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Niente credito, niente “ripresa”. Confindustria dà l’allarme

L’unico motivo valido per sostituire Fabrizio Saccomanni come ministro dell’economia non risiede davvero nella sua capacità – capisce la materia meglio di qualsiasi pretendente “politico” alla sua poltrona, oltre a essere un “funzionario integerrimo”  – ma nell’aver sbagliato “la comunicazione”. Del resto, in un’attività di governo ridotta a spostamento di voci di bilancio (questa la taglio, quest’altra la espando, qui abbasso una tassa, qua ne alzo due, ecc) all’interno di un saldo vincolante deciso a Bruxelles, non è che ci sia qualcosa di più rilevante della “comunicazione” per mentenere una finzione di rapporto con la popolazione.

E di Saccomanni si ricorderà sempre quel “la ripresa sta per iniziare” (nel quarto trimestre dell’anno che si è chiuso, quindi nel passato!), che – al pari di Mario Monti, Corrado Passera, Giulio Tremonti, ecc – ha scandito i discorsi di fine anno di ogni premier o ministro dell’economia negli ultimi sei anni.

Come Godot, però, con queste politiche economiche o, meglio, con i limiti incontrati dal capitalismo e ormai evidenti, la “ripresa” non potrà mai arrivare. Ma lasciamo pure da parte le considerazioni “sistemiche” e concentriamoci sulle provinciali vicende dell’economia nazionale.

A dire che la “crescita” non è possibile neppure nel 2014 e neanche l’anno successivo è addirittura il Centro Studi di Confindustria, che pure non può essere annoverato tra i think tank “comunisti catastrofisti”. Le considerazioni svolte sabato mattina nella sede di via dell’Astronomia, a Roma, sono semplici quanto tombali. In Italia la caduta dei prestiti bancari alle imprese è stata finora del 10,5% dal picco del settembre 2011, pari a un calo di 96 miliardi. È chiaro? Le banche non prestano solidi a chi fa economia “reale”, nemmeno se a loro volta prendono a prestito – dalla Bce – denaro a costo zero, a un tasso inferiore a quello dell’inflazione.

96 miliardi in meno non sono certo una bazzeccola, specie in un sistema che sforna un prodotto interno lordo intorno ai 1.500 miliardi di euro l’anno. Un quindicesimo del totale sottratto soprattutto agli investimenti, quindi alla possibile crescita dei volumi di produzione (semmai ci fosse un mercato su cui piazzare questo sovrappiù), all’”innovazione” e persino ai salari. Le imprese rispondono all’inaridirsi del credito riducendo l’occupazione, chiudendo le attività più a rischio, delocalizzando quando possono (c’è chi sta scoprendo la Mauritania come nuovo eldorado…).

E le previsioni del CSC non sono più ottimistiche, visto che stima un ulteriore calo dell’1% (-8 miliardi). Solo l’anno successivo, per il momento, viene “stimata” (meglio sarebbe dire “sperata”) una riapertura parziale dei rubinetti, nella dimensione di 22 miliardi in più. Ovvero 82 miliardi in meno rispetto al 2011…

Non ci si può nemmeno illudere su un eventuale cambio di comportamenti per l’anno in corso, perché le banche principlai si stanno attrezzando per far fronte alla “sorveglianza bancaria” da parte della Bce; con criteri che saranno certamente più stringenti di quelli adottati fin qui dalle banche centrai di ogni paese. Ecco perché un eventuale allargamento dei cordoni del credito sarà possibile – ma non certo – soltanto dal 2015. Com’è noto, però, l’economia reale ha i suoi tempi (si prendono soldi in prestito, si mette in moto la produzione, si distrbuiscono i prodotti sui mercati e si spera che le vendite siano sufficienti a coprire l’investimento e dare qualche profitto), quindi eventuali “effetti positivi” sul Pil (non ancora sull’occupazione) si potrebbero vedere solo dal 2016 in poi.

Tempi biblici, per un paese che ha già perso il 10% del pil rispetto al 2007.

La nota del Csc spiega infatti che il blocco del credito ”è partito dal lato dell’offerta e perciò le previsioni si basano sull’evoluzione nei bilanci bancari del rischio di credito (oggi ai massimi), della capacità di generare utili (ai minimi), dei ratio di capitale e della raccolta”. Perché l’inversione di tendenza si verifichi ”è cruciale che la valutazione e i test effettuati dalla BCE confermino la solidità dei bilanci bancari così da infondere fiducia negli istituti italiani da parte degli investitori e da abbassare la loro avversione al rischio”.

Se “l’approfondita analisi della BCE” portasse – com’è possibile e persino probabile – a qualche sonora bocciatura di alcune banche “sistemiche” (il candidato in prima fila si chiama MontePaschi), si potrebbe materializzare uno scenario “avverso”: i prestiti scenderebbero in quel caso del 4,9% nel 2014 (-40 miliardi) e dell’1,3% nel 2015 (-10 miliardi)”. Una catastrofe cui nessuno vuol pensare, ma che non compare mai nella “comunicazione” dei nostri governanti conto terzi.

”In ogni caso – si legge nella nota – l’andamento dei prestiti bancari nel 2014-15 non potrà soddisfare pienamente il fabbisogno finanziario creato dal miglioramento della domanda e dell’attività economica e ciò rende urgente lo sviluppo dei canali di finanziamento non bancari”. La traduzione è semplice: anche se il resto del mondo e dell’Europa entrasse in “ripresa”, l’economia italiana resterebbe al palo per mancanza di credito “sufficiente”. E non c’è taglio dei salari o delle “regole del mercato del lavoro” che possa compensare questa assenza…

Per questo, al posto dei “comunicatori deboli” come Saccomanni e lo stesso Enrico Letta, ai piani alti della Troika vedono con favore un “cacciaballe professionale e allegro” come quel Renzi lì…

 

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