Nel 2014 il consuntivo delle riscossioni eseguite da Equitalia sono ammontate a 7,4 miliardi di euro, con un aumento del 4% rispetto al 2013. Equitalia sottolinea in una nota, che si tratta di “un importante contributo alla tenuta dei conti pubblici” e di “maggiori risorse a disposizione dello Stato per realizzare servizi a favore della collettività”. Le riscossioni riguardano tributi, contributi e sanzioni arretrati, cioè non pagati dai contribuenti nei tempi e nei modi previsti dalla legge e per i quali gli enti pubblici creditori hanno chiesto a Equitalia di inviare le cartelle di pagamento.
La società di riscossione che corrisponde all’incubo per milioni di persone, segnala con una certa soddisfazione che nell’anno appena trascorso è proseguita anche la riduzione dei costi di produzione, amministrativi e del personale del gruppo. La situazione economico-patrimoniale di Equitalia al 30 settembre 2014, infatti, conferma l’andamento positivo già registrato negli ultimi anni, hanno permesso di chiudere i primi nove mesi del 2014 con un risultato netto positivo di circa 10 milioni di euro.
Le modalità con cui Equitalia effettua la riscossione si sono rivelate strumenti vessatori nei confronti di imprese, artigiani, commercianti e famiglie. Solo su Milano Equitalia ha quasi 200mila ipoteche sugli immobili, mentre soprattutto nel Nordest il numero di conti correnti bancari pignorati è salito esponenzialmente. In Sardegna centinaia di piccole imprese agricole e artigianali sono state chiuse a causa delle riscossioni di Equitalia.
C’è poi il capitolo delle ipoteche e di pignoramenti sulle abitazioni. Dal 21 giugno 2013, per iscrivere l’ipoteca esattoriale è sufficiente che il debito (comprensivo di importi a ruolo, aggi di riscossione, interessi di mora e rimborso delle spese per l’esecuzione forzata) sia di almeno 20mila euro. Nella sentenza della Corte di Cassazione del 12 settembre 2014, numero 19270, viene però stabilito in maniera insindacabile come sia fatto di divieto assoluto in termini di legge pignorare la prima casa da parte di Equitalia o chi per lei. La cassazione ha confermato che lo stop ai pignoramenti dell’abitazione principale si riferisce anche a quelli iniziati prima del 21 agosto 2013, data di entrata in vigore della legge 69/2013.
Ma, al contrario di quello che si pensa, l’ipoteca di Equitalia essa può essere iscritta anche sulla prima e unica casa di residenza. Tuttavia, l’iscrizione dell’ipoteca non consente sempre ad Equitalia di effettuare un pignoramento e avviare l’espropriazione dell’immobile. Infatti, la messa in vendita all’asta della casa è possibile solo se ricorrono due condizioni:
1) l’importo minimo del debito (comprensivo di importi a ruolo, aggi di riscossione, interessi di mora e rimborso delle spese per l’esecuzione forzata) non deve essere inferiore a 120mila euro;
2) non si deve trattare di prima e unica casa di residenza. In pratica, l’espropriazione non può essere avviata se: a) l’immobile è l’unico posseduto dal debitore; b) se ha destinazione catastale abitativa; c) se il debitore vi ha fissato la propria residenza anagrafica. L’espropriazione, invece, è ammessa quando l’abitazione principale del debitore è classificata nelle categorie catastali A/1 (abitazioni di lusso), A/8 (ville) o A/9 (castelli, palazzi storici e simili), e quando costui, oltre all’abitazione principale, possiede altri immobili. Possono essere espropriati anche l’usufrutto e la nuda proprietà perché questi sono ricompresi fra “i beni del debitore” pignorabili in base alla legge.
Dal 1° ottobre 2006, con il DL 223/2006 denominato Bersani-Visco, è stato eliminato il sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione e affidato alla società Equitalia, una società per azioni tra Inps e Agenzia delle Entrate. E qui si apre anche un problema legale oltrechè morale.
Equitalia infatti fa lievitare, considerevolmente, il livello effettivo di tassazione in quanto ai i tributi pregressi vengono aggiunte le spese di riscossione, le penali e gli interessi che, sommati tra loro, arrivano a toccare il tasso d’usura. Il risultato è stato l’ulteriore inasprimento della pressione fiscale. Inoltre, gli elementi della riscossione risultano essere ingiustificati ed irrazionali in quanto, esclusivamente, a favore della società Equitalia.
Nel decreto istitutivo è scritto infatti che:“il diritto all’aggio è pari al 9 per cento o all’8 per cento per i ruoli emessi dal 1° gennaio 2013; l’interesse di mora è pari allo 0,615 per cento annuo; il diritto delle spese di esecuzione delle spese di notifica sono pari a 5,88 euro; e gli interessi calcolati con il cosiddetto “metodo alla francese ”. Se il debitore paga oltre la data di 60 giorni stabilita dalla legge verrà corrisposto, ad Equitalia, l’importo del debito aumentato di tutti i tassi sopra elencati. Di queste componenti gli interessi di mora e le sanzioni vanno nelle casse dell’Ente creditore, mentre aggio e spese di notifica vanno interamente a beneficio di Equitalia.
Se il debitore paga entro i 60 giorni, l’aggio viene invece ripartito tra il debitore e l’Ente creditore oltre gli interessi di mora e le spese di notifica. In quest’ultimo modo si garantisce sempre il 9% o l’8% ad Equitalia a discapito dell’Ente creditore che dovrà procedere al pagamento di una somma “non dovuta”.
Questa procedura è legale perché regolamentata dal codice civile, ma al contempo profondamente ingiusta in quanto Equitalia, essendo una Società per Azioni, non punta solo a recuperare crediti non pagati ma a garantirsi un guadagno per se stessa, come dimostrano i dati diffusi dalla stessa società. E sulla riscossione coercitiva, guadagnare diventa facile facile, soprattutto nei confronti di quelli del “mondo di sotto”.
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