Non è un’immagine gratificante quella che emerge dal rapporto “Noi Italia” reso pubblico dall’Istat oggi. Soprattutto non è un’immagine ottimistica, come tanto piacerebbe ai contafrottole di governo. Anche perché certe caratteristiche strutturali della formazione sociale sembrano completamente inattaccabili dalle cosiddette “riforme” che Renzi e soci hanno fatto passare o sono in via d’approvazione. Anzi, a un primo sguardo possono solo peggiorare.
Partiamo da dati inoppugnabili. “Il 23,4% delle famiglie vive in una situazione di disagio economico, per un totale di 14,6 milioni di individui”. Mentre circa la metà, il 12,4% dei nuclei, si trova in “grave difficoltà”. L’anno prima la percentuale era ancora più alta (24,9%), ma per comprenderne la dinamica conviene vedere come l’indicatore usato rileva le situazioni.
L’”indicatore di deprivazione” scatta quando una situazione familiare presenta almeno tre sintomi sui nove considerati tra i “fattori di rischio”, che vanno ben oltre i semplici livelli di reddito dichiarati. Tipo: non poter sostenere spese impreviste, arretrati nei pagamenti (mutui, affitti, bollette), ecc.
Ovvio che non tutti questi “sintomi” hanno lo steso peso; ad esempio, il 2,6% dichiara di non poter acquistare una lavatrice, un televisore, un telefono (livello grave) o un’automobile (già meno pesante); mentre il 50,4% dichiara di potersi pagare una settimana di vacanza.
La carenza di riscaldamenti domestici è però un indicatore molto più serio (e il 19% non riesce a coprire questo bisogno fondamentale in modo soddisfacente): e addirittura il 14,5% non riesce a consumare un vero e proprio un pasto nell’arco di 4 ore.
Problemi con percentuali assai diverse a seconda del territorio, con Mezzogiorno e Isole che stanno molto peggio del Nord e del Centro. A Sud, infatti, le famiglie deprivate sono il 40,8%, contro il 15,4% del Nord-ovest, il 13,1% del Nord-est e il 17,3% del Centro.
Ma è nella condizione giovanile che emerge per intero il fallimento sia della classe imprenditoriale che di quella politica. Dopo quasi 25 anni di eliminazione dei diritti, taglio dei salari, precarizzazione contrattuale, in un’orgia di “liberalizzazioni” che hanno reso enormemente più povero anche chi lavora… sono due milioni e mezzo i giovani tra 15 e 29 anni che non studiano e non lavorano, i cosiddetti Neet. Si tratta del 26% degli under30, più di 1 su 4.
Per maggiore chiarezza: soltanto la Grecia fa peggio (28,9%), mentre in Germania sono appena l’8,7% e poco di più in Francia (13,8%). E anche le politiche europee di austerità, oltre al servilismo di quelle italiache, trovano una spiegazione che salta a pie’ pari la propaganda degli uni e degli altri.
La corposa nota stampa diramata dall’Istat:
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