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L’occupazione aumenta, ma Renzi non c’entra niente

L’Istat non si discute. Quindi se dice che l’occupazione, ad aprile 2015, è aumentata, è sicuramente vero. Di qui a intestarsi il merito – come ha fatto subito Renzi con il solito twittino – ce ne corre.

Vediamo un po’ di numeri: febbraio e marzo erano andati male, da questo punto di vista. Quindi i 159.000 posti di lavoro registrati in più alla fine del mese di aprile atrrivano come una manna dal cielo per un governo – e un conducator – in debito di ossigeno, ossia di consensi.

“Il tasso di occupazione, pari al 56,1%, cresce nell’ultimo mese di 0,4 punti percentuali. Rispetto ad aprile 2014, l’occupazione è in aumento dell’1,2% (+261 mila) e il tasso di occupazione di 0,7 punti”.

Tutto lineare? Mica tanto. I disoccupati, com’è logico, diminuiscono. Ma qui cominciano i problemi di interpretazione dei numeri. Su base mensile il calo è drastico se misurato in percentuale (-1,2%), quasi impercettibile in cifra assoluta (-40 mila). Ma nell’arco degli ultimi dodici mesi il numero di disoccupati è appena dello 0,5%, equivalente 17 mila disoccupati in meno.

Anche il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni mostra nell’ultimo mese un calo dello 0,7% (-104 mila). Ma qui bisognerebbe vedere quante persone in età da lavoro hanno nel frattempo raggiunto l’età pensionabile, uscendo quindi dalle liste dei disoccupati, nonché quanti giovani hanno raggiunto l’età considerata lavorativa (15 anni) senza peraltro frequentare più la scuola. Di fatto, dato lo squilibrio dimensionale tra generazioni così distanti, il numero degli inattivi è costantemente in calo.

Insomma: per avere un quadro completo della situazione occupazionale dell’intera popolazione bisognerà vedere, e confrontare, anche i dati sulla disoccupazione.

Se lasciano la base mensile, e prendiamo in esame l’andamento dell’occupazione nel primo trimestre, il maggior numero di occupati subisce una limatura (+133 mila unità, +0,6%), ma rtesta comunque consistente.

L’aumento – dice l’Istat – “riguarda entrambe le componenti di genere e tutte le ripartizioni territoriali, soprattutto il Nord (+0,6%, 71 mila unità) e il Mezzogiorno (+0,8%, 47 mila unità). Al calo degli occupati nelle classi di età 15-34 anni e 35-49 anni (-1,7% e -1,4%, rispettivamente), continua a contrapporsi la crescita degli ultra 50enni (+5,3%)”.

Questa asimmetria – trovano più facilmente lavoro gli “anziani” over 50, mentre diminuiscono gli occupati giovani e “maturi” – si spiega solo con la particolare divisione del lavoro vigente in Italia: le imprese non hanno investito in innovazione (le critica per questo anche il governatore della Banca d’Italia), e quindi hanno bisogno – per una serie di mansioni che richiedono professionalità ed esperienza – di personale “rodato”, cui non bisogna spiegare quasi nulla. Mentre ai ragazzi vengono di preferenza affidati compiti “di fatica”, dove la freschezza fisica fa premio sull’esperienza.

Insomma: il Jobs Act non ha portato di per sé un solo posto di lavoro in più, semmai in meno, vista la libertà totale di licenziamento. Mentre un ruolo importante ce l’hanno certamente il quantitive easing deciso dalla Bce, il calo del prezzo del petrolio e quindi anche il forte deprezzamento dell’euro (componente però già esaurita, visto che la moneta unica è tornata stabilmente intorno all’1,10 sul dollaro, dopo aver sfiorato la parità.

Una mano l’ha data certamente la decontribuzine totale per tre anni per quelle imprese che assumono a tempo indeterminato con contratto a “tutele crescenti”. Un contributo finanziario a carica dello stato pari a circa 8.000 euro l’anno, che ha spinto molti imprenditori a trasformare in “fissi” rapporti di lavoro fin qui precari o addirittura in nero.

E infatti, rende noto l’Istat, nel primo trimestre 2015 il numero di lavoratori a tempo pieno cresce in misura significativa, con un incremento di 104 mila unità (+0,6%). Ma prosegue anche. ininterrotta dal 2010, la crescita degli occupati part time (+0,7%, 28 mila unità nel raffronto tendenziale); evidenziando il fatto che si tratta quasi soltanto di part time involontario (al 64,1%). Ovvero di addetti in aziende che faticano ad utilizzare pienamente tutta la manodopera di cui dispongono.

I numero vanno letti e capiti. Non usati per farsi propaganda gratis…

 

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