Il governo presentando i risultati del rapporto Akamai stilato dal commissario all’Agenda Digitale Europea Francesco Caio, rileva l’arretratezza italiana per la diffusione della banda larga.
Se la velocità media è rimasta la stessa rilevata nel secondo trimestre del 2013 – 4,9 Mbit/s – si registra comunque un piccolo calo, pari all’1,4%: in pratica, in tre mesi c’è stato un rallentamento della banda larga. Su base annua il dato è ancora positivo – l’incremento rispetto al 2012 è ancora del 24% – ma la flessione è preoccupante e significativa: mentre il resto d’Europa cresce, noi non solo ci fermiamo, ma andiamo indietro.
Lo studio ha valutato la situazione delle telecomunicazioni italiane in vista dell’obiettivo europeo di una connessione del 50% della popolazione con una rete a 100 Mbps entro il 2020. Alla stessa data dovrebbe essere assicurata una copertura totale a 30 Mbps.
Il risultato del rapporto conferma quello che era già noto a tutti ovvero che posiziona l’Italia agli ultimissimi posti in Europa e comunque tra il 40° e il 70° posto nel Mondo nelle classifiche di penetrazione e velocità media e di picco. Pagando decenni di malagestione e, soprattutto, la mancanza di una programmazione delle infrastrutture a medio e lungo termine.
La problematica del divario digitale tra l’Italia e gli altri paesi industrializzati è nota. Mentre nel nostro paese si commercializzano regolarmente linee con velocità di 7 megabit/s (ma non manca chi utilizza ancora i 640 kb/s e chi addirittura i 56), in altri luoghi come Stati Uniti, Germania e Giappone non è infrequente stipulare un abbonamento da 100 Mb/s.
Considerato che secondo studi di settore lo sviluppo dell’Agenda Digitale sia in grado di creare cinque posti di lavoro ogni due persi, con effetti positivi nei diversi campi per lo sviluppo del sistema Paese, come la scuola, l’interazione con la Pubblica Amministrazione, il Servizio Sanitario, la qualità dell’ambiente e risparmi per lo Stato e per il cittadino, la diffusione rapida dell’infrastruttura di rete è una necessità urgente non solo per l’imprese ma per il sistema Paese.
E’ evidente come decenni di malagestione della cosa pubblica e anche della cosa privata, se è vero com’è vero che Telecom Italia privatizzata ha abbandonato ogni piano sensato di cablaggio in fibra, con la complicità della classe politica che in questi anni si sono macchiati di malversazioni, così tanto da creare l’equazione nella testa della gente che gestione pubblica è uguale a ruberia. E che quindi sia sempre meglio il libero mercato, anche se fatto a colpi di privatizzazioni affrettate.
Telecom Italia deve tornare al più presto senza indugio nella gestione statale, e su di essa si devono innestare investimenti a medio e lungo termine per accelerare lo sviluppo e la diffusione del paese anche oltre la convenienza economica di breve. Adesso non si scherza più, adesso è il momento di cambiare. Anche perché vale sempre il vecchio adagio: “In tempi di grandi cambiamenti, chi non cambia deve essere cambiato”.
Ci sono infrastrutture essenziali e strategiche come telecomunicazioni, energia e trasporti che vanno gestite con molta attenzione, da loro dipende funzionamento del sistema PAESE, dove la presenza è necessaria.
Per queste ragioni occorre dire no alla privatizzazione, rinazionalizzazione di Telecom Italia una e pubblica, per democrazia, sviluppo, lavoro
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