Il Censis è un centro di ricerche di solida tradizione democratica e cristiana, tendenza “morotea” (per chi ricorda i tempi delle correnti Dc), con qualche lampo nostalgico verso i bei tempi dell'”economia mista”, dell’intervento pubblico nella produzione reale e della coesione sociale come obiettivo – moderatamente – perseguito dai governi di coalizione.
Le sue analisi sono perciò quasi sempre dissonanti rispetto ai fuochi fatui della governance comuncativa, che se ne frega del paese reale e punta tutto sull’audience.
Quest’ultima relazione sulle disegualianze di reddito – arrivate ormai a picchi difficilmente giustificabili, fino a una ventina di anni fa – assume perciò quasi i toni di un j’accuse a tinte fosche. Non è socialismo, ma neo-“francescanesimo” a là Bergoglio.
I dati sono però iluminanti. E anche la loro lettura non è mai banale.
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Roma, 3 maggio 2014 – Patrimoni sempre più squilibrati. I 10 uomini più ricchi d’Italia dispongono di un patrimonio di circa 75 miliardi di euro, pari a quello di quasi 500mila famiglie operaie messe insieme. Poco meno di 2mila italiani ricchissimi, membri del club mondiale degli ultraricchi, dispongono di un patrimonio complessivo superiore a 169 miliardi di euro (senza contare il valore degli immobili): cioè lo 0,003% della popolazione italiana possiede una ricchezza pari a quella del 4,5% della popolazione totale. Ecco plasticamente rappresentate le disuguaglianze di oggi in Italia. Le distanze nella ricchezza sono cresciute nel tempo. Oggi, in piena crisi, il patrimonio di un dirigente è pari a 5,6 volte quello di un operaio, mentre era pari a circa 3 volte vent’anni fa. Il patrimonio di un libero professionista è pari a 4,5 volte quello di un operaio (4 volte vent’anni fa). Quello di un imprenditore è pari a oltre 3 volte quello di un operaio (2,9 volte vent’anni fa).
Le diseguaglianze dei redditi: chi più aveva, più ha avuto. I redditi familiari hanno avuto negli ultimi anni una dinamica molto differenziata tra le diverse categorie sociali. Rispetto a dodici anni fa, i redditi familiari annui degli operai sono diminuiti, in termini reali, del 17,9%, quelli degli impiegati del 12%, quelli degli imprenditori del 3,7%, mentre i redditi dei dirigenti sono aumentati dell’1,5%. L’1% dei «top earner» (circa 414mila contribuenti italiani) si è diviso nel 2012 un reddito netto annuo di oltre 42 miliardi di euro, con redditi netti individuali che volano mediamente sopra i 102mila euro, mentre il valore medio dei redditi netti dichiarati dai contribuenti italiani non raggiunge i 15mila euro. E la quota di reddito finita ai «top earner» è rimasta sostanzialmente stabile anche nella fase crisi.
L’austerity non è per tutti. Negli anni della crisi (tra il 2006 e il 2012), i consumi familiari annui degli operai si sono ridotti, in termini reali, del 10,5%, quelli degli imprenditori del 5,9%, quelli degli impiegati del 4,5%, mentre i consumi dei dirigenti hanno registrato solo un -2,4%. Distanze già ampie che si allargano, dunque, compattezza sociale che si sfarina, e alla corsa verso il ceto medio tipica degli anni ’80 e ’90 si è sostituita oggi una fuga in direzioni opposte, con tanti che vanno giù e solo pochi che riescono a salire. In questa situazione è alto il rischio di un ritorno al conflitto sociale, piuttosto che alla cultura dello sviluppo come presupposto per un maggiore benessere.
Se potessi avere 80 euro al mese. Come impiegheranno il bonus Irpef di 80 euro al mese i 10 milioni di italiani che ne beneficeranno per i prossimi otto mesi, da maggio a dicembre? I comportamenti saranno molto diversi se l’introduzione del bonus sarà strutturale o se invece non avrà continuità nel tempo. Nel caso in cui gli 80 euro costituiranno un incremento una tantum del reddito, il Censis stima che 2,7 miliardi di euro (dei 6,7 miliardi totali previsti dal decreto del governo) andranno ad alimentare la domanda interna. Per la precisione, 2,2 milioni di beneficiari del provvedimento impiegheranno tutti gli 80 euro mensili in consumi, per una spesa pari a 1,5 miliardi di euro negli otto mesi. Altri 2,7 milioni di beneficiari li spenderanno solo in parte per consumi, per un valore di 1,2 miliardi di euro (e destineranno 700 milioni di euro ad altro). Invece, 5 milioni di beneficiari useranno il bonus esclusivamente per impieghi diversi dai consumi (risparmieranno, pagheranno debiti, ecc.), per un ammontare di 3,3 miliardi di euro. Nel caso in cui il bonus di 80 euro costituirà una modifica fiscale permanente, e quindi comporterà un incremento stabile e sicuro dei redditi dei beneficiari, il Censis stima che l’incremento della spesa per consumi nei prossimi otto mesi sarà superiore a 3,1 miliardi di euro, cioè circa il 15% in più rispetto al caso in cui il bonus non venga rinnovato nel prossimo anno. In questo caso sarebbero circa un milione in più le persone che destinerebbero tutti o in parte gli 80 euro ai consumi.
Le tante facce della diseguaglianza. Le iniquità sociali non riguardano solo patrimoni e redditi. Ci sono eventi della vita che sempre più generano diversità che diventano distanze sociali. Avere o non avere figli: ecco una causa di diseguaglianza. La nascita del primo figlio fa aumentare di poco, rispetto alle coppie senza figli, il rischio di finire in povertà. Nel primo caso il rischio riguarda l’11,6%, nel secondo caso riguarda il 13,1%. Ma la nascita del secondo figlio fa quasi raddoppiare il rischio di finire in povertà (20,6%) e la nascita del terzo figlio triplica questo rischio (32,3%). Inoltre, avere figli raddoppia il rischio di finire indebitati per mutuo, affitti, bollette o altro rispetto alle coppie senza figli: il rischio riguarda il 15,7% nel primo caso, il 6,2% nel secondo caso. Anche ritrovarsi a fare da solo/a il genitore aumenta di un terzo, rispetto alle coppie con figli, il rischio di finire in povertà e/o indebitati: 26,2% nel primo caso, 19,3% nel secondo.
Dimmi dove vivi e ti dirò quanta diseguaglianza c’è. Il rischio di finire in povertà è, per i residenti nel Sud (33,3%), triplo rispetto a quelli del Nord (10,7%) e doppio rispetto a quelli del Centro (15,5%). Nel Sud (18%) i residenti hanno anche un rischio quasi doppio di finire indebitati rispetto al Nord (10,4%) e di 5 punti percentuali più alto rispetto a quelli del Centro (13%).
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