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Bankitalia pubblica bene, propaganda male

La ripresa non abita qui. La prova? Le banche stanno riducendo il credito invece di aumentarlo. In pratica, prestano medo soldi di prima, sia alle famiglie che alle imrpese. Viste le caratteristiche di un’economia in crisi, se il credito si restringe la circolazione di beni, merci, attività, investimenti, ecc, rallenta invece di “crescere”.

Semplice al punto che si può ritrovare scritto persino dentro i manuali di macroeconomia. E allora da dove viene tutto quell’ottimismo di facciata sulla “ripresa alle porte”? Dalla propaganda di governo e basta; le imprese restano, più caute, alla finestra. E le banche anche.

I dati venono da Bankitalia, non dai “comunisti catastrofisti”. C’è stato un crollo record, ad agosto, dei prestiti destinati a imprese e famiglie. I prestiti al settore privato sono scesi del 3,5% (-3,3% a luglio) rispetto allo stesso periodo del 2012, mentre quelli alle famiglie sono scesi dell’1,2%. Peggio ancora per quanto riguarda le  “società non finanziarie” – ovvero attive nell'”economia reale” – che si son viste negare o non hanno nemmeno chiesto credito per il 4,6% in meno rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Ne risente in particolare il credito immobiliare, con un mercato pesantemente in calo nonostante i prezzi siano scesi (a macchia di leopardo) in maniera anche notevole. I tassi di interesse per i mutui casa sono stati pari al 3,91 per cento. Non proprio economico, visto che il tasso di interesse base (quello applicato dalla Bce quando presta soldi alle banche) è allo 0,50%.

Tassi da strozzini per il “credito al consumo” (vendite a rate in genere), che presentano una media del 9,64 per cento. Va papena meglio per i tassi applicati ai nuovi prestiti alle società “non finanziarie” di importo fino a 1 milione di euro: 4,50%. Su questo dato glissano in molti, ma sembra pesare sull’attività produttiva molto più del “costo del lavoro” e persino della tassazione (che avviene sugli utili, non sul fatturato). Se una qualsiasi piccola o media impresa deve pagare il 4,5% alla banca per un prestito (quindi sul capitale da investimento, fisso o variabile che sia), il suo margine operativo deve essere molto superiore per garantire un minimo di guadagno (o profitto). E non sembra che in una situazione di mercato che langue questi margini (oltre il 6%, come minimo) sia così facili da conseguire. Insomma: le imprese dovrebbero prendersela con le banche, più che con i lavoratori e i loro diritti. Anche perché se i lavoratori non riescono poi a comprare i prodotti delle imprese a causa del salario troppo basso, per le imprese stesse è un disastro (mica tutte sono “export oriented”!).

Per le banche va invece – e infatti – molto bene. Nello stesso mese di agosto è cresciuta la “raccolta”,  mentre le “sofferenze”non hanno subito variazioni. E’ un gioco a somma zero, in fondo: se c’è qualcuno che ci perde, c’è certamente qualcun altro che ci guadagna.

Bankitalia dovrebbe saperlo meglio di tutti. Quindi perché avalla l’ottimismo sui “segnali di ripresa” se i dati in suo possesso dicono il contrario?

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