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Imu sui terreni agricoli montani: storia di ordinaria follia fiscale

L’ Italia non è un paese in salute, ormai lo sanno pure le pietre: ingabbiato tra Fiscal Compact e Patto di Stabilità e sempre all’affannata ricerca di risorse economiche da reperire, tagli da effettuare, assillato da una burocrazia asfissiante e in fase di congiuntura economica negativa non fa altro che puntare su un’imposizione fiscale giunta a livelli ormai intollerabili e che non risparmia  niente e nessuno: neanche i terreni dei comuni montani di tutti quei cittadini che da gennaio prossimo ne malediranno il possesso.

A seguito della recente pubblicazione del Decreto Ministeriale 28 novembre 2014 è stato infatti modificato il meccanismo d’imposizione dell’imu sui terreni: in particolare è stato ridotto il numero dei comuni in cui vigeva l’esenzione dall’imposta municipale con riferimento ai terreni agricoli.

La misura varata per far entrare nelle casse pubbliche gettito extra ha ridotto notevolmente l’elenco dei comuni “montani” che godevano finora dell’agevolazione.

In base alle nuove disposizioni i contribuenti per stabilire se siano tenuti o meno al pagamento dell’imposta dovranno verificare nei nuovi elenchi ufficiali l’altitudine del comune di riferimento, convenzionalmente fatta coincidere con l’altitudine della Casa Comunale: i proprietari dei terreni siti nei territori di quei comuni al di sotto della soglia dei 281 metri s.l.m. saranno obbligati nella totalità al pagamento dell’Imu. Per la fascia di altitudine che va dai 281 ai 599 s.l.m. saranno esentati solo i terreni appartenenti a coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali. L’esenzione totale riguarderà invece solo i terreni siti nei comuni che si collocano ad un’altezza superiore ai 600 m s.l.m.

A seguito delle modifiche apportate rimarranno solo 1498 comuni a beneficiare dell’esenzione totale mentre l’extragettito da incassare stimato si attesta intorno ai 350 milioni di euro, cifra che permetterà allo Stato una decurtazione di pari ammontare al Fondo di solidarietà.

Ora, gravare una fetta consistente dei cittadini italiani con un’imposta patrimoniale  anche su questo fronte appare quantomeno illogico. Diversi sono i fattori che basterebbe considerare per bocciare questa novità normativa: innanzitutto la notevole frammentazione delle proprietà familiari dei terreni dei nostri comuni montani, il mancato o esiguo ritorno economico degli stessi, spesso acquisiti esclusivamente per lascito ereditario: parliamo di terreni il più delle volte improduttivi per ovvie condizioni geologiche e geografiche e comunque nella maggior parte dei casi inutilizzati, abbandonati o destinati a pascolo.

Anche il fatto di prendere come riferimento l’altitudine della Casa Comunale pesa fortemente sulla questione: prendiamo ad esempio un comune siciliano come Isnello, nelle Madonie. Situato a 530 metri s.l.m. rientra nella fascia intermedia. Basta spostarsi dal centro urbano salendo di quota di soli altri 70 metri per  incontrare terreni che potenzialmente anche in base alle nuove disposizioni sarebbero esenti dall’ mposta e invece per via delle “concettualmente distorte” modifiche normative dovranno, di contro, far fronte all’esborso.

A tutto ciò si aggiunge l’assurdo: li governo vara una norma retroattiva, in barba allo Statuto del Contribuente e ad ogni umana logica perché il 16 gennaio (e se non si fosse varata una proroga in extremis la data sarebbe caduta il 16 dicembre 2014), si chiede ai cittadini di versare un’imposta nella sua totalità (acconto e saldo) per i terreni per tutto il 2014, ad anno praticamente ormai concluso.

Far cassa per gli enti pubblici è divenuto prioritario, poco importa se lo si fa in barba ad aree svantaggiate o beffandosi di leggi poste a tutela del contribuente.

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