2017) servirà a raggiungere intanto la soglia del 120%. Poi si comincerà a viaggiare a ritmi molto più sostenuti: -5% annuo per venti anni consecutivi. Un ritmo che – tradotto in cifre assolute – significa tagli di spesa o maggiori entrate per circa 50 miliardi di euro l’anno. Fatevi un po’ due conti e immaginatevi questo paese tra venti anni: un prodotto interno lordo in costante e rapidissimo calo, un deserto di attività produttive, una riduzione della ricchezza patrimoniale di dimensioni postbellliche, una massa di disoccupati cui nessuno potrà offrire né un lavoro né un reddito… ma i conti pubblici “finalmente in ordine”. Che bello…
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Deficit al 3,1%, il Pil cala dell’ 1,7%
Dino Pesole
ROMA
Il 2013, come largamente previsto, si chiuderà con un pesante segno meno per l’economia nazionale: -1,7%, contro il più ottimistico -1,3% stimato in aprile. I segnali di ripresa che – conferma il Governo – vanno consolidandosi, consentono tuttavia di prevedere un più robusto incremento dell’attività produttiva nel corso del 2014, tanto che la nuova stima per il Pil si attesta su un incremento pari all’1 per cento, contro lo 0,7% previsto dal Fmi nel Def di aprile era indicato l’1,3%). Quanto ai conti pubblici, la Nota di aggiornamento al «Def» approvata ieri dal Consiglio dei ministri colloca per quest’anno l’asticella al 3,1% del Pil in termini tendenziali, dunque lo 0,1% in più rispetto al tetto massimo fissato in sede europea. Per colmare lo scarto, il Governo conferma l’impegno ad adottare «interventi tempestivi» prima della fine dell’anno. L’indicazione che emerge al momento è quella di intervenire attraverso un mix di aggiustamenti contabili (quali lo slittamento al 2014 di alcuni pagamenti) e di riallocazione delle risorse all’interno del bilancio.
Il tutto, al momento, per un importo che dovrebbe essere contenuto in 1,5 miliardi, la cui individuazione non richiede il ricorso a una manovra correttiva vera e propria. Risorse certe e immediate andranno invece comunque reperite se si deciderà di riaprire il dossier Iva, attraverso lo slittamento a tutto il 2013 dell’aumento previsto il prossimo 1° ottobre. Servirà 1 miliardo, cui si aggiungono i 2,3 miliardi necessari a far fronte alla soppressione anche della seconda rata Imu di dicembre. Vi si aggiungono i 700 milioni per le altre spese da coprire (nuovo finanziamento della Cig in deroga e il costo delle missioni militari nell’ultimo trimestre dell’anno).
Fin qui la partita con il 2013. Per il prossimo anno il Governo prevede che il deficit nominale si attesti al 2,5% del Pil, con la spesa in conto interessi indicata al 5,3% quest’anno e al 5,6% il prossimo, mentre il saldo primario (al netto degli interessi) è previsto in aumento dal 2,4% di quest’anno al 3,8% del 2014, fino al 5,7% del 2017. Le tabelle che accompagnano il documento confermano che il debito nel suo complesso (comprensivo anche degli interventi finanziari Efsf) si attesti al 132,9% del Pil quest’anno, al 132,8% il prossimo. Solo dal 2015, l’anno in cui cominceranno ad applicarsi le regole del Fiscal compact e del Two Pack sul debito, è prevista la lenta discesa fino al 120,1% del 2017.
Quanto al pareggio di bilancio in termini strutturali (al netto delle variazioni del ciclo economico e delle una tantum) il percorso delineato dalla Nota di aggiornamento al Def prevede che quest’anno si raggiunga quota -0,4%, che passerà a -0,3% nel 2014, e solo nel 2015 raggiungerà lo zero, il pareggio vero e proprio. Il quadro programmatico – si legge nel documento – traccia dunque «un percorso di avvicinamento» all’obiettivo, «con il pareggio a partire dal 2015, in linea con il nuovo requisito costituzionale e con le regole europee». Il riferimento è in particolare al dispositivo del Two Pack, laddove si stabilisce che la «regola del debito» (vale a dire la riduzione di un ventesimo l’anno rispetto al valore del 60% del Pil) si applichi per i paesi fuori dalla procedura per disavanzo eccessivo dopo un triennio di transizione, che per noi equivale appunto al 2015. L’impegno assunto due anni fa dal governo Berlusconi, condiviso dal governo Monti, era stato in proposito di anticipare il pareggio di bilancio dal 2014 al 2013.
Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni punta alla riduzione dello spread nei dintorni dei 100 punti base alla fine del periodo, dunque nel 2017. Scenario che lo stesso Saccomanni definisce “credibile”, a patto che si metta in campo una ferma determinazione nel perseguire questi obiettivi, e che vi sia «stabilità politica». Una scommessa, al pari dello 0,1% di crescita atteso per effetto dello sblocco di altri 7,2 miliardi di debiti commerciali della Ps (lo 0,3% nel 2014), e dell’ulteriore 0,1% sia quest’anno che il prossimo per effetto dell’insieme di interventi decisi finora, dalle agevolazioni nel comparto dell’edilizia agli incentivi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.
da IlSole24Ore
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Walter Bearzi
se alcuna evidenza fosse ancora necessaria, ecco un’ulteriore conferma del fatto che la linea economica/fiscale europea mira solo ed esclusivamente all’imposizione di una pura e rigida politica iperliberista mirata a polverizzare le politiche sociali europee a tutto favore delle multinazionali (massivamente americane). considerato chi siede – molto ben pagato e quotidianamente molto accondiscendente – al governo ed in parlamento, non si vede via d’uscita…