Il conto alla rovescia per una nuova ondata di privatizzazioni è cominciato. Nel centro del mirino adesso ci sono le società municipalizzate o partecipate dai Comuni e dagli enti locali. Migliaia di lavoratori e servizi primari come acqua, energia, trasporti dovranno dunque “andare sul mercato” e rispondere agli azionisti e non più agli utenti/cittadini. Il pretesto per questa svendita legalizzata dei servizi pubblici – ovviamente su indicazione delle direttive dell’Unione Europea – è che le municipalizzate e le società partecipate degli enti locali producono perdite, sperperi e quant’altro.
In buona parte questa è un’altra manipolazione dei “bloody lear”, i sanguinari mentitori che da anni diffondono nel paese false notizie e falsi allarmi per spianare la strada alle privatizzazioni.
Il motivo è che gli interessi privati erano già ben radicati dentro i servizi pubblici snaturandone le funzioni e alimentando proprio quegli sperperi ai quali la privatizzazione afferma di voler porre fine. Potremmo rammentare – nel caso di Roma – gli alti stipendi “secretati” dei dirigenti dell’Ama, l’alto numero di dirigenti con alti stipendi all’Atac o la produzione “parallela” di biglietti dell’autobus che hanno stornato milioni di euro dalle casse pubbliche a tasche private (un’inchiesta sulla quale è sceso un assordante silenzio che sembra eccessivo per la Procura di Roma nota come il porto delle nebbie).
Ma un esempio ancora più calzante del nesso tra interessi privati-sperperi-privatizzazioni, ci viene dai dati forniti dal Cerved, una sorta di cervellone delle società pubbliche, il quale rivela che la maggior parte delle società partecipate dagli enti locali che drenano risorse pubbliche, non sono società di servizi primari da fornire ai cittadini (trasporti, energia, acqua, raccolta rifiuti) ma società di “consulenza”. Anzi spesso sono società private o semi-private di “consulenza amministrativo-gestionale” ad enti come Comuni e Regioni (le Province si sa sono in via di scioglimento), i quali, proprio sul piano amministrativo e gestionale non solo sono (o dovrebbero essere) ampiamente autosufficienti, ma dovrebbero essere soggetti di consulenza all’esterno in materia come questa.
Il Cerved ci rivela che il 17,7% delle 5288 società partecipate dai Comuni, sono infatti società private di consulenza, sia sul piano dell’immagine o delle pubbliche relazioni dei sindaci o nella gestione degli “eventi”. Le società di gestione della raccolta rifiuti – ad esempio – scendono al 9,8%, mentre quelle dei trasporti pubblici sono solo il 6,1% di questo bottino da privatizzare.
Settore di attività |
% su società partecipate |
Consulenza |
17,7 |
Energia e gas |
12,1 |
Rifiuti |
9,8 |
Trasporti pubblici |
6,1 |
Fornitura acqua |
3,9 |
Altro |
10,3 |
(elaborazioni del Cerved, da Sole 24 Ore del 16/6/ 2014)
Il problema è che il bottino per gli appetiti dei privati sta proprio qui e non nella riduzione degli sperperi. Sono infatti le società di utilities (energia, acqua, trasporti, rifiuti) a fare gola agli investitori privati che sanno di aver una margine di profitto assicurato dalle bollette (sempre più care nonostante la “concorrenza”), dagli abbonamenti e dal sistema di riscossione e sanzioni che sta diventando sempre più vessatorio nei confronti degli utenti e della gente.
Ci sarebbe da fare a botte ogni volta che si legge un articolo o si sente qualche intervento che evoca la privatizzazione dei servizi pubblici come unica soluzione perché sono fonti di sperpero.
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