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Letta offre il made in Italy agli sceicchi, ma la Germania fa rubamazzo

Non è un mistero che il viaggio del premier Letta negli emirati del Golfo abbia l’obiettivo di convincere i finanziatori arabi a investire in Italia. La vicenda dell’Alitalia, sulla quale riferiamo in altra parte del giornale, sembra essere solo la punta dell’iceberg di quel progetto “Destinazione Italia” con il quale il governo di uno dei paesi Pigs – il nostro – porta in giro come un piazzista le ricchezze del paese per offrirle al miglior offerente. Con la differenza che non si tratta di un club di calcio ma della ricchezza reale che può fare la differenza tra uno sviluppo economico e sociale con la “crescita” basata sui micidiali fondamenti del mercantilismo capitalista: export e investimenti esteri e contemporanea depressione della domanda interna (salari, consumi, investimenti).

Una missione della filiale italiana del centro di investimenti Kpmg, segnala che le petromonarchie sembrano essere interessate solo a imprese con un fatturato di almeno 200 milioni di euro all’anno, meglio se arrivano ad almeno 500 milioni. I settori che sembrano interessare gli sceicchi sono però solo la moda e abbigliamento di “nicchia” e l’immobiliare.

Diversamente, sulle imprese italiane del made in Italy, anche piccole e medie, è da tempo che il capitalismo tedesco sta invedce facendo un vero e proprio “rubamazzo” acquisendo, spesso con pochi soldi, i gioielli dell’industria italiana. Il Financial Times, segnala che nel 2013 sono state ben 23 le Pmi italiane passate in mani tedesche, l’anno precedente erano state 20 acquisizioni registrate. E, secondo il Ft, si tratta quasi sempre di gioiellini. E’ il Sole 24 Ore di oggi però a rivelarci l’obiettivo e i risultati di questa campagna acquisti da parte delle imprese tedesche. “L’obiettivo è quello di spostare gli asset più di valore (marchi, brevetti, management, liste di clienti) lontano dall’Italia, dove è più facile trovare finanziamenti da banche non italiane” afferma il legal adviser della Lehel Invest Bayern, Carlos Mack, confermando poi “che i tedeschi non sono interessati all’asfittico mercato italiano ma ai prodotti delle Pmi tricolori e al fatto di collocarli da qualche altra parte”. Come è noto, una buona parte del sistema delle piccole e medie imprese italiane, soprattutto nel Nordest, opera come subfornitore delle aziende tedesche. Le acquisizioni di imprese italiane, per i capitalisti tedeschi è anche un modo di tutelarsi, di evitare che ottime realtà industriali italiane falliscano, mettendo a repentaglio i processi di fornitura verso le imprese tedesche.

Quali conclusioni trarne? Quali benefici ottiene il sistema industriale italiano da questa svendita all’estero delle proprie imprese? Lasciamo le conclusioni alle parole del Financial Times e del Sole 24 Ore: “In tutto questo il timore è che queste acquisizioni si traducano in perdite di posti di lavoro in Italia” scrive il Ft “Oppure, ancora peggio, nell’addio definitivo a pezzi strategici della struttura industriale italiana. Con pesanti conseguenze, nel lungo termine, per il nostro Paese” chiosa il giornale della Confindustria. Sembra ormai essere questo “l’amaro destino” che l’Unione Europea riserva ai paesi Pigs. Chiaro il concetto?

 

 

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