Il Grande Gelo è di nuovo alle porte. Non è ancora entrato, ma si sentono i suoi passi sulle scale. La caduta contemporanea di tutte le borse mondiali, ieri, è stato confermato stamattina da un crollo pauroso a Tokyo (-4,2%). Il Giappone aveva beneficiato – finanziariamente – di un anno di “liquidità sconfinata” elargita dalla Banca centrale, obbediente – lì come altrove, ma non nell’Eurozona – agli ordini del governo. L’”Abe-nomics” aveva promesso sviluppo, inflazione, svalutazione competitiva dello yen e crescita. Ha ottenuto solo un po’ di svalutazione, e per poco tempo; e ora paga pegno a tensioni nate da altre economie, come quella Usa e cinese, da cui in fondo dipende. Si sgonfia pertanto a velocità doppia la “bolla speculativa” che aveva fatto salire, nel 2013, la Borsa di Tokyo del 57%. In questo primo mese del 2014 ha già lasciato il 13%.
Si dimentica con troppa facilità – ai vertici dei paesi più forti – che il mercato unico è la sola realtà per tutti. E che quindi ogni “politica economica” o monetaria agisce in un contesto dato, altamente reattivo (con aggiustamenti “eguali e contrari” quasi in tempo reale); non più in una ambiente chiuso, “nazionale” o di macro-area dai confini precisi.
Usa e Cina hanno pubblicato dati sulla produzione manifatturiera che indicano “rallentamento”. La “ripresa” Usa, addirittura “al di sopra delle attese”, è così durata appena due trimestri. La frenata arriva – non troppo casualmente – in contemporanea con l’inizio del “tapering” da parte della Federal Reserve. In pratica, la banca centrale Usa sta riducendo le “iniezioni di liquidità” nel sistema monetario (trattandosi del dollaro, con immediati effetti planetari), da 85 a 65 miliardi di dollari al mese; e potrebbe ancora diminuirli, se l’occupazione Usa – secondo obiettivo della politica monetaria – dovesse migliorare. Ma se la crescita si ferma, l’occupazione non potrà che peggiorare. Quindi questi crolli di borsa dimostrano che soltanto quantitativi elevati di “droga” monetaria sono riusciti – negli ultimi due anni – a dare l’impressione che la crisi stesse conoscendo una sosta duratura.
Sappiamo anche che buona parte della “liquidità in eccesso” era finita nei paesi emergenti, finanziando lì attività anche manifatturiere, non soltanto speculazione finanziaria. Ma proprio l’eccesso di liquidità in dollari aveva fatto rivalutare le monete di quei paesi, vanificando in breve tempo buona parte del “vantaggio competitivo” posseduto (salari bassi, tassazione di favore per le imrpese). I 700 miliardi di dollari che negli ultimi mesi hanno fatto il percorso inverso – dagli “emergenti” ai “maturi” – hanno prima sostenuto il corso borsistico, poi sono rifluiti di nuovo in “liquidità in attesa di occasioni di investimento”.
Non dovete mai credere a chi vi dice – dai media mainstream – che “sono andati bruciati tot miliardi” in una crisi di borsa. Non si è bruciato nulla. Semplicemente sono stati ritirati. Lasciando col culo per terra molti investitori, certamente; ma qualcun altro ha realizzato plusvalenze esattamente equivalenti alle perdite altrui.
In questa situazione, le piazze europee stamattina l’hanno presa con molta calma. Solo il Dax di Francoforte è scivolato di quasi l’1%, a causa delle forte dipendenza tedesca dalle esportazioni (in macchinari, soprattutto) verso i paesi emergenti. Piazza Affari, per quel che conta (assai poco), è addirittura rimasta a lungo “in terreno positivo”.
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