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Trattative difficili per evitare il Grexit

Quali margini reali esistono per Atene? Fuori dalle sparate terroristiche (Weidmann, governatore di Bundesbank) e dalla propaganda (Tsipras), cosa può fare in neo-governo greco per rinegoziare gli accordi con la Troika, ottenere una ristrutturazione del debito e mantenere almeno qualche promessa elettorale?

Lasciamo da parte l’ipotesi assurda che tutti rimangano sulle posizioni dichiarate fino a ieri sera. L’unico risultato possibile sarebbe l’uscita più o meno rapida della Grecia dall’euro, con ripercussioni terribili sia su Atene (e per chi deve rispettare il patto con i suoi elettori), sia sulla moneta unica e l’intero edificio europeo. La propaganda di regime calca la mano solo sul primo versante, ma se Atene viene buttata fuori dalla Ue si rompe anche il mito dell’irreversibilità del processo di integrazione. Che non è un problema ideologico, ma di “reazione dei mercati”, ovvero di pressione del capitale finanziario globale che a quel punto inizierebbe a scommettere di nuovo sulla possibile crisi dell’euro, ricreando molte delle condizioni esistente tra 2011 e 2012. A quel punto, tutta la creatività di Mario Draghi si riverebbe fatica sprecata e anche per gli inflessibili redeschi sarebbe notte fonda.

L’unica ipotesi plausibile è dunque la ricerca di una mediazione, ostacolata dalla ricerca della massima vantaggiosità da entrambe le parti. SI può dunque prevedere un periodo non breve di contrattazione aspra, condito da minacce (reciproche), intimidazioni (troika) sempremeno credibili man mano che si continua a discutere, campagne stampa mirate, polveroni costanti. Si vedrà subito: l’attuale programma di aiuti termina alla fine di febbraio, quando la Troika sarà chiamata a versare una ultima tranche di aiuti finanziari. Potrebbe teoricamente non farlo, aprendo le danze sul baratro.

La posta in gioco sono i 320 miliardi di debito pubblico greco. Tsipras, in campagna elettorale, ha posto l’obiettivo di una ristrutturazione (una cancellazione parziale) pari al 70%. Un po’ troppo, per essere concessa. C’è da ricordare che questa cifra è – dopo il “piano di salvataggio” da 240 miliardi concordato tra la Troika e il governo uscente di Samaras – quasi del tutto a carico dei paesi europei e della Bce, mentre “i privati” se ne sono quasi del tutto liberati grazie alle operazioni non convenzionali della stessa Bce.

Per pagare soltanto gli interessi su questo debito abnorme (pari al 175% del Pil greco), Atene si era impegnata a versare il 4,5% del proprio Pil annuale, sottraendolo all’avanzo primario. Un salasso mortale, come si è verificato negli ultimi cinque anni. È possibile che Tsipras possa ottenere una riduzione di questa voce, forse addirittura un dimezzamento. Ma non molto di più. E comunque non gli resterebbe alcun margine per realizzare l’uscita dall’austerità, l’aumento dei salari minimi, la fine delle privatizzazioni, il ripristino del sistema pensionistico, ecc.

E come la mettiamo con la pressione della Troika perché si prosegua con le “riforme strutturali”? Qui il margine di trattativa è forse anche minore. Perché sul piano finanziario non è impossibile inventarsi qualche altra forma “creativa”, ma su quello legislativo la verifica è abbastanza semplice. Se Atene smette di seguire le indicazioni su privatizzazioni, mercato del lavoro, ecc, ogni paese in crisi cercherà di attenuare lo sforzo che sta facendo inimicandosi la popolazione. D’altro canto proprio su questi punti di programma – che non hanno un costo immediatamente verificabile a livello dell’opinione pubblica – Tsipras non può fare molti passi indietro. Almeno qualcosa dovrà realizzarlo, pena il tracollo rapidissimo della popolarità e la tenuta della sua molto eterogenea formazione.

Non troppo stranamente, la palla torna dunque in campo… tedesco. L’estremismo austero di Schaeuble e Weidmann, secondo quasi tutti gli osservatori, ha dato una grande mano alla vittoria di Syriza, facendo identificare Samaras come il servo di Berlino e Bruxelles. Insistere su questa strada provocherebbe il temuto Grexit, con danni che poi Merkel dovrebbe far pagare ai sospettosissimi contribuenti germanici. Ma anche attenuare la rigidità è ormai un problema per il gruppo dirigente tedesco, che finirebbe per passare da sconfitto e quindi senza più strumenti credibili per tenere al guinzaglio gli altri paesi in difficoltà. I quali, tra l’altro, hanno dimensioni economiche molto più rilevanti della poverissima Atene. Francia, Italia e Spagna guardano a questa partita seduti contemporaneamente dalla parte dei creditori (hanno sottoscritto il “piano di salvataggio”) e dalla parte del debitore.

È complicato? Non è colpa nostra. Sono le contraddizioni strutturali della creatura mostruosa chiamata Unione Europea, geneticamente programmata per far felici “i mercati” anziché chi ci abita.

 

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