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Il primo fallimento (nello shale oil) non si scorda mai

Quando un ambiente diventa sfavorevole alla vita, i primi a soccombere sono i più deboli. È una legge che non ammette eccezioni e si sta manifestando anche nel settore fino a qualche mese fa più “promettente” dell’economia statunitense: l’estrazione di petrolio shale con la tecnica del fracking.

La notizia del giorno è apparentemente minore: una piccola compagnia texana, WbhEnergy, qualche giorno fa ha chiesto l’applicazione del chapter 11, l’equivalente della procedura fallimentare italiana. Il responsabile unico è il crollo del pezzo del perolio – più che dimezzatosi da giugno ad oggi – che ha fatto sparire per molte società del settore i margini di profitto, spingendole a cercare di produrre di più, anche in perdita, pur di sopravvivere nella speranza che i prezzi tornino a salire presto. Questo comportamento, logicamente, aumenta la quantità di offerta sul mercato e quindi spinge i prezzi ancoira più verso il basso.

È solo una piccola società (con debiti oscillanti tra i 19 e i 50 milioni appena), ma è il segnale che “i mercati” attendevano per iniziare a marcare le distanze da un business ormai rischioso. Come abbiamio scritto più volte, i costi di produzione dello shale oil sono altamente variabili, a seconda delle caratterische geologiche del giacimento e dei sistemi utilizzati; ma comunque più elevati rispetto all’estrazione di “petrolio convenzionale” (con pozzi sulla terraferma o piattaforme marine a basse profondità). Gli analisti specializzati danno conto di un’oscillazione variabile tra i 28 e i 90 dollari al barile. E si comprende facilmente come anche nell’ipotesi migliore (28 dollari) il margine di profitto si sia drasticamente ridotto oggi (con Wti quotato ieri a meno di 49) rispetto ai 100 di qualche mese fa. Per la maggior parte delle società, dunque, il cappio si sta stringendo intorno al collo.

La situazione è peggiore però di quanto suggerisce il semplice raffronto dei prezzi di costo e di vendita. Tutte queste società hanno dovuto infatti affrontare ingenti investimenti (diritti di estrazione, ma soprattutti macchinari) finanziandosi con l’emissione di titoli “ad alto rischio”, ovvero che garantivano forti rendimenti per i sottoscrittori. C’è significa che buona parte dei profitti fin qui realizzati se ne andavano in pagamento degli interessi sul debito, mentre ora che i profitti svaniscono si cerca di porvi rimedio tramite altri prestiti.

Il primo fallimento mette praticamente in allarme tutti gli investitori, costringendoli a selezionare molto più drasticamente le società “meritevoli” di finanziamento e quelle da lasciar perdere. In pratica, che estrae a prezzo basso ha ancora una possibilità (commisurata al mantenimento dei prezzi del greggio almeno ai livelli attuali), mentre per altre si aproono le porte d’uscita dal mercato.

Fin qui si tratterebbe soltanto di “ridimensionare” un settore economico, anche se importante strategicamente per gli stati Uniti e il Canada, che ha portato all’aumento temporaneo dell’estrazione di greggio e contribuito al calo dei prezzi dell’energia a livello globale.

Ma l’inizio della catena dei fallimenti comporta anche un tracollo potenziale a livello finanziario. I debiti accumulati dalle società shale ammontano a qualcosa come 200 miliardi di dollari, e buona parte di questa cifra è irrecuperabile. Per le banche e i fondi di investimento che hanno largheggiato in prestiti in questo settore si annunciano tempi complicati. E quindi anche per le quotazioni di borsa, sia delle multinazionali petrolifere che delle società finanziarie.

Sulla scia di considerazioni invece puramente “ecologiche” e di salute pubblica, nei giorsi il governatore dello stato di New York, Cuomo figlio, ha deciso di vietare l’estrazione di shale nell’area da lui amministrata. E’ il primo stato Usa a farlo, ma in altri pendono ricorsi basati sulle stesse considerazioni.

Un altro eldorado sta per chiudere i battenti. E quanti avevano usato questo “boom” per deridere gli scienziati del peak oil dovranno mordrersi ben presto la lingua.

 

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